Alla fine è stata l’Unione Europea a vincere la battaglia contro i giganti del Web, iniziata sin da quando nel 2016 la Commissione aveva promesso un adeguamento della regolamentazione sul copyright alla nuova era digitale. Il lungo percorso per raggiungere l’obiettivo è terminato il 15 aprile scorso, quando il Consiglio dell’Unione Europea ha definitivamente approvato la nuova direttiva sul copyright europeo confermando la decisione presa dal Parlamento il 26 marzo. La riforma ha lo scopo di limitare lo strapotere dei colossi della Rete come Youtube o Google, garantendo agli editori e ai titolari dei contenuti diffusi sul Web la protezione dei diritti d’autore e un’equa retribuzione. Ad aver scatenato lo scontro tra UE e chi si autoproclamava fautore dell’Internet libero sono stati soprattutto gli articoli 15 e 17 della direttiva, a lungo contestati. Ora gli Stati membri dell’UE avranno due mesi di tempo per adeguarsi alla direttiva.
La direttiva sul copyright europeo: punti di vista a confronto
La direttiva si inserisce all’interno del progetto per la creazione di un Mercato Unico Digitale annunciato nei primi anni della Commissione Juncker, progetto che ha già portato a scelte come l’abolizione delle tariffe roaming, la fine dei blocchi geografici per il commercio elettronico o la modernizzazione della protezione dei dati ottenuta con la GDPR. Le discussioni sulla riforma del copyright europeo erano state sin da subito aspre, e avevano generato due fazioni opposte: ovviamente contrari erano i giganti del Web, mentre schierati con l’UE erano gli editori e gli autori, che da tempo denunciavano lo sfruttamento dei propri contenuti sulla Rete. Google in particolare si era impegnato per far sì che la direttiva venisse bocciata, prima dando inizio a campagne contro la riforma come #saveyourinternet o #togetherforcopyright, poi arrivando a minacciare che Google News avrebbe potuto lasciare l’Europa. Sotto agli occhi di tutti è stata anche l’opposizione di Wikipedia, che per ben due volte (in occasione delle due votazioni del Parlamento Europeo, la prima a luglio – in cui il “no” ha prevalso – e la seconda nel marzo scorso, quando la direttiva è stata approvata) in alcuni Paesi ha oscurato la propria piattaforma in segno di protesta.
A causare le maggiori polemiche sono stati soprattutto gli articoli 15 e 17 della direttiva sul copyright europeo, che danno finalmente agli editori e agli autori quello che chiedono da tempo, ovvero lo stesso rispetto dei diritti d’autore che vige fuori dal Web. L’articolo 15 obbliga gli aggregatori di notizie (il più famoso è Google News) a garantire una remunerazione adeguata a editori, giornalisti, autori per i contenuti protetti che compaiono sulle proprie pagine. Saranno ancora permessi i cosiddetti snippet, ovvero i titoli degli articoli seguiti da una introduzione, purché questa sia «molto breve». Gli accordi per un’equa retribuzione dovranno seguire i principi di un giusto equilibrio tra i diritti dei titolari dei contenuti e gli interessi delle piattaforme Web.
L’articolo 17 della riforma afferma invece per la prima volta che le piattaforme Web sono responsabili dei contenuti protetti dai diritti d’autore diffusi in Internet: per questa ragione, prima di pubblicarli online avranno l’obbligo di accordarsi con i proprietari per ottenere la loro autorizzazione. Oltretutto, le piattaforme Web saranno obbligate a introdurre un filtro – chiamato upload filter – che controlli quali tra i contenuti che devono essere diffusi in Rete sono sotto copyright, in modo da riuscire a bloccarli preventivamente. In caso contrario, incorreranno in una sanzione. Sono però previste delle attenuanti, ad esempio nel caso in cui venga dimostrato che la piattaforma in questione ha fatto tutto il possibile per garantire il rispetto della direttiva, oppure che ha agito tempestivamente per rimuovere o bloccare l’utente responsabile dell’upload illegale. Inoltre, non dovranno rispettare quest’obbligo le piattaforme che soddisfano tre condizioni: la pagina non deve essere attiva in rete da più di tre anni, deve avere un numero di visitatori mensili inferiori ai cinque milioni e avere un fatturato annuo minore di dieci milioni di dollari.
