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Settant’anni di NATO tra storia e sfide future

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Lorenzo Ricchitelli

La NATO è una delle collaborazioni sovranazionali più longeve della storia recente. Il 4 aprile di quest’anno si sono festeggiati i settant’anni di questa Organizzazione, dato che nel 1949 trenta Paesi siglarono, a Washington, l’atto costitutivo dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Lo scorso 1 aprile, theWise ha partecipato a una conferenza presso il Centro di Studi Americani per rinnovarne l’importanza. L’attuale ambasciatore americano in Italia, Lewis M. Eisenberg, ha richiamato soprattutto i valori e i principi originari di questi settant’anni di NATO, sottolineando la rilevanza odierna  dell’articolo 5 del trattato, il quale corrisponde al principio della difesa collettiva, che tornò all’attenzione in particolare dopo l’attentato delle Torri Gemelle. Perché oggi è importante ricordarlo? Qual è la posizione della NATO oggi rispetto agli anni in cui è stata creata?

I principi del Trattato all’interno del mutamento geopolitico e storico

Per rispondere ai quesiti, occorre ripercorrere la storia della NATO e un buon punto di partenza è guardare al Trattato stesso:

«Parti del presente Trattato, riaffermando la propria fede negli scopi e nei principi della Carta delle Nazioni Unite, ed il desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi […] desiderosi di favorire nella regione dell’Atlantico settentrionale il benessere e la stabilità, decisi a riunire i loro sforzi per la loro difesa collettiva e per il mantenimento della pace e della sicurezza, hanno siglato d’intesa il presente Trattato del Nord Atlantico».

Questi sono stralci del preambolo che apriva il testo del 1949, ma già queste poche righe chiariscono quale fosse lo scopo iniziale del Trattato: la difesa collettiva e la preservazione della pace sono i baluardi su cui si regge da settant’anni la NATO. Bisogna dire che questo passo enorme nella cooperazione internazionale non fu totalmente spontaneo, poiché fu l’esperienza dell’anno precedente, con la crisi di Berlino, che segnò la comunità internazionale. La creazione del Ponte aereo coordinata dagli Stati Uniti fu un’anticipazione della NATO, portando questi due eventi consequenziali a rappresentare il punto di svolta storico della seconda metà del Novecento. Successivamente al 1949 iniziò il quarantennio della Guerra Fredda, dove il mondo si divise a metà, ancor di più dopo il 1955, anno in cui il 14 maggio nasceva l’altro polo rappresentato dal Patto di Varsavia. Dopo la morte di Stalin sicuramente gli attriti tra i due blocchi si affievolirono, poiché la figura del leader comunista si legava indissolubilmente alle tensioni mondiali; rimane comunque chiaro che la NATO nacque per contrastare l’URSS. Successivamente il Patto Nord Atlantico, sotto l’egida degli USA, si erse a bandiera del mondo occidentale, ma durante questo lasso di tempo non vi furono mai attacchi diretti, piuttosto quella che si giocò fu una vera e propria partita a scacchi. Possiamo descrivere brevemente le caratteristiche di questo scontro appigliandoci alle teorie delle Relazioni Internazionali, delineando questi pochi punti:
1. Vi è una proporzione tra i due attori (
entrambi riconoscibili e definiti)
2. Vi è reciprocità sul piano giuridico
3. Si può parlare di “conflitto reciproco”
4. La “partita” si gioca in fronti e luoghi ben delineati
.

Un esempio lampante di questo tipo di conflitto fu la Guerra in Vietnam; sostanzialmente il ventennio del conflitto asiatico racchiude tutte le caratteristiche appena elencate. Questo fu solo uno dei tanti fronti in cui le due superpotenze si sfidarono, sulla base delle sfere di influenze e di interesse. Un altro punto di svolta avvenne negli anni Ottanta, con l’arrivo di due figure fondamentali, quali Michail Gorbačëv e Ronald Reagan, protagonisti del progressivo affievolimento delle tensioni.

