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L’eredità di Tetris

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Enzo Noviello

A ben 35 anni dalla sua creazione, Tetris intrattiene il mondo intero oggi come allora e non ha bisogno di presentazioni: tutti lo conoscono, tutti hanno giocato almeno una volta ad una delle sue innumerevoli incarnazioni, ufficiali e non. Tuttora è un fenomeno di costume, più che un semplice passatempo: ha ispirato architetti, arredatori, stilisti e tanti altri artisti che hanno esaltato il rigore geometrico alla base del puzzle game. Tetris ha attraversato senza problemi intere generazioni tecnologiche, passando dai monitor ai fosfori verdi ai visori VR, con la grande esperienza sensoriale di Tetris Effect di Tetsuya Mizuguchi, l’uomo che ideò tra gli altri Rez e Lumines. Come racconta il trailer presentato allo scorso E3, Tetris è così polarizzante che ha dato il nome anche ad un comune disturbo della psiche umana: una attività che richiede un alto livello di concentrazione può influire in modo incongruo sulle altre attività e sulle immagini mentali, sogni inclusi, di coloro che vi si dedicano per lungo tempo.

In realtà già Vladimir Pokhilko, accademico ed amico dell’ideatore di Tetris, ne studiò gli effetti psicologici durante i primi mesi dalla creazione del gioco e fu una figura chiave del successo del videogioco. Pokhilko poi dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica cercò fortuna negli Stati Uniti creando una sua software house, senza trovarla. Oppresso dai debiti, uccise la moglie ed il figlio dodicenne prima di suicidarsi nel 1998 nella sua casa a Palo Alto in California.

Tuttavia non è stato un caso che Tetris sia giunto fino ad oggi sempre in forma smagliante: le evoluzioni generazionali sono state nulla in confronto alla barriera ideologica e politica che Tetris riuscì a bucare come un calibro 320mm, la cortina di ferro tra i paesi europei sotto il controllo dell’Unione Sovietica e quelli alleati degli Stati Uniti d’America. Tetris è anche questo, una testimonianza ancora viva di un mondo che oggi non c’è più, ma la cui eredità modula ancora oggi tanti aspetti del mondo, mai come oggi globalizzato ed interconnesso.

Tre russi, un inglese e un telex

La storia di Tetris sarebbe potuta essere la sceneggiatura di un film, se non fosse per il fatto che sia realmente accaduta. Tetris nacque da un’idea di Alexey Pajitnov, un ingegnere informatico che all’epoca lavorava per un centro di ricerca dell’Accademia Russa delle Scienze, impegnato in studi sull’intelligenza artificiale applicata al riconoscimento vocale e con l’hobby di creare software ricreativo e giochi matematici. Era il 1984, e la guerra fredda tra le due superpotenze mondiali era di nuovo ai massimi livelli, culminata con il boicottaggio dei paesi sovietici alle Olimpiadi di Los Angeles.

Alexey Pajitnov. Foto: Wikipedia.

L’idea alla base di Tetris nasceva dai puzzle a cui giocava da bambino basati sui pentamini, ovvero figure geometriche composte da cinque quadrati uguali, ortogonalmente connessi su un lato. Pajitnov pensò di “far cadere” i pezzi scelti dal computer piuttosto che farli scegliere al giocatore come se fosse un puzzle qualsiasi, per rendere il gioco più avvincente; inoltre, per venire incontro alle limitazioni tecniche della macchina a sua disposizione, l’obsoleto Elektronika 60 basato su processore M2, decise di ridurre i quadrati da cinque a quattro, quindi riducendo il numero di pezzi possibili da dodici a sette, creando così dei tetramini, e di far sì che una riga completa scomparisse, piuttosto che rimanere a schermo, alleggerendo così il carico alla RAM di soli 8 KB. Con questa meccanica, il giocatore veniva “premiato” dal gioco non con banali punti, ma con uno spazio di manovra maggiore nel gioco stesso. Inoltre Tetris non aveva vite: il gioco terminava quando non c’era più spazio per un tetramino, ma gli errori del giocatore non venivano puniti con la perdita di una vita come accadeva con gli altri videogiochi dell’epoca, anzi il giocatore grazie alla sua abilità poteva porvi rimedio in un secondo momento. Questo rendeva Tetris un qualcosa di allora mai visto prima.

