Dopo la mossa di apertura di Guaidò a gennaio di quest’anno (con la proclamazione a presidente del Venezuela secondo gli articoli 233 e 333 della Costituzione) e alcuni scontri nelle zone di confine all’arrivo degli aiuti alimentari e materiali dalla Colombia, la situazione venezuelana era tornata in una calma purtroppo solo apparente. La permanenza di scontri di lieve entità tra Maduro e gli oppositori, con l’esercito venezuelano e la polizia non in grado di dare prova di assoluta coesione dietro a uno dei due schieramenti, è stata sicuramente indice di una situazione non ancora ricomposta e in attesa di una scintilla per precipitare nuovamente.
Fatto che si è verificato quando, il 30 aprile, Guaidò si è presentato di fronte alla base aerea di La Carlota (situata a est di Caracas) e ha liberato l’attivista antichavista Leopoldo Lopez, agli arresti dal 2014 dopo aver promosso una manifestazione poi repressa nel sangue. Lopez è altresì capo di Voluntad Popular, tra i principali partiti di opposizione del Paese. Entrambi i leader dell’opposizione sono apparsi in diretta televisiva chiedendo al resto delle forze armate di unirsi compatti dietro di loro per scacciare definitivamente Maduro dal paese.
Maduro, dal canto proprio, ha chiesto l’intervento diretto dell’esercito e, nel corso della giornata successiva, ne ha lodato la coesione. Le uniche manifestazioni di compattezza, tuttavia, sono giunte dalla Guardia Nacional Bolivariana, reparto di gendarmeria, difesa civile e fanteria leggera, considerato molto vicino a Maduro. Diversi reparti della GNB si sono mossi in direzione della base aerea di La Carlota per riprendere il controllo della situazione, ma solo nel momento in cui Lopez e Guaidò se ne erano già andati. Dopo un fitto lancio di lacrimogeni la situazione si è nuovamente tranquillizzata.
Maduro ha cercato di sollevare anche la scena internazionale a suo favore parlando di “golpe” quando quello di Guaidò è stato più un tentativo di ottenere ulteriore sostegno dai militari e lanciare una serie di scioperi a catena da realizzarsi nei prossimi giorni. La mossa di Maduro ha provocato un intervento russo (che avrebbe invitato il dittatore a rimanere sulle sue posizioni, secondo fonti statunitensi) e una conseguente stretta della GNB sulle manifestazioni del giorno dopo. Le proteste sono andate in scena in tutto il paese con una fortissima partecipazione popolare. L’intervento della GNB si è concretizzato con l’uso di blindati (in diverse immagini diffuse dalla BBC si sono visti lanciati a tutta velocità sulla folla). Il bilancio dal 20 di aprile è di cinque morti e oltre quattrocento arrestati.
Quella che doveva essere la “spallata” a Maduro ha di certo colpito il regime ma questo, forte degli appoggi internazionali di Russia e Cuba, è rimasto in piedi. L’ago della bilancia al momento è rappresentato dall’esercito, che si trova spaccato orizzontalmente, con i soldati e gli ufficiali di basso rango più vicini alle posizioni di Guaidò, mentre i generali e gli stati maggiori sono leali a Maduro. Ciò che impedisce alla “truppa” di ribellarsi sono gli effettivi cubani che sono stati lasciati entrare nel paese da Maduro e che fungono da rinforzo per i servizi d’intelligence del regime. Secondo fonti d’opposizione circa tra i duemilacinquecento e i tremila soldati sono arrivati nel Paese con l’unico scopo di tenere sotto controllo i gradi più bassi dell’esercito di Caracas. Maduro, dal canto suo, ribatte dicendo che il contingente cubano è formato da soli medici militari. La linea di faglia all’interno dell’esercito venezuelano non è precisa, considerando la simpatia di alcuni alti gradi, tra cui il generale di divisione Cristofer Figueira, per Guaidò.
L’esercito venezuelano è sostanzialmente paralizzato dalla lotta tra le due anime del Paese, quella fedele a Maduro e quella più vicina a Guaidò: questo impatta anche la sua capacità di essere efficace nel controllo del territorio. Durante la scorsa settimana un convoglio dell’esercito è stato attaccato da bande di criminali durante un’imboscata presso Magdaleno, in una zona rurale a sudovest di Caracas. Il bilancio dell’attacco è di cinque morti tra polizia ed esercito. Sul confine occidentale, l’Ejército de Liberación Nacional colombiano sta usando il Venezuela come retroterra tattico per le incursioni in Colombia, con ovvie conseguenze sulle popolazioni locali.
In una situazione di questo tipo l’esercito venezuelano sarebbe costretto a una scelta compatta di campo, ma manca una compattezza tra le diverse anime che compongono le forze armate: la GNB e l’aviazione vicine a Maduro, l’esercito e la marina più vicine a Guaidò. Questo è uno scenario estremamente pericoloso, considerando che una definitiva spaccatura porterebbe il Venezuela in una guerra civile “calda” che il Paese, già stremato dalle politiche economiche degli ultimi vent’anni, di certo non è in grado di sopportare senza diventare una res nullius in mano a potentati locali e signori della guerra.
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