Dallo scorso 31 marzo sono passate solo tre settimane, ma il primo turno delle elezioni presidenziali in Ucraina sembra essersi tenuto una vita fa. Da allora, i due contendenti per il ballottaggio – il presidente uscente Petro Poroshenko e la new-entry Volodymir Zelenskiy – non hanno fatto annoiare gli elettori ucraini e gli osservatori di tutto il mondo. Dalle accuse verso Zelenskiy di essere un «agente del Cremlino» a quelle più o meno velate, in questo caso bidirezionali, di essere «tossici e alcolizzati», i due candidati hanno deciso di concludere in grande: il classico dibattito pre-ballottaggio non si sarebbe tenuto come da consuetudine negli studi della televisione nazionale UA-Pershiy, bensì davanti a venticinquemila spettatori allo stadio NSC Olimpiyskiy di Kiev, teatro – tra le altre cose – dell’ultima finale di Champions League. Prima eclatante volta in una democrazia moderna. Ma forse la giovane Ucraina democrazia ancora non lo è, e chissà se mai lo diventerà a pieno titolo.
Se dal 31 marzo sembra passata un’eternità, altrettanto si può dire degli ultimi cinque anni della storia ucraina: la guerra ibrida con la Russia, iniziata con l’annessione della Crimea e proseguita con l’occupazione separatista (incentivata da Mosca) del Donbass, sembra essere ormai entrata nella routine di ogni cittadino ucraino. Nemmeno i 13.000 morti dal 2014 fanno più scalpore nell’opinione pubblica: la guerra (in fase di stallo dagli accordi di Minsk in poi, ma con frequenti e importanti scontri «minori» tra esercito ucraino e separatisti delle cosiddette “repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk) è oramai entrata nell’immaginario comune come una situazione statica e irrisolvibile, tant’è che non è stata nemmeno veramente al centro dei programmi elettorali dei vari candidati, soprattutto Zelenskiy.
L’impopolarità di Poroshenko
Ed è forse proprio da questo che si capisce perché gli ucraini hanno deciso di votare in massa per un comico alla prima esperienza politica (secondo gli ultimi sondaggi prenderà circa il 72% al ballottaggio, un record per le elezioni ucraine). I cittadini sembrano essere stanchi di una situazione che può sfuggire di mano da un momento all’altro: Poroshenko aveva promesso, eletto nel 2014, di terminare la guerra in massimo due settimane. Così non è stato, ovviamente. Si è dimostrato però un discreto comandante delle forze armate, non perdendo ulteriori territori nel Donbass, rimettendo in sesto l’esercito (nel 2014 non c’erano nemmeno i fondi per le divise militari) ed evitando sempre e comunque il dialogo con il nemico dichiarato, Vladimir Putin.
Non gli è stata però perdonata la lentezza delle sue riforme politiche e promesse pre-elettorali, fondamentali per accattivarsi la maggioranza degli elettori ucraini (ma tutto il mondo è paese): non ha abbattuto la corruzione, nonostante alcune buone riforme in partenza, l’economia è ripartita solo negli ultimi due anni ma al costo di un inflazione al 40% e di una moneta svalutata di tre volte, non ha venduto – come aveva giurato – la Roshen, la fabbrica di cioccolato che lo aveva reso miliardario. Si è avvicinato – come voleva buona parte dell’elettorato, soprattutto a ovest del Dnipro – sempre più alla NATO e all’Unione Europea, siglando il tanto atteso regime senza visto per gli ucraini che volevano andare in Europa. Pare però che quest’ultimo sia servito solamente a far scappare centinaia di migliaia di ucraini verso l’estero, togliendo ancora più forza lavoro ad un paese già costretto – volente o nolente – a indennizzare i propri pensionati con cifre irrisorie, spesso inferiori ai 100 euro.