Il gioco inoltre non aveva bisogno di grafica, dato che i quadrati potevano essere visualizzati come semplici caratteri di testo, rendendone semplice la programmazione. Durante lo sviluppo del prototipo, Pajitnov fu aiutato dal suo collega ed amico Dmitri Pavlovsky e da un giovanissimo (neanche diciassettenne) Vadim Gerasimov, allora studente ed oggi ingegnere informatico in forza a Google. Pajitnov chiamò il suo nuovo gioco Tetris, fondendo le parole tetra e tennis, il suo sport preferito.

Il prototipo di Tetris su una macchina Elektronika 60 originale. Foto: Leningrad City Museum.

Gerasimov curò il porting per i PC IBM compatibili con sistema operativo DOS, all’epoca diffusi anche in Unione Sovietica. Gerasimov aggiunse al prototipo di Pajitnov la possibilità di salvare i punteggi, nonché diede ad ogni tetramino un colore univoco. Il risultato fu impensabile: in pochi mesi non c’era possessore di un PC in tutta l’Unione Sovietica che non avesse una copia di Tetris, giocandoci a casa e a lavoro. Peccato che nessuno dei tre videro neanche un kopecki per il loro gioco: Tetris infatti fu programmato utilizzando le macchine messe loro a disposizione dal governo sovietico, e stando alle giurisdizione di allora il proprietario dell’idea e quindi del gioco era il governo sovietico stesso. A gestirne la diffusione fu incaricata la Elektronorgtechnica, o in breve ELORG, il soviet responsabile degli scambi di beni elettronici, principalmente computer e calcolatrici, tra l’Unione Sovietica e il resto del mondo. Il responsabile incaricato per il controllo della diffusione di Tetris fu Nikoli Belikov.

Screenshot della versione originale di Tetris per DOS.

Non ci volle molto affinché Tetris arrivasse anche nei paesi del Patto di Varsavia, tra cui l’Ungheria, di fatto il “paese cuscinetto” tra l’occidente capitalista e l’oriente comunista dopo la rivoluzione del 1956. Proprio a Budapest infatti Robert Stein, un inglese proprietario di una piccola software house e nel 1986 lì per un viaggio di lavoro, vide per la prima volta Tetris. Se ne innamorò: era semplice da programmare, immediato da giocare e adatto ad ogni età, una gallina dalle uova d’oro da non farsi sfuggire. Ne volle i diritti a tutti i costi e si informò su come averli: Stein non aveva alcun contatto con l’Unione Sovietica, ma riuscì ad avere il numero del telex dell’Accademia Russa delle Scienze. Riuscì così a poter comunicare con lo stesso Pajitnov, non una cosa banale all’epoca. Sia Stein che Pajitnov non avevano alcun problema a mettersi d’accordo: il primo voleva i diritti di commercializzazione del gioco, il secondo voleva finalmente monetizzare sulla sua idea e possibilmente cambiare vita, programmando videogiochi in Occidente. Facile a dirsi, impossibile a farsi: gli studi di Pajitnov erano sotto diretto controllo del KGB, intenzionata a sfruttarli per intercettazioni telefoniche. Cercare di fuggire dall’Unione Sovietica voleva dire morte certa, per sé e per i suoi cari. Le comunicazioni via telex furono sì intense, ma le risposte di Pajitnov sebbene fossero favorevoli ad un accordo erano vaghe, conscio del fatto che prima o poi il governo sovietico sarebbe intervenuto. Cosa che poi accadde nel 1987.

Robert Stein.

