Manca un anno e mezzo alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. La campagna elettorale, però, è iniziata già da tempo e sta entrando nel vivo. Gli occhi sono puntati sul Partito Democratico, ovviamente, il cui candidato andrà a sfidare l’attuale presidente Donald Trump. Il campo è a dir poco affollato: dalla sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, infatti, il partito è alla ricerca di un leader e di un’identità ben precisa che però non è ancora riuscito a trovare. Dunque, a maggio 2019, a poco più di un anno dall’effettiva nomina del vincitore delle primarie democratiche, i candidati in lizza sono ben ventuno, per adesso. Diversi tra loro per generazione, background culturale, provenienza territoriale, esperienze passate, sono però accomunati dalla volontà di diventare leader del partito e, soprattutto, di dare del filo da torcere a Trump.
Joe Biden
L’ultimo ad unirsi alla corsa per la presidenza è stato Joe Biden. Con un video di circa tre minuti e mezzo ha annunciato la sua candidatura ed è immediatamente schizzato in cima ai favoriti per la nomination democratica. Settantasei anni, ex vice presidente degli Stati Uniti durante l’era Obama, Biden è uno dei candidati più forti di questa tornata elettorale. Ha una notorietà e un curriculum invidiabili, anni di esperienza nei palazzi di Washington ed è considerato uno dei maggiori esperti di politica estera. Gli anni al governo, però, potrebbero da una parte essere un vantaggio, dall’altra una zavorra pesante sulle sue spalle. Biden partecipa alle decisioni politiche nazionali, in un modo o nell’altro, da quarant’anni, questo fa di lui un membro dell’establishment a tutti gli effetti. Potrebbe non piacere ai giovani e a tutti gli elettori democratici che invece sono alla ricerca di novità.
Durante il suo messaggio di candidatura, Biden ha mantenuto le sue posizioni centriste, con qualche riferimento religioso che agli americani non dispiace mai. I toni sono moderati e affabili come al solito: l’ex senatore non ha attaccato nessuno dei suoi sfidanti alle primarie, ma si è concentrato su un attacco ferrato all’attuale presidente Trump. Ha sottolineato la necessità di cambiare rotta alla politica statunitense. Senza parlare di politiche concrete e ideologie, per il momento, Joe Biden si propone come figura matura, con grande esperienza, in grado di dare stabilità al paese. Il pericolo più grande, dunque, sarebbe la rielezione di Trump che, secondo Biden, potrebbe cambiare per sempre «l’essenza della nazione americana». La reazione di Donald Trump non si è fatta attendere: il presidente in un tweet ha etichettato il candidato democratico come «Sleepy Joe».
Comunque, negli anni, Joe Biden è riuscito a guadagnarsi la stima della maggior parte degli americani, sia per la sua storia personale molto travagliata, sia per il suo lavoro al governo. È un candidato forte, senza dubbio, ma i fattori in gioco in queste primarie sono tanti e imprevedibili. In un momento in cui il partito Democratico sembrava voler puntare su nuove leve, l’età e l’esperienza di Biden potrebbero non essere un elemento a suo vantaggio. La sua candidatura potrebbe essere un enorme successo, come invece potrebbe essere un flop.
Bernie Sanders
Tra i big, appena dietro a Joe Biden, secondo i sondaggi, c’è Bernie Sanders. Settantasette anni, senatore del Vermont, è stato lo sfidante di Hillary Clinton alle primarie democratiche del 2016. Nonostante la sconfitta, è riuscito a ottenere notorietà e un grandissimo consenso tra i giovani militanti del Partito Democratico e non solo: basti pensare che l’astro nascente dei democratici, la giovane deputata Alexandria Ocasio Cortez, è nata tra le fila dei movimenti “sandersiani”. Le sue proposte sono simili a quelle di quattro anni fa, indirizzate a migliorare la sicurezza sociale del paese, tramite una politica economica mirata a ridurre le diseguaglianze sociali. Anche per lui, la sfida non è semplice: l’età e le idee ritenute “socialiste” – anche se, da un’ottica europea, hanno ben poco di socialista – dalla maggior parte degli americani non aiuteranno Sanders nella corsa alla nomination, ma non è assolutamente un candidato da sottovalutare. Ha ereditato dalla sua precedente campagna una macchina elettorale e una rete sociale non indifferente che saranno essenziali per la corsa alla presidenza.