E proprio dai pensionati e lavoratori sotto-pagati sono partiti i malumori verso Poroshenko e il governo Groysman che, pur alzando di qualche euro la soglia minima di pensione e stipendi, sono stati additati da Yulia Tymoschenko (arrivata terza al primo turno) addirittura di «genocidio del popolo ucraino». Il motivo è ricorrente negli ultimi anni: l’aumento del prezzo del gas, dodici volte superiore rispetto al 2013 e in aumento ogni semestre.
Per non addossare tutte le colpe a Poroshenko, l’aumento delle tariffe energetiche fa parte delle condizione che il Fondo Monetario Internazionale impone all’Ucraina per erogare prestiti, senza i quali la fragile economia ucraina crollerebbe e i già pochi investitori esteri scapperebbero dal paese. Tuttavia è una scelta del magnate del cioccolato e della sua squadra quella di seguire le linee guida di austerità e rigore dei bilanci pubblici imposti dal FMI, una scelta che si fa ogni giorno sempre più impopolare. In una realtà come l’Ucraina, dove molti pensionati spendono mediamente l’80% delle proprie pensioni per riscaldarsi d’inverno, mentre le famiglie più povere vengono escluse dai sussidi a causa della corruzione e sono costrette a riscaldarsi tagliando gli alberi dal giardino o addirittura con la deforestazione illegale, è naturale che il prezzo del gas diventi uno degli aghi della bilancia del consenso.
L’ascesa del comico dell’oligarca
La cosa più interessante da sottolineare è che nonostante le politiche austere del FMI e l’immobilità diplomatica dell’UE, è solo Poroshenko a perdere consenso di fronte ai propri elettori, mentre la fiducia verso le istituzioni internazionali rimane stabile (o comunque non in picchiata) da parte dei cittadini ucraini (più o meno forte a seconda delle zone del paese). Infatti gli altri candidati, tra cui la stessa Tymoschenko, hanno condiviso tutti una posizione di pro-europeismo e filo-atlantismo, con l’unica eccezione di Yuriy Bojko, leader di Piattaforma per l’Opposizione, il partito tendenzialmente filo-russo erede di Yanukovich e che nonostante la crescita degli ultimi tempi rimane stabile intorno al 13-14% delle preferenze, soprattutto nell’est del paese (Kharkov, Odessa e nei territori liberi di Donetsk e Lugansk).
Insomma, gli ucraini sembrano molto indecisi sul proprio futuro, ma sicuramente vogliono guardare un po’ più a Occidente rispetto a Mosca, la quale però rimane punto di riferimento per alcuni ucraini, o comunque non un nemico nonostante la guerra.
La sintesi perfetta è il populismo di Volodymir Zelenskiy, comico di professione e primo candidato post-rivoluzione a essere votato omogeneamente in tutte le aree del paese. Il «servitore del popolo», nome anche del suo neo-nato partito, sembra incanalare e farsi portavoce del malcontento (soprattutto verso Poroshenko) della nonna cattolica di Lutsk (ovest), dell’agricoltore del centro Ucraina, del lavoratore statale di Kiev o Kharkov, del minatore di Donetsk, del pescatore di Odessa. Con i suoi messaggi semplificati, diretti ma sempre vaghi e senza chiare prese di posizione, l’ex comico con le sue promesse è riuscito ad accattivarsi uno spaccato dell’intera Ucraina, riunificandola almeno dal punto di vista elettorale dopo anni di Ovest contro Est.
Bisognerà vedere se i messaggi carichi di sogni e speranze per l’Ucraina, ciò di cui avevano bisogno gli elettori per sentirsi probabilmente meno responsabili e ansiosi del destino del paese, si tradurranno davvero in qualcosa di concreto, e se Zelensky sarà davvero il presidente perfetto che molti in queste settimane hanno idealizzato.
Ma Zelensky, nonostante sia alla prima esperienza politica, presidente perfetto lo è già stato. E in effetti l’idealizzazione dell’elettorato nei suoi confronti si concretizza ora, ma parte da lontano, nel 2015 esattamente. In quell’anno sulla rete 1+1 esce la serie tv Servitore del Popolo, nome – come si può notare – del suo partito e ovviamente suo slogan elettorale, in cui Zelensky interpreta il ruolo di un professore che diventa popolare su YouTube dopo che con molta retorica e tantissime parolacce inveiva contro la corruzione e la classe politica ucraina con un suo collega, finendo poi per essere eletto presidente un po’ per caso.