La “mini guerra fredda” vinta dai russi (e dai giapponesi)

Stein commise l’errore di contattare Pajitnov anziché la ELORG, di cui ignorava perfino l’esistenza. Non solo, Stein iniziò subito dopo il principio d’accordo con i programmatori russi a cercare acquirenti per i diritti, trovando da subito l’interesse della Maxwell Corporation. Oggi ricordata per essere uno dei più grandi disastri economici della storia recente, collegata alla misteriosa morte nel 1991 del suo proprietario, Robert Maxwell, nella seconda metà degli anni Ottanta la Maxwell era ancora molto forte nel campo dell’editoria tecnica e aveva molti contatti con i “piani alti” in Unione Sovietica, tra cui il suo futuro presidente Michail Gorbachev, grazie alle origini cecoslovacche dello stesso Maxwell. Forte del suo accordo, sebbene solo verbale, con Pajitnov, Stein si accordò con la Maxwell per lo sviluppo di una versione di Tetris per il mercato occidentale. In pochi mesi Tetris fu lanciato per il mercato britannico e statunitense grazie alle software house sussidiarie della Maxwell, rispettivamente la Mirrorsoft e la Spectrum HoloByte, che ne curarono le versioni per i computer casalinghi più diffusi, compresi i Commodore Amiga, gli Atari ST e gli Apple II. Era l’inizio del 1988.

La celebre red box di Tetris commercializzata della Spectrum HoloByte, piena di riferimenti all’Unione Sovietica, sia nella confezione che nel gioco.

Tetris fu un successo anche dall’altro lato della cortina di ferro; ci fu anche chi negli Stati Uniti vide in Tetris un complotto degli odiati russi per minare dall’interno la produttività interna, tanti furono i suoi giocatori. C’era però un problema: Stein aveva venduto i diritti di Tetris senza ancora un contratto. Per lui e per Maxwell era solo una formalità, ma per il governo russo fu visto come un affronto. Ne nacque un caso diplomatico che si risolse dopo mesi di trattative tra Belikov, rappresentanti del governo sovietico, Stein e Kevin Maxwell, figlio di Robert e suo “ministro degli esteri”, con un accordo che permetteva lo sfruttamento dei diritti di Tetris per dieci anni, previo pagamenti delle royalty pregresse entro tre mesi, per “varie tipologie di computer”. Per la ELORG tale clausola implicava che i diritti valessero solo per i personal computer, escludendo quindi gli arcade e i dispositivi mobili; per gli inglesi invece implicava praticamente ogni macchina disponibile in commercio. Nacque così la seconda incomprensione burocratica.

Henk Rogers. Foto: Wikipedia.

Maxwell aveva già provveduto a cedere ad Atari i diritti di Tetris per le console casalinghe, tipologie di macchina che i russi a stento conoscevano all’epoca, e a Sega quelli per i videogiochi arcade. Inoltre i tre mesi furono trascorsi senza che nessun pagamento pattuito fosse stato saldato. Ciò costrinse Maxwell alla rinegoziazione dei diritti con la ELORG, che avvenne dopo ulteriori trattative e dietro un ingente risarcimento, e soprattutto con clausole molto più stringenti: questa volta i diritti su Tetris erano validi solo per «macchine dotate di processore, hard disk, tastiera e monitor», escludendo così le console di videogiochi. Però Atari aveva già provveduto alla creazione di una versione di Tetris per NES attraverso la sua sussidiaria Tengen, pronta per essere messa immessa sul mercato.

In questi mesi di limbo per i diritti, non senza un po’ di fortuna si inserì Henk Rogers, un bizzarro programmatore americano di origini olandesi trasferitosi per amore in Giappone, creando lì la Bullet-Proof Software (oggi Blue Planet Software), che entrò tra gli studi di terze parti di Nintendo grazie ad una riuscita versione di Go per Famicom, il gioco da tavolo preferito dal presidentissimo Hiroshi Yamauchi. Rogers vide Tetris per la prima volta agli inizi del 1988 in una fiera negli USA e avvisò subito i manager Nintendo per cercare di far loro questo videogioco russo, così strano ma che per lui divenne quasi una droga. Inoltre, in seno a Nintendo, sia Gunpei Yokoi che Shigeru Miyamoto erano concordi sul fatto che Tetris fosse perfetto per la nuova console che stavano per lanciare, il Game Boy: la sua versatilità e la sua immediatezza erano l’ideale per un dispositivo portatile. Dovevano solo prenderne i diritti, ancora scoperti. Bullet-Proof tuttavia sviluppò in pochi giorni e iniziò la distribuzione di una versione di Tetris per Famicom nel solo Giappone, attraverso una concessione limitata dei diritti che Rogers strappò dalla divisione giapponese di Atari.