Sei donne candidate
La terza figura “ingombrante” di queste primarie è, senza dubbio, Elizabeth Warren. Senatrice del Massachusetts ed ex professoressa di economia ad Harvard, la Warren è stata la prima ad annunciare la sua candidatura alle primarie democratiche. È nota agli americani per la sua forte critica al mondo della finanza e delle grandi imprese. In questi anni ha cercato, insieme a Bernie Sanders, di spingere la politica del partito più a sinistra, soprattutto in campo economico. La sua proposta più popolare è, senza dubbio, quella dell’eliminazione dei prestiti statali concessi agli studenti per frequentare il college. I sondaggi la danno al terzo posto nella corsa alla nomination, ma la sua popolarità negli ultimi tempi sta scendendo notevolmente.
La Warren, inoltre, è solamente una delle sei donne in lizza per le primarie, un numero notevole, anche per i democratici. Insieme a lei, Tulsi Gabbard, trentottenne, ex maggiore dell’esercito, ha delle idee molto controverse in fatto di politica estera e si è spesso distanziata dalle scelte del suo partito. Kirsten Gillibrand, deputata che si è fatta notare per i suoi attacchi a Donald Trump e la sua difesa della causa “femminista”. Kamala Harris, senatrice della California, è molto vicina alle idee di Elizabeth Warren in fatto di politica economica: propone una riduzione netta delle tasse per le classi meno abbienti. Infine, ci sono Amy Klobuchar e Marianne Williamson.
Tra gli outsiders nella corsa per la nomination democratica, invece, non si possono non nominare Beto O’Rourke e Pete Buttigieg.
Beto O’Rourke
O’Rouke si è guadagnato la fama e il rispetto dell’opinione pubblica e del suo stesso partito grazie alla sua partecipazione alle elezioni per il seggio del Senato del Texas nelle elezioni di metà mandato dello scorso novembre. È stato sconfitto dal repubblicano Ted Cruz per pochissimi voti, ma in uno stato come il Texas può essere considerata una mezza vittoria. Beto O’Rouke ha quarantasei anni, ha poca esperienza politica, essendo stato fino a poco tempo fa il proprietario di una piccola azienda di software, ma ha delle idee molto precise in materia di immigrazione, sicurezza e assistenza sociale. Le sue doti oratorie e il suo carisma hanno reso il paragone con Barak Obama molto facile. In effetti, i punti di contatto tra i due sono molteplici: dalla proposta di una riforma sanitaria, al modo di condurre la campagna elettorale basandola sul lavoro dei volontari, allo stile comunicativo diretto ed immediato. La corsa è difficile, ma Beto potrebbe attestarsi appena dietro a tre “big”.
Pete Buttigieg
Lui è il vero outsider di queste primarie. Ha trentasette anni, era praticamente sconosciuto fino a poco tempo fa, la sua notorietà è esplosa grazie alle performance oratorie degli ultimi mesi. Ha un profilo e una storia personale molto accattivanti: è il primo candidato ufficialmente gay alle primarie del Partito Democratico, ha prestato servizio in Afghanistan, parla otto lingue e sembra il candidato ideale per attirare i giovani americani. La sua esperienza in politica, però, è praticamente pari a zero, soprattutto sul fronte nazionale. Questo potrebbe ridimensionare la sua figura e non dovrebbe renderlo un effettivo pericolo per i favoriti. È però un candidato che il Partito Democratico potrebbe coltivare per i prossimi anni.
Ci sono, poi, altri undici candidati per la nomination democratica: Cory Booker, Julián Castro, John Delaney, Mike Gravel, John Hickenlooper, Jay Inslee, Wayne Messam, Seth Moulton, Tim Ryan, Eric Swalwell e Andrew Yang (quest’ultimo con un vivace sostegno online, a cui abbiamo dedicato un’approfondita analisi). Il campo di gioco dunque, è davvero affollato. C’è chi si è candidato con la reale volontà di arrivare alla presidenza, chi vuole invece solo acquisire notorietà in vista di altre elezioni, chi vuole guadagnare esperienza conducendo una campagna elettorale che è senza dubbio impegnativa o chi vuole, invece, vuole portare nel dibattito nuovi temi. Si parla di cambiamento climatico, di armi, di disuguaglianza sociale, assistenza sanitaria, di immigrazione e di regolamentazione della finanza. Tutti temi importanti per il Partito Democratico, ma su cui spesso i candidati non sono d’accordo. C’è un mosaico di idee, tendenze e background completamente differenti che fanno sì che, anche tra i nomi più noti, non ci sia un vero e proprio favorito. Ciò che unisce le proposte di tutti, però, è senza dubbio la contrapposizione al presidente Donald Trump. I democratici insistono sul bisogno di interrompere l’attuale linea governativa della Casa Bianca, in nome dei valori e dei principi profondi degli Stati Uniti d’America.