Populism is sexy. Così recita l’incipit di un articolo del Guardian, che spiega come negli ultimi vent’anni il termine “populismo” abbia acquisito sempre maggior appeal all’interno del racconto della politica contemporanea. La stessa testata britannica nel corso dell’anno 1998 pubblicava circa trecento articoli contenenti questo termine: il numero è salito a mille nel 2015, a duemila nel 2016.Da un lato tutti parlano di populismo: quotidiani, riviste, tv, accademici e studiosi si danno un gran da fare per provare a definire un concetto che rimane vago, e per questo difficile da cogliere nella sua interezza. Dall’altro lato il cittadino che si informa cerca di districarsi in questa marea di definizioni, tentando di fare chiarezza intorno alla natura di un fenomeno che, forse, trova proprio in questa fumosità intrinseca la sua reale efficacia.
Questo articolo non vuole essere un’ulteriore presa di posizione, bensì un tentativo di chiarificazione rispetto ai risultati raggiunti dal dibattito accademico – tutt’ora in corso – riguardo allo studio di questo concetto. In questa prima parte non verrà affrontato né il lato dell’offerta politica, né quello relativo alla domanda: le considerazioni relative alle ragioni del successo dei partiti populisti in Occidente saranno rimandate alla seconda e alla terza parte di questo piccolo vademecum. In questa prima parte invece ci si limiterà ad un ragionamento intorno al concetto in sé, per cercare di capire che cosa significhi, per la letteratura, il termine “populismo”.
Che cos’è il populismo? La ricerca accademica da circa vent’anni ha posto questo quesito al centro dello studio della politica contemporanea, attraverso un tentativo di ridefinizione delle categorie avvenuto dopo la fine della politica dei blocchi, che ha portato con sé il crollo delle ideologie. Il populismo in Occidente si è inserito nello spazio lasciato aperto da questa svolta epocale, che ha messo fine al Secolo breve e ha creato numerose crepe nel rapporto tra l’opinione pubblica e i partiti di massa. Dalle sporadiche esperienze del Dopoguerra fino al successo dei giorni nostri, le formazioni definite come populiste nella storia dell’Occidente sono state molteplici, seppur contraddistinte da numerose differenze. Il dibattito letterario intorno allo studio del concetto si trova in questo momento ancora spaccato in due correnti di pensiero che, a dir la verità, dialogano molto di rado.
Il primo filone di studi è quello che attribuisce al populismo lo status di ideologia, più precisamente di ideologia leggera («thin-centered ideology»). Ha come capostipite Cas Mudde, che nel 2004 ha elaborato una definizione del concetto che ha avuto grande fortuna negli anni a venire tra gli accademici che si sono interessati a questo argomento:
Definisco il populismo come un’ideologia che considera la società in definitiva separata tra due gruppi omogenei e antagonisti, “il popolo puro” contro “l’élite corrotta”, e che afferma che la politica dovrebbe essere un’espressione della volonté générale (volontà generale) del popolo. Il populismo, così definito, si compone di due opposti: l’elitismo e il pluralismo.
Cas Mudde e la maggior parte degli studiosi definiscono quindi il populismo come un’ideologia leggera; tuttavia la traduzione in italiano non restituisce a pieno il significato del costrutto «thin-centered ideology», sul quale è necessario porre l’attenzione. Questo concetto venne introdotto in letteratura da Michael Freeden, che con il suo approccio morfologico distingueva il populismo dalle «full ideologies» come fascismo, liberalismo, socialismo e comunismo. In sostanza questo fenomeno possiede una morfologia ristretta, che si avvale di pochi concetti principali, e di altri concetti periferici attraverso i quali può facilmente assimilarsi alle ideologie già esistenti e assumere diverse forme.
I concetti principali sono, secondo la definizione di Cas Mudde, essenzialmente tre, e rappresentano il centro ristretto di questa ideologia: il popolo, le élites, e la volontà generale. Secondo questa visione il populismo considera la società divisa in due gruppi omogenei e antagonisti, il popolo puro e onesto contro le élites corrotte, e si fa portatore della volontà generale di questo popolo, inteso come una comunità immaginata pura e incorruttibile, privata della sovranità popolare e della capacità di decisione politica.
Questo approccio si può definire come «ontico», poiché indaga sull’essenza del populismo, su che cosa esso sia. L’autore di The Populist Zeitgeist ammetterà tuttavia nel corso dei suoi studi la malleabilità del concetto, e affermerà che il populismo deve essere concepito come una mappa mentale attraverso la quale gli individui analizzano e comprendono la realtà politica. A causa del suo centro ristretto, il populismo non può essere dunque considerato come un’ideologia autonoma, ma piuttosto come un’ideologia leggera che, a seconda del contesto, riesce ad assumere diverse forme. Lo studio del contesto porta il ragionamento sul piano del secondo filone di studi, che deriva principalmente da Ernesto Laclau e che studia il populismo attraverso un’analisi dei suoi legami con la società e con i differenti contesti nei quali si diffonde.