Pubblicità dell’accordo tra Nintendo ed ELORG per i diritti esclusivi di Tetris sulle sue console, comparsa in alcuni numeri della rivista Nintendo Power nel 1988.

Nel mentre Rogers, durante un suo viaggio di lavoro a Mosca per cercare di prendere per sé e per Nintendo i diritti per Tetris, riuscì ad entrare in contatto con gli sviluppatori di Tetris, legandosi progressivamente con lo stesso Pajitnov in un’amicizia viva tutt’ora. Ma non ce ne fu neanche il bisogno: Nintendo stessa, con un suo team di legali giunti a Mosca praticamente di nascosto (rischiando così anche problematiche burocratiche), stipulò un accordo esclusivo con la ELORG su Tetris per console, fisse e mobili. Il resto, come si suol dire, è storia: Nintendo lasciò la Maxwell e la Atari con un pugno di mosche e con decine di migliaia di cartucce nei magazzini della Tengen, ormai non più commercializzabili e oggi ambitissime dai collezionisti. Tetris divenne una delle killer application per NES, SNES e Game Boy (quest’ultima sviluppata dalla stessa Bullet-Proof), che venne incluso in bundle con la console. Nel 1996, scaduti gli accordi precedenti con la Maxwell ormai dissolta per bancarotta, Pajitnov (che in tutto questo casino intanto aveva continuato a sviluppare videogiochi simili a Tetris, con scarso successo) con l’aiuto di Rogers riuscì ad acquisire la metà dei diritti nativi di Tetris, creando la Tetris Company ed iniziando così dopo oltre un decennio dalla sua creazione a monetizzare sui diritti di distribuzione. Nel 2001 la Tetris Company acquisì la ELORG, divenuta società privata dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, e con lei l’altra metà dei diritti. Oggi sia Pajitnov che Rogers praticamente “vivono di rendita” sui diritti milionari di Tetris, nelle sue mille varianti commercializzate in tutti questi anni.

Da sinistra: Alexey Pajitnov, Henk Rogers e Hiroshi Yamauchi in una foto del 1988 che sanciva l’accordo esclusivo con Nintendo.

Vecchie e nuove sfide, ma sempre a suon di tetramini

Sebbene Gerasimov sviluppò una seconda versione di Tetris che prevedeva anche una modalità a due giocatori, furono le versioni di Nintendo a risaltare anche il lato competitivo di Tetris: nella modalità a due giocatori, completare una serie di linee consecutive generava un disturbo all’avversario sotto forma di file incomplete alla base del suo schema. Questa meccanica è alla base di Tetris 99, sviluppato dalla Arika (la software house di Akira Nishitari, uno dei creatori di Street Fighter II) e che prende in eredità tutte le migliorie evolutive del gioco, dal “fantasma” del blocco che mostra a schermo dove finirà alla possibilità di trattenerne uno dei blocchi. Tetris 99 è distribuito gratuitamente per tutti gli abbonati ai servizi online per Nintendo Switch, ma sarebbe riduttivo credere che sia solo questo il motivo del suo successo delle ultime settimane. È stato anche deriso come il “Tetris battle royale”, come se fosse un meme o uno scherzo, ma alla fine non è altro che l’evoluzione del buon vecchio e caro Tetris in modalità sfida, che tutti hanno amato nel corso degli anni, ma con 99 giocatori anziché solo due. A Tetris non si può “camperare”, non ci si può nascondere ed evitare la sfida: i blocchi cadono inesorabili uno dopo l’altro sempre più veloci e vanno impilati correttamente per difendere la propria sopravvivenza. La sfida continua è la chiave della lunga vita di Tetris, sia contro il mondo con Tetris 99, sia contro sé stessi con Tetris Effect.