Casualità forse troppo improbabile se si pensa che il proprietario di 1+1 è Igor Kolomojskiy, miliardario di passaporto israeliano noto ai tifosi calcistici per essere stato presidente del Dnipro, oltre a essere uno degli oligarchi più influenti, corrotti e machiavellici del paese. Il miliardario avrebbe un conto in sospeso con Poroshenko per la nazionalizzazione forzata della sua PrivatBank, che ha portato a una forte erosione del suo patrimonio personale. Noto per essere uno spietato oligarca di poche parole, che preferisce usare altre persone per comunicare il suo pensiero e le sue azioni, facendo ben poche dichiarazioni ufficiali (persino da governatore di Dnipropetrovsk delegava ad altri questi compiti), non è improbabile che stia usando Zelenskiy come delfino per riprendersi il controllo della situazione nel paese (provocando i giornalisti negli ultimi giorni, in una delle sue poche dichiarazioni, Kolomojskiy ha dichiarato che anche Poroshenko è una sua marionetta).
Nonostante questa voce si faccia sempre più forte e plausibile, essa non sembra scalfire la luna di miele tra Zelenskiy e gli ucraini, ormai abituati a scegliere tra oligarchi e prestanomi di oligarchi. Zelenskiy è solo un mezzo per comunicare il disprezzo verso il presidente uscente e in generale verso l’élite. Gli elettori si godono il momento e sognano ad occhi aperti, pur consci di dover fare presto i conti con la realtà ed essere governati da una nuova élite. Purché si cambi.
Futuro a breve termine
Sarà molto difficile prevedere quel che farà Zelenskiy per realizzare le sue imponenti promesse, con quali mezzi e quali metodi. Fino ad ora sembra un classico programma elettorale populista, da cui si può dire trarre tutto e il contrario di tutto.
La sfida più importante, nonostante abbia fatto molto per evitare di affrontarla in campagna elettorale, sarà la gestione del conflitto con la Russia e in particolare i rapporti diplomatici con Vladimir Putin. Zelenskiy ha già dichiarato di essere disposto a sedersi a un tavolo con Putin, cosa che Poroshenko dopo il primo anno di mandato ha rifiutato di fare, ma sicuramente non con DPR e LPR, le due repubbliche filo-russe che combattono l’esercito ucraino (parlare direttamente con i separatisti probabilmente è l’unica cosa che potrebbe far perdere consenso al comico, già tacciato di essere filo-russo dagli oppositori per la sua apertura verso Putin).
Difficile che si interrompa il percorso di integrazione verso la NATO e l’UE, anche se i funzionari occidentali temono molto il prossimo presidente per la sua imprevedibilità in tema di politica estera e preferivano di gran lunga Poroshenko come partner ideale (salvo indirettamente affossarlo dettando le già citate misure di austerity). Tutto ovviamente dipenderà dalle eventuali trattative con Putin, che potrebbe sparigliare le carte in tavola.
In ogni caso ci sarà da aspettare le elezioni parlamentari del prossimo autunno, poiché senza un governo Zelenskiy potrà fare ben poco. I sondaggi per ora sembrano incoraggiarlo: il suo partito personale è al 25,9% davanti a Piattaforma per l’Opposizione, al Blocco di Petro Poroshenko (il partito del presidente uscente) e a Patria di Tymoschenko, che si contendono il secondo posto intorno al 13-15% ciascuno.
Formatosi il governo sarà il momento della verità per l’Ucraina, Zelenskiy e i suoi elettori, che dovranno scendere inevitabilmente a compromessi con la realtà in un paese che è sull’orlo di una crisi di nervi, in campo economico, politico e sociale. Basteranno la retorica populista e i sogni ad occhi aperti dell’ex comico per far dimenticare agli ucraini i propri problemi?