A un metro da te è un film drammatico e sentimentale del 2019 diretto da Justin Baldoni e interpretato da Cole Sprouse – uno dei gemelli della sitcom Zack e Cody al Grand Hotel e, in anni recenti, uno dei personaggi della serie televisiva Riverdale – e Haley Lu Richardson. La pellicola ha per protagonisti Will e Stella, due adolescenti affetti da fibrosi cistica che vivono in ospedale per sottoporsi alle cure necessarie alla sopravvivenza. La loro storia d’amore è complicata dal fatto che i due non potrebbero avvicinarsi senza trasmettersi il batterio che ha contratto Will e che metterebbe in pericolo la vita di Stella; per questo motivo i due ragazzi sono costretti a tenere una certa distanza tra loro, da qui il titolo A un metro da te. Ciò non impedisce loro di amarsi con la stessa intensità di una coppia consueta. Uscito nei cinema lo scorso 21 marzo, il film è una parabola sulla vita complicata dalla malattia, ha un target adolescenziale e mostra sviluppi narrativi già visti in pellicole precedenti.
Amare a un metro di distanza
Will e Stella non sono due teenager come tanti: hanno la fibrosi cistica – una malattia genetica grave -, sono ricoverati a tempo indeterminato e si sforzano di vivere una vita normale, seppur tra le mura ristrette e soffocanti dell’ospedale. In mezzo a tanti malati, Will e Stella si ritrovano e si conoscono fuori alle porte del nido – il luogo preferito dalla ragazza che ama guardare i bambini appena nati – e, dopo qualche battibecco iniziale, stringono uno strano accordo: Will si farà aiutare da Stella a seguire pedissequamente la terapia per la malattia, senza rifiutare le cure perché da lui ritenute inutili, e lei, in cambio, gli concederà un appuntamento. La frequentazione dei due ragazzi ha un grosso difetto: i due non possono avvicinarsi o toccarsi perché Will ha contratto un batterio che potrebbe trasmettere a Stella, compromettendone ulteriormente la salute e, in tal modo, togliendole la possibilità di un trapianto di polmoni. Per rispettare il limite, i due giovani utilizzano una mazza da biliardo, lunga circa un metro, che frappongono sempre tra loro per tenere la giusta distanza, e, senza mai sfiorarsi, finiscono imprevedibilmente per innamorarsi. La vita dei ragazzi e dei loro amici scorre tra terapie farmacologiche, appuntamenti nell’atrio ospedaliero e feste clandestine, mentre Will si sta sottoponendo ad un trattamento sperimentale per la fibrosi cistica e Stella sta aspettando due polmoni nuovi che le permetteranno di vivere almeno altri cinque anni.
A un metro da te è un film che porta l’attenzione su una malattia sconosciuta per molti: la fibrosi cistica, patologia genetica e terminale che si manifesta con eccessive secrezioni di muco all’interno del corpo. Essa è protagonista, accanto a Will e Stella, con un senso incombente di morte: i protagonisti sono giovanissimi, ma è tutta la vita che si sentono dire che potrebbero morire domani, un’eventualità che li porta a vivere sempre nel qui ed ora. Bloccati dalla loro malattia, i protagonisti del film sono costretti a vivere la quotidianità in ospedale: qui affrontano lunghe terapie farmacologiche, impegnano il loro tempo libero con le più svariate attività – Stella ha un canale Youtube in cui parla della fibrosi cistica e Will si dedica all’arte – e si relazionano tra di loro, nell’amicizia, nell’amore e finanche nel sesso. L’ospedale è un microcosmo dotato di vita propria, una miniatura del mondo al di fuori di cui conserva tutte le dinamiche: l’atrio è il luogo di incontro dei giovani malati, la mensa il ristorante in cui trascorrono il tempo assieme e le stanze in cui sono ricoverati le case in cui farsi visita reciprocamente. Sfruttando la malattia, A un metro da te fa una riflessione sul significato dell’amore, che sarebbe in grado di trascendere la fisicità. In tal senso, è significativa la scena in piscina in cui i due ragazzi si spogliano e restano muti a guardarsi con un grado di intensità che li fa sembrare avviluppati l’uno all’altro, sebbene tra loro ci sia ancora la distanza di un metro; nella medesima scena Stella si fa scorrere la mazza da biliardo sul corpo come se fosse la mano di Will e il gesto risulta di una efficacia e sensualità disarmante, sebbene Will non la stia toccando affatto e resti seduto un po’ più in là sul bordo della piscina. La fisicità tra i due diventa reale in un unico momento del film: quando Will, dopo che Stella è quasi annegata in un lago ghiacciato, è costretto a farle la respirazione bocca a bocca, baciandola impercettibilmente mentre le sta salvando la vita.
Contatto fisico e non
All’interno del film la voce di Stella descrive il contatto fisico come la prima forma di comunicazione quando si nasce, come un bisogno irrinunciabile che si prova verso le persone che si amano, ma è qualcosa di cui lei e Will sono privati. Per questo motivo, Stella invita implicitamente lo spettatore a non rinunciare alla vicinanza della persona che ama, perché non è una cosa scontata come sembrerebbe: la malattia o la morte potrebbero annullare le opportunità di stare insieme da un momento all’altro.
La morte è il sottotesto di A un metro da te, è una possibilità sempre in agguato nelle vite dei due protagonisti, che la guardano in faccia tutti i giorni. A tal riguardo Stella ha una crescita personale impressionante: ella comprende la vacuità delle sue manie di controllo legate alla terapia, comprende, cioè, che non deve vivere per curarsi, ma curarsi per vivere, annullando, in un certo senso, il timore costante della morte. Da un punto di vista stilistico, A un metro da te è un film che si indirizza ad un target adolescenziale. I personaggi, pur provati dalla malattia, sono adolescenti in tutte le sfaccettature della loro età: hanno problemi di adolescenti, modi di fare di adolescenti, frivolezze di adolescenti. Il film è banale nel suo percorrere una strada già battuta da pellicole simili, nel riproporre trame e sviluppi già visti altrove come lo schema morte improvvisa di un personaggio importante – rabbia repressa che esplode in seguito all’evento luttuoso – nuova consapevolezza e nuovo atteggiamento dei protagonisti. La pellicola inventa pochissimo all’interno di un genere che si sta consolidando, quello dei drammi sentimentali e adolescenziali che avvengono al chiuso degli ospedali o all’ombra della malattia. L’unico tratto originale di A un metro da te è il suo finale sospeso, aperto, che non chiarisce il destino immediato di uno dei protagonisti, lasciando scegliere allo spettatore la fine che più gli piace.