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Rayuela. Nel labirinto di Julio Cortázar

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Alfonsa Laonigro

«Il gioco del mondo»: questo il tema del 32° Salone Internazionale del Libro di Torino, in programma dal 9 al 13 maggio 2019. Un titolo che evoca intrecci tra popoli, scambi culturali, contaminazioni fruttuose tra Weltanschauung diverse ma non incommensurabili. Il gioco del mondo è però anche il titolo italiano di uno dei capolavori nascosti del Novecento: Rayuela di Julio Cortázar. Un’opera che ha segnato una cesura netta rispetto alla letteratura tradizionale, ai suoi schemi, alle sue rigide prescrizioni: Rayuela rompe le regole, è un contro-romanzo, una bomba atomica. Così fu definita dallo stesso Cortázar, ben consapevole di aver dato vita a una creatura strana, indisciplinata, destinata a ribellarsi tanto all’autore quanto ai lettori e soprattutto ai critici.

La locandina del Salone Internazionale del Libro di Torino 2019.

Ma cosa rende Rayuela un unicum nella storia della letteratura mondiale? Semplice: la sua stessa struttura. A un primo sguardo, sembra un libro come tanti: pagine, copertina, indice, capitoli. E invece, nasconde un segreto. A svelare l’arcano è la Tavola che compare immediatamente, in prima pagina:

Tavola d’orientamento (edizione Einaudi, 2004).

Ecco. Le istruzioni per l’uso. Perché Rayuela non è un romanzo: è un gioco. Il gioco del mondo. Da giocare insieme, autore e lettore, chiamati entrambi a tessere con le proprie mani la trama e l’ordito di questo curioso intreccio narrativo. Già, perché Rayuela non nasce con un ordine predefinito, ed è lo stesso Cortázar a ricordarlo: «È stato un po’ come inventare nel momento stesso in cui scrivevo, senza mai cercare di guardare al di là di ciò che potevo vedere in quel momento […] Non è mai esistito un piano, nessun piano prestabilito». Un meccanismo che per certi versi ricorda quello delle “storie a bivi” di disneyana memoria, comparse su tanti numeri di Topolino dal 1985 in poi. In effetti, il richiamo al mondo dell’infanzia è presente già nel titolo: la rayuela è il gioco della campana. Ben nota ai ragazzini di tutto il mondo, la campana unisce da tempo immemore generazioni vecchie e nuove. Non a caso Cortázar ricorda che, per ottenere l’immagine perfetta per la copertina del suo libro, chiese a una bambina di otto anni «de dibujar una rayuela», disegnare una campana col gessetto sull’asfalto, e la fotografò dall’alto (dopo essersi arrampicato, a tale scopo, su un platano). La foto uscì sfocata, ma lui non si arrese: la consegnò a un pittore e questi ne trasse una bella illustrazione, che finì in copertina. La Rayuela era pronta.

Prima edizione originale (1963).

Rayuela è «un mondo surreale, nel quale gli eventi sfuggono alle leggi naturali e dove il poeta e lo scrittore accettano principi che non sono i principi quotidiani». E infatti, Cortázar stesso lo definisce un libro che «incita continuamente [il lettore] a spezzare le nozioni abituali di tempo e di spazio». Parole che riecheggiano la dichiarazione resa da Stefano Benni, il quale, intervistato su Ululuna, la sua ultima fatica teatrale – andata in scena al teatro Anfitrione di Roma e liberamente ispirata ai racconti di Cortázar – ha dichiarato: «Lo scrittore vive nel tempo della letteratura, che è un tempo circolare, dove si può andare indietro o nel futuro».