Gorbačëv e Reagan alla firma del Trattato Inf. Fonte: notiziarioestero.com

Si arrivò così all’8 dicembre del 1987 a Washington, dove USA e URSS siglavano il Trattato Inf. Effettivamente cosa stabiliva questo testo? L’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty fu l’atto che pose fine alla vicenda degli euromissili, dato che l’oggetto del Trattato furono i missili nucleari a raggio intermedio installati da USA e URSS sul territorio europeo. Già allora il Patto Nord Atlantico stava perdendo la sua originaria natura, tuttavia il crocevia storico arrivò qualche anno dopo, nel 1991: lo sfaldamento dell’URSS, assieme alla caduta del Muro di Berlino, comportarono la fine del mondo comunista, assieme alla relativa dissoluzione del fantasma della minaccia russa. Si apriva allora un’altra parte all’interno dei 70 anni di NATO. Il decennio finale del XX secolo fu contraddistinto dal contesto  della “responsabilità di proteggere”, quando la NATO difatti si rese protagonista (non sempre positivamente) di una serie di interventi umanitari. Nel 1995 all’interno della guerra in Bosnia partì l’operazione Implementation Force: dopo la strage di Milošević, Bush riuscì a far affidare alla NATO la missione, ma successivamente alla morte di alcuni marines nell’operazione in Somalia, gli USA utilizzarono il principio zero risks: nessun marine americano avrebbe corso il rischio di perdere la vita; l’operazione si ridusse così a un bombardamento a tappeto del territorio bosniaco. Successivamente vi fu l’operazione Stabilisation Force, per mantenere gli accordi di Dayton, e qualche anno dopo la NATO torno nuovamente protagonista: il 12 giugno del 1999 lanciò l’operazione KFOR in Kosovo. Nello specifico si trattò di un’operazione di Peace Building in cui sostanzialmente le forze del Patto Nord Atlantico posero fine agli scontri sul territorio kosovaro.

L’immagine simbolo dell’attentato dell’11 settembre: le due torri colpite. Fonte: Skytg24

Tuttavia la storia della NATO doveva ancora attraversare un ulteriore traumatico crocevia: l’11 settembre del 2001 vi fu l’attentato che sconvolse il mondo, quello occorso alle Torri Gemelle. Questo evento fece mutare ancora pelle alla NATO, che entrava nell’epoca della “Guerra globale al terrorismo”, virando le sue attenzioni verso il suo nuovo nemico: Al-Quaeda. Come primo atto di questa nuova fase vi fu l’inizio di una nuova operazione: il 20 dicembre del 2001 partì la missione della NATO chiamata ISAF (International Security Assistance Force), il cui terreno fu l’Afghanistan,Stato dove il governo era appena stato rovesciato dalla collaborazione dei Talebani con Al-Quaeda. Dunque il fronte d’azione della NATO cambiò ulteriormente, poiché non era più l’Europa il centro delle preoccupazioni della sfera atlantica, ma nella sostanza lo era diventato il Medio Oriente. Proprio in questo nuovo scenario tornò all’attenzione il principio dell’articolo 5 della carta NATO, precedentemente citato, essendo però mutato l’avversario del fronte occidentale, il quale era un soggetto “non identificabile”. Tuttavia la NATO simultaneamente si ritrovò di fronte quella iniziale partita a scacchi, virando nuovamente l’attenzione verso quei quattro punti sopra elencati; ovviamente l’ISAF cessò non per caso nel 2014, quando le priorità del Patto Atlantico erano nuovamente mutate, ma in un senso quasi retroattivo: il nuovo avversario era lo stesso di 60 anni prima.

Gli ultimi di questi 70 anni di NATO: tra sfide future e scenari passati

Come prima ricordato, l’avversaria degli USA era stata proprio la Russia (URSS all’epoca). Sicuramente la morte nel 1953 di Stalin, come prima ricordato, fu sintomo di un profondo cambiamento della posizione russa. Questo cambiamento fu annunciato da Nikita Chruščëv nel XX congresso del Partito Comunista Sovietico nel 1956, dove il nuovo segretario del Partito diede inizio alla fase di “destalinizzazione”: concretamente l’URSS mostrò al mondo che la sua struttura non sarebbe più ruotata attorno al “culto della personalità”, dando inizio quindi a quella fase di “distensione” che sarebbe incrementata successivamente con la figura di Gorbačëv.