In sede del Consiglio UE il nostro Paese, insieme a Polonia, Finlandia, Olanda, Lussemburgo e Svezia ha votato contro la direttiva sul copyright europeo, che era invece appoggiata in particolar modo da Francia e Germania. Mentre PD e Forza Italia si sono pronunciati a favore della riforma, Lega e M5S l’hanno da sempre osteggiata: il vicepremier Luigi di Maio a settembre aveva accusato il Parlamento Europeo di introdurre la censura dei contenuti degli utenti sulla Rete, sostenendo così le opinioni di Tim Berners Lee – co-inventore del World Wide Web insieme a Robert Cailliau – che aveva parlato di una «minaccia per Internet». Le critiche di chi si schiera contro l’aggiornamento della legislazione sul copyright derivano soprattutto dalle misure previste dall’articolo 17: vista l’impossibilità di farla manualmente, l’operazione di filtraggio dei contenuti protetti dovrà essere condotta da algoritmi, e si teme che una loro non piena efficacia possa causare errate censure preventive dei contenuti. Un’altra ragione che ha mobilitato molti utenti contro la riforma sul copyright è stata anche la paura che la direttiva possa costringere Wikipedia a chiudere, visto che l’enciclopedia online si basa su un gran numero di citazioni di testi e materiali protetti dai diritti d’autore.
In realtà, bisogna dire che la riforma non inciderà minimamente su Wikipedia e le altre enciclopedie online: il testo approvato dall’UE specifica infatti che le misure si rivolgono solamente alle società online con scopi di lucro. Tuttavia, Wikipedia, in occasione dell’oscuramento delle sue pagine, aveva dichiarato di protestare comunque in nome della protezione della libertà della Rete. Allo stesso modo, il testo della riforma precisa che non saranno soggetti a sanzioni nemmeno GIF e meme. Nemmeno le pubblicazioni scientifiche e i materiali usati per scopo didattico saranno soggetti ai controlli previsti.
L’importanza della direttiva e i reali rischi connessi
È vero che la direttiva sul copyright europeo appena approvata dall’Unione presenta delle criticità, prima tra tutte la scarsa chiarezza di alcuni passaggi del testo. Formule imprecise come la lunghezza «molto breve» degli snippet o i «massimi sforzi» che le piattaforme Web devono dimostrare per avere un’attenuante potrebbero essere facilmente manipolate a seconda delle necessità. Anche le critiche riguardanti l’obbligo di un filtro che blocchi i contenuti protetti non sono infondate. Prima di tutto perché la creazione di un simile sistema di algoritmi richiede ingenti somme di denaro che solo i giganti del Web si possono permettere, e ad essere danneggiate sarebbero perciò solo le piattaforme più piccole prive delle risorse necessarie. Inoltre, il timore che il filtro in questione non agisca efficacemente potrebbe indurre anche quelle piattaforme che ne fanno uso a mettere in atto le censure preventive tanto temute.
La direttiva sul copyright europeo è sicuramente un passo importante, che l’UE avrebbe forse dovuto compiere già da tempo: ormai da anni le case discografiche vedono la maggior parte dei guadagni volatilizzarsi a causa dei download illegali che una piattaforma come Youtube rende possibili, e questi sono forse gli ultimi anni utili per limitare il sempre crescente predominio commerciale dei colossi informatici. Oltretutto, era necessario che la riforma venisse approvata prima delle elezioni europee del 26 maggio: una nuova Commissione avrebbe potuto non interessarsi più al tema, e a quel punto sarebbero passati troppi anni prima che questo spinoso problema venisse nuovamente affrontato. In ogni caso, prima di dare un giudizio definitivo sulla direttiva sul copyright bisognerà aspettare i due anni di tempo concessi agli Stati membri per adeguarsi alle nuove norme. Sperando che si ricordino che il Web non è qualcosa che può essere affrontato all’interno dei tradizionali confini geografici.