Il secondo approccio – ad oggi secondario rispetto agli studi ben più fortunati di Cas Mudde – ha come capostipite il filosofo argentino Ernesto Laclau e intende questo fenomeno come una strategia politica, una pratica discorsiva che si avvale di alcune costanti. L’impianto di E. Laclau si può definire come strettamente orientato alla logica. In La Ragione Populista il filosofo post-marxista concepisce il populismo come un sistema di relazioni che sono sempre antagoniste e che partecipano alla costruzione di elementi in continua opposizione tra loro. La logica opposizionale di Laclau trova chiaramente il suo antenato nella logica dell’ostilità di Carl Schmitt, ma differisce da essa in quanto per Laclau popolo e nemico sono significanti vuoti. Il populismo infatti è pura logica priva di contenuti propri, consiste semplicemente in una modalità di articolazione di pensieri di volta in volta diversi a seconda del contesto; ogni volta che agisce, essendo una logica opposizionale, abbina elementi in contrasto tra loro, che trovano la propria identità nella differenza con l’altro (il nemico, il diverso). A seconda del contesto il potere egemonico attribuisce identità e significati diversi ai significanti vuoti di popolo e nemico. Il lavoro di E. Laclau, deceduto nel 2014, prosegue oggi anche grazie a quello della moglie Chantal Mouffe, docente di Scienza Politica all’Università di Westminster. Recentemente la politologa belga ha pubblicato Per un populismo di sinistra, all’interno del quale auspica la nascita di forze populiste di sinistra in virtù di una riarticolazione del linguaggio, che abbandoni le istanze della destra nazionalista in favore di una riconquista della democrazia reale e della rappresentanza dei bisogni degli ultimi. Il momento populista deve essere interpretato come un ritorno al politico, non come una mera semplificazione della realtà.
Questo secondo approccio, definibile dunque come «logico», percepisce il populismo non come un’ideologia, bensì come una strategia, un modo di fare politica che, a seconda del contesto, attribuisce significati diversi ai significanti vuoti popolo e nemico.Basti pensare, ad esempio, alla Lega Nord di Umberto Bossi e a quella di Matteo Salvini: nel primo caso la narrazione politica era costruita sulla dialettica antagonista Nord vs Sud, la seconda invece su quella italiani vs immigrati.
Come detto in precedenza, questi due filoni di studio dialogano di rado all’interno del dibattito accademico e sembrano invece procedere su due binari paralleli. Entrambi presentano degli spunti utili per inquadrare in modo più attento il populismo all’interno della comunicazione politica contemporanea. La prima corrente di pensiero individua i tre concetti cardine, funzionali alla differenziazione tra il populismo e le altre dinamiche della politica postmoderna, come ad esempio la leaderizzazione e la popolarizzazione della politica. La seconda invece focalizza l’attenzione sul modo in cui il populismo si inserisce in contesti sociopolitici differenti, privilegiando lo studio sull’articolazione del linguaggio e sulla definizione delle nuove esigenze della democrazia. Entrambe però presentano mancanze e vuoti metodologici che solo un tentativo di dialogo può colmare. Da un lato appare infatti complicato e a tratti fuorviante attribuire al populismo lo status di ideologia, per una serie di motivi. Innanzitutto il populismo si muove all’interno della democrazia rappresentativa, non mira all’instaurazione di un nuovo regime, obiettivo invece delle grandi ideologie del Novecento. Il populismo invece per essere efficace necessita proprio del mantenimento della tensione tra l’opinione pubblica e i suoi rappresentanti. In secondo luogo non esistono testi di riferimento e nemmeno un’Internazionale populista o dei leader ai quali questa presunta ideologia si possa ispirare. Dall’altro lato però è innegabile come esistano caratteristiche simili tra le diverse esperienze populiste presenti all’interno della politica contemporanea, e non è dunque sufficiente delegare di volta in volta allo studio di contesti differenti l’approfondimento di questo fenomeno.
Un possibile punto d’incontro tra i due filoni è individuabile nel concetto di «mappa mentale» suggerito da Cas Mudde e adottato recentemente da alcuni studiosi: le definizioni di ideologia leggera e di pratica discorsiva si incrociano nella teoria del frame, introdotta in sociologia da Erving Goffman. Interpretando il populismo come una cornice narrativa, come un modo di intendere il mondo, è possibile preservare sia i tre concetti fondamentali di popolo, élite e volontà generale (che sono ricorrenti in ogni esperienza populista), sia la logica popolo vs nemico mediante la quale i significanti vuoti trovano significati diversi a seconda del contesto. Il tentativo di conciliare i due filoni di studi attraverso la teoria del frame è stato recentemente introdotto in letteratura da Paris Aslanidis, e rappresenta una nuova via per cercare di cogliere la complessità di un concetto che, come detto, rimane fumoso e vago. Proprio per questo è impossibile cercare di definire questo fenomeno entro alcuni schemi rigidi, bensì è necessario approfondire le sue estensioni, i suoi legami con i contesti, la sua capacità di interpretare un certo malessere diffuso nella società occidentale contemporanea. Ad esempio sulla politica del risentimento e sull’opposizione generica si parlerà diffusamente nella seconda e nella terza parte di questo piccolo vademecum. Per ora basti l’inquadramento teorico sul concetto di populismo che, sebbene faccia propri molti aspetti della politica postmoderna (i già citati leaderizzazione e popolarizzazione della politica) non va confuso con essi. Il populismo è definito dalla letteratura attraverso caratteristiche precise, e non deve rappresentare una semplice etichetta con la quale circoscrivere indefinitamente tutte le caratteristiche della narrazione politica contemporanea.
Piccolo vademecum sul populismo. Parte seconda.
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