Vladimir Putin, attuale leader russo. Fonte: washingtonexaminer.com

Allora perché la Russia dovrebbe essere tornata a impensierire gli USA e la NATO stessa? L’ambasciatore Eisenberg ha sottolineato come «negli ultimi anni la Russia abbia adottato una politica aggressiva». Proprio questo atteggiamento ha fatto riemergere l’importanza della difesa collettiva del Patto Atlantico.Ma quando è iniziata questa politica russa? Sicuramente con l’arrivo di una figura che richiamasse il culto personalistico di Stalin: nel 2012 Vladimir Putin venne eletto Presidente della Federazione Russa; durante il suo mandato, ancora attivo, Putin ha dato il via a una serie di politiche che possono essere annoverate sotto la casella di “sfide presenti e future” per la NATO. Il concetto è rafforzato dal fatto che il Patto Atlantico si vede contrapposto un vero e proprio blocco asiatico: politicamente la Russia non ha più quella leadership che invece ha rappresentato fino alla caduta del Muro, e oggi l’attore globale che si può opporre agli USA e alla NATO è la Repubblica Cinese. Dunque proprio sotto la guida cinese, la Russia si sta opponendo al dominio statunitense e sta scalfendo la sicurezza atlantica. Un’altra delle possibili sfide è sicuramente l’ambigua posizione della Turchia: nonostante sia membro della NATO dal 1952, la Turchia si sta infatti progressivamente allontanando dall’Atlantico. Secondo Erdogan gli USA stanno ancora oggi tenendo esule l’autore del tentato colpo di stato del 2016, Fetullah Gulen; maggiormente ambigua fu la scelta, nel 2017, da parte della Turchia di stipulare un accordo con la Russia per l’acquisto di un pacchetto di sistemi antimissile S-400 del valore di 2,5 miliardi di dollari. Sicuramente questa azione turca non può essere stata valutata positivamente dalla NATO e soprattutto da Washington, i quali hanno puntato una lente di ingrandimento sulle prossime mosse di Erdogan.

Forze NATO durante le esercitazioni nel Baltico. Fonte: portaledifesa.it

Più recentemente la NATO ha dato una forte risposta a questa politica aggressiva russa. A tale scopo tra Ottobre e Novembre 2018 si è svolta la esercitazione Trident Juncture: questo scenario ruota totalmente al richiamo dell’articolo 5, riferimento utilizzato per questa letterale dimostrazione di forza della NATO. L’esercitazione ha coinvolto più di 40.000 soldati, ma proprio la Russia è stata coinvolta in un “incidente”; proprio in quello stesso lasso di tempo la Russia ha deciso di testare un nuovo missile ipersonico, chiamato Avangard, giustificandosi con la presunta natura difensiva del test, come ugualmente fatto per l’esercitazione da parte della NATO. Questo accadimento si può annoverare come una probabile questione che la NATO nel prossimo futuro dovrà gestire. Un altro ancora non definito ma possibile futuro scenario è quello della zona dell’Artico: anche qui il fronte vede contrapposti NATO e Russia. Washington in primis non ha reagito positivamente alla futura costruzione di una base militare russa in quelle zone  e in tutta risposta la NATO stessa ha la necessità di padroneggiare le zone fredde, poiché non ha ancora i mezzi per navigare i mari del Nord; a tal fine sono iniziate recentemente le esercitazioni NATO Nanook-Nunalivut in Canada. La situazione attuale è dovuta agli effetti disastrosi del cambiamento climatico, che stanno comportando il costante scioglimento dei ghiacci: questo fenomeno ambientale sta aprendo una strada naturale alla Russia verso l’America del Nord. Questi esempi mostrati in sostanza fanno capire quali sono i fronti su cui combatterà la NATO. In conclusione questi settant’anni di NATO ruotano attorno a quell’articolo 5, quella difesa collettiva che in un eterno ritorno sta ridivenendo necessaria per la “nuova” presenza di quel vecchio avversario a scacchi.

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