Nel 1993, a Bologna viene fondato Piazza Grande, il primo giornale di strada italiano. L’idea nasce da un gruppo di senza dimora che vivevano nel dormitorio Beltrame di via Sabbatucci 2. Il giornale, su cui scrivono, oltre ai senza dimora, giovani giornalisti volontari e professionisti nel campo sociale, ha l’obiettivo di diffondere il punto di vista degli ultimi (senzatetto ma anche migranti, malati, carcerati, precari; chiunque sia in una situazione di marginalità sociale) e di rappresentare per questi una qualche fonte di reddito. Col numero di dicembre 2018, dopo venticinque anni di attività, il giornale si rinnova, cambiando veste grafica, composizione della redazione e sistema di distribuzione. Per l’occasione, theWise Magazine ha intervistato Andrea Giagnorio, direttore editoriale di Piazza Grande.
Prima domanda molto scontata, immagino che per il nome del giornale siate debitori a Lucio Dalla giusto?
«Ovviamente, Dalla ci voleva molto bene».
Come descriveresti Piazza Grande, se dovessi spiegarlo a qualcuno che non lo conosce?
«La definizione più semplice è “giornale di strada”. È un giornale che è nato, e che adesso stiamo cercando di rinnovare, creando uno stretto legame con le persone in strada, senza dimora. Piazza Grande è stato fondato nel 1993, con lo slogan ’in strada non tendiamo la mano, ma tendiamo un giornale’, cercando di spingere i senza dimora di Bologna a quella che potremmo definire una “presa di parola”. Noi vogliamo portare la voce degli ultimi in città e far parlare il più possibile queste persone di quello che vivono tutti i giorni sulla loro pelle, di quello che vedono, delle loro esperienze. Sostanzialmente Piazza Grande è questo, dare voce a chi voce non ha».
Cosa è cambiato con la nuova edizione, avete rinnovato solo la veste grafica o anche i contenuti?
«I contenuti rimangono più o meno quelli, perché alla fine è sempre un giornale che tratta di tematiche sociali, i cambiamenti sono avvenuti per quel che riguarda la redazione: negli ultimi anni il contributo dei senza dimora era abbastanza marginale, all’interno della redazione non c’erano senza dimora che scrivessero il giornale insieme ai volontari e agli operatori di Piazza Grande. Da ottobre, invece, abbiamo iniziato un nuovo percorso in cui la redazione è un laboratorio di comunità ospitata in un condominio sociale aperto a tutti, dove vivono circa quindici senzatetto. Ogni settimana ci troviamo lì per costruire e scrivere il giornale».
Quindi i senza dimora sono all’interno della redazione e partecipano alla stesura degli articoli, non si limitano a distribuire i giornali per strada.
«Esatto. Dopo venticinque anni ci siamo detti, ‘oggi cosa serve ai senzatetto, cos’è importante per loro?’ La risposta che ci siamo dati consiste in un cambio di paradigma: il giornale quindi non è più uno strumento dei senza dimora per avere un po’ più di soldi, ma è diventato un mezzo per dialogare con la città. Non abbiamo più i senzatetto che distribuiscono Piazza Grande per Bologna, ma come redazione organizziamo dei “momenti di diffusione”, cercando di presentare in maniera un poco più accattivante i nostri contenuti alle persone che incontriamo per strada. Il nostro obiettivo primario adesso in strada non è ricavare un guadagno con le offerte dei lettori, ma parlare con le persone dei temi che ci sono cari. Si tratta di un cambiamento di prospettiva, di non avere più un ruolo passivo nel porgere il giornale, ma di presentarsi dicendo: ‘noi abbiamo affrontato il tema x, tu cosa ne pensi?’
Ho visto anche che il giornale si può trovare in alcuni punti fissi.