Screenshot di Tetris 99.

Ma, un decennio prima di Arika e del suo Tetris 99, c’è stato chi ha fatto riscoprire al mondo quanto Tetris potesse essere un terreno di competizione valido ancor oggi, negli anni degli e-sports. Nel 2009 Robert Mihara, un americano appassionato di Tetris, iniziò una ricerca in tutti gli Stati Uniti d’America dei migliori giocatori di Tetris, scoprendo come ancora ci fosse molte persone che come lui provassero oggi come allora un amore per il gioco. Il suo obiettivo era quello di creare un vero e proprio campionato, col duplice scopo di decidere chi fosse il migliore e al tempo stesso creare una comunità che potesse rendere questa competizione sempre più diffusa e partecipata. Il format avrebbe dovuto rifarsi al Nintendo World Championship, che la casa di Kyoto organizzava negli Stati Uniti nei primi anni Novanta e che consisteva in un “olimpiade” dei suoi videogiochi di punta, tra cui Tetris. il Nintendo World Championship consacrò all’epoca due ragazzini di cui poi non si seppe più nulla, Trey Harrington e Thor Aackerlund, quest’ultimo considerato il primo giocatore di Tetris, sebbene non si abbiano prove video, ad aver raggiunto il punteggio massimo previsto dalla versione per NES, ovvero 999.999 punti (tecnicamente chiamato max-out). Tale risultato è stato però successivamente raggiunto, con documentazione video certificata, da altri due giocatori formidabili, Harry Hong e Jonas Neubauer.

Una fase del primo CTWC nel 2010, tratto dal documentario Ecstasy of Order: The Tetris Masters

La ricerca di Mihara s’è conclusa un anno dopo, creando così la prima edizione del Classic Tetris World Championship o in breve CTWC, ed è stata da lui documentata insieme agli amici Vince Clemente e Adam Cornelius (quest’ultimo anche regista amatoriale) nel documentario Ecstasy of Order: The Tetris Masters. Il primo CTWC s’è tenuto a Los Angeles, in un cinema di periferia affittato per l’occasione, ma dopo due anni si è trasferito al Portland Retro Game Expo, che si tiene ogni terzo weekend di ottobre. Ciò che all’inizio era comunque vista come un’attrazione da nerd come altre in una fiera tematica, grazie al lavoro dei vari giocatori e del caster Chris Tang negli ultimi anni è diventato un evento molto seguito nell’ambito degli e-sports così come oggi concepiti, con dirette Twitch e canale YouTube dedicato dove è possibile rivedere tutte le fasi del torneo, qualifiche incluse, a tutto vantaggio di chi vuole carpire i segreti dei migliori giocatori di Tetris al mondo. L’utilizzo della versione originale per NES, rigorosamente con hardware e controller originali, è voluta proprio per riportare ai giorni nostri lo spirito del Nintendo World Championship di tre decenni fa, ma anche per il suo essere la versione più “pura” del gioco ad essere ancora tranquillamente reperibile; in realtà nella fase finale del torneo si utilizza una hack, messa a punto dallo stesso Trey Harrington, che prevede alcune statistiche aggiuntive e soprattutto la possibilità di settare il seme del PRNG del gioco, in modo tale che quindi ogni giocatore giochi esattamente con la stessa sequenza di blocchi dell’avversario. La formula odierna prevede una fase di qualificazione con classifica ed una fase finale a tabellone tennistico con i migliori 32 punteggi segnati in qualifica, a valle di eventuali spareggi, e con match al meglio delle tre partite e finalissima al meglio delle cinque. Mattatore storico del torneo è stato Neuebauer, che ha vinto sette delle nove edizioni finora disputate, ma che quest’anno ha clamorosamente perso in finale contro il nuovo fenomeno Joseph Saelee di neanche diciassette anni, meno della metà degli anni vita di Tetris, a dimostrazione dell’eredità che questo gioco continua a portare avanti.

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