Il tempo e lo spazio, del resto, sono i tòpoi principali del surrealismo: basti pensare alla Persistenza della memoria di Dalì o alle Forme uniche nella continuità dello spazio di Boccioni. Quanto a Cortázar, il suo stile è di chiara ispirazione surrealista: lo dimostrano il largo uso del monologo interiore e dello stream of consciousness di Joyce, oltre alla presenza di improvvisazioni tipiche del jazz, come nel racconto Il persecutore, tra i più incisivi di Cortázar e ispirato alla vita del sassofonista Charlie Parker. Restando in ambito musicale, ad avere un’eco metafisica sono senz’altro i testi di Franco Battiato, permeati di riferimenti alla trascendenza e alle filosofie orientali: è il caso di No Time, No Space e di Centro di gravità permanente. Non a caso, la ricerca del Centro è la missione principale del protagonista di Rayuela, Horacio Oliveira; e non a caso, lo stesso Cortázar ammette che, nel periodo della stesura del romanzo, era «molto attratto dalla lettura e dalla pratica […] della filosofia orientale, precisamente del Vedanta, della filosofia indiana». Ma cos’è questo Centro verso cui Oliveira, e verso cui ogni uomo, cerca di tendere? Cortázar lo definisce come «quella dimensione nella quale l’essere umano, individuale o collettivo, può reinventare la realtà».

Una realtà che però, per essere reinventata, deve prima essere distrutta: non è possibile costruirne una nuova se non sulle ceneri della precedente. È necessario fare piazza pulita, rompere gli schemi di pensiero e di azione che hanno caratterizzato la vita personale e sociale fino a quel momento: il tempo, lo spazio, il linguaggio, ma anche i valori della morale collettiva e individuale. Proprio come prescrive Nietzsche, che ne Il crepuscolo degli idoli sprona l’uomo a «filosofare col martello». Cortázar, però, fa vibrare il suo martello contro un punto particolare del grosso monolite noto come cultura occidentale, e cioè contro il modo di fare letteratura tipico del romanzo classico. Il romanzo in senso stretto, per Cortázar, non è altro che un esercizio di stile dai tratti manieristici e stereotipati: una sorta di guscio caldo e accogliente, un gioco dalle regole già note, che torna comodo tanto all’autore quanto al lettore – il primo scrive seguendo un percorso già tracciato da altri; il secondo non deve fare altro che lasciarsi guidare nell’intreccio della storia seguendo un percorso lineare, dalla prima all’ultima pagina, come un turista che segue la sua guida per le vie di una città d’arte. Questo stilema trito e ritrito è esattamente ciò che Cortázar intende rigettare: e infatti Rayuela «non è un romanzo, ma una lunga narrazione che in definitiva finirà per essere la cronaca di una pazzia».

Ultima edizione italiana (Einaudi, 2015).

Rayuela – così come Componibile 62, che ne costituisce il seguito e che ripropone il meccanismo co-autoriale del “saltellare” tra i capitoli – è un’opera sui generis, unica e pionieristica, in cui il lettore è chiamato a costruire in prima persona l’intreccio narrativo. Chi legge Rayuela vive un’esperienza tradizionalmente preclusa al mondo dei lettori: tessere con le proprie mani i fili della narrazione. Da qui, l’ovvia – ma affatto banale – conseguenza: chi legge si ritrova ad avere in mano un oggetto diverso, una storia diversa, a seconda del “libretto di istruzioni” che avrà scelto di seguire. Esistono in effetti due possibili alternative: leggere Rayuela dall’inizio alla fine, come un romanzo che romanzo non è; o seguire l’ordine indicato nella Tavola che si trova all’inizio del libro. Ma non finisce qui: Cortázar stesso ricorda – e non si può fare a meno di immaginarlo, nel proferire queste parole, con un ghigno divertito – che «altri […] non avevano voluto seguire né il primo né il secondo modo di lettura, e con procedimenti a volte quasi magici – tirando i dadi, per esempio, o estraendo numeri da un cappello – avevano letto il libro seguendo un ordine totalmente diverso. E il libro era arrivato a tutti, in un modo o nell’altro».

Sarà forse un po’ meno oscuro, ora, il senso delle parole che Pablo Neruda dedicò all’eclettico scrittore argentino: «Leggi Cortázar e saprai da cosa ti sei salvato: ignoralo e sarai condannato, ma non saprai a cosa». A non poter entrare in un libro, forse. A non potersi muovere liberamente tra le sue pagine, come in un labirinto di specchi o in un caleidoscopio. A non poter giocare il gioco del mondo.

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Alfonsa Laonigro

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