«Sì, questa è una delle novità. Si tratta anche di realpolitik: non potevamo pretendere che i senza dimora fossero disponibili in qualsiasi momento per distribuire il giornale, quindi, accanto ai momenti di diffusione, abbiamo pensato, ‘come facciamo per aumentare la circolazione del giornale?’ La risposta sono i punti fissi, rendere disponibile Piazza Grande nei bar, nelle librerie, nei circoli Arci; luoghi che costituiscono una rete di realtà sociali radicate sul territorio con cui dialogare costantemente».
Ci sono altre esperienze come la vostra in Italia e nel mondo o siete gli unici?
«Ci sono altre esperienze, tra l’altro Piazza Grande nasce nel 1993 sugli esempi di due giornali di strada di Londra e di Parigi. Oggi c’è una rete internazionale di giornali di strada, che si chiama INSP. Oltre a noi, altre giornali italiani sono Scarp de ‘tenis di Milano, che è la realtà più strutturata, Fuori binario di Firenze e Foglio di via di Foggia».
In che rapporti siete con le istituzioni cittadine e nazionali? Ricevete finanziamenti?
«Con le istituzioni nazionali non abbiamo rapporti. Con le istituzioni cittadine c’è un dialogo. Siamo una realtà riconosciuta dal Comune, a cui la città vuole bene – il Sindaco e alcuni assessori si erano anche abbonati e la presentazione per la nuova edizione l’abbiamo fatta in Comune – ma per quanto riguarda eventuali finanziamenti siamo indipendenti».
Cosa pensano le persone senza dimora dell’esperienza di Piazza Grande?
«È una domanda molto complicata. Ogni storia è a sé, ogni persona ha la sua condizione. Quello che mi sembra di capire è che il giornale può essere un bellissimo strumento attraverso il quale i senza dimora possono esprimere un’opinione sulla realtà che si trovano a vivere. I senza dimora che sono dentro la redazione non sono tanti, ma quelli che ci sono partecipano sempre e sono molto attivi. A Bologna non è il cibo che manca a queste persone, non è il vestito, quello che manca sono le relazioni umane, e Piazza Grande può essere un mezzo straordinario per costruirle, trasformando anche la rabbia per la condizione che sono costretti a vivere in una risorsa di energia attiva utile al giornale. Questo lo vediamo sempre di più alle riunioni settimanali, in cui si sta creando un gruppo di lavoro molto affiatato».
Abbiamo quasi finito. Ultima domanda: propositi per il futuro?
«(ride) Io ne ho vari… Innanzitutto vogliamo spingere molto sulla questione abbonamenti (potete abbonarvi a questo link), perché per noi è una fonte di reddito importante che ci permette di continuare le nostre attività, e incrementare la diffusione in strada, per sensibilizzare più lettori possibili. In secondo luogo, cercheremo di aumentare il numero di realtà con cui collaboriamo, che siano queste locali o istituzionali. Ti faccio un esempio: da febbraio abbiamo avviato un rapporto con la Cineteca di Bologna, grazie al quale una volta al mese si può entrare con un biglietto ridotto esibendo una copia del giornale. Da marzo, partirà la stessa promozione con L’Arena del Sole. In sintesi, la nostra idea è questa, cercare sempre di più di costruire una rete, una comunità che si ritrova in certi valori, creando nuove relazioni tra le persone, anche tra chi magari non la pensa come noi o è indifferente a questi problemi. L’ultima cosa, e questo è un desiderio personalissimo, a me piacerebbe tantissimo portare Piazza Grande nelle scuole, perché secondo me oggi parlare di esclusione sociale e della povertà sul nostro territorio, che spesso è invisibile, può essere un modo straordinario per far riflettere i ragazzi sulla realtà che li circonda e su quello che succede nella loro città».
L’intervista è finita, ci alziamo dal tavolino e paghiamo il caffè. Usciamo dal bar e prima di dividerci chiacchieriamo ancora per qualche minuto, poi ci salutiamo. Avviandosi verso l’autobus, ci sembra di essere più ottimisti di quando siamo arrivati.
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