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Decreto crescita: opportunità per il calcio, o arma a doppio taglio?

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Arnaldo Figoni

Da qualche settimana – precisamente dal 30 aprile – è stato approvato il cosiddetto Decreto Crescita. In vigore dal 1 maggio, è un atto legislativo che prevede numerose novità, come le agevolazioni introdotte per il pacchetto famiglia o il piano per attuare il “rientro dei cervelli” a partire dall’anno fiscale 2020. Nel decreto legge sono presenti importanti diminuzioni sulle imposte per i cittadini italiani e stranieri che non hanno risieduto in Italia negli ultimi due anni, con ulteriori sgravi fiscali se questi si trasferiscono nelle regioni del Mezzogiorno. Un concetto che viene esteso non solo a docenti e ricercatori, ma anche a coloro che percepiscono redditi da lavoratore, autonomi e anche di impresa. Di fatto, anche gli sportivi professionisti sono dei lavoratori e anche loro – stando al nuovo decreto – rientrerebbero in quelli che sono i requisiti. Perciò, un calciatore proveniente dall’estero potrebbe preferire la Serie A a un altro campionato. Oppure se un calciatore italiano – ad esempio, un Verratti – tornasse in Italia nella finestra di mercato, riceverebbe una forte agevolazione fiscale su quello che sarebbe un suo eventuale ingaggio. Per quanto il Decreto Crescita possa aumentare quello che è l’appeal del nostro campionato nei confronti dei giocatori esteri, allo stesso tempo si rischia un effetto backlash, un contraccolpo che potrebbe fare male alla nostra Nazionale.

La riunione del Consiglio dei Ministri in cui è stato approvato il Decreto Crescita. Foto: Getty Images.

Si arriverebbe a una situazione per cui, se prima le squadre di calcio andavano a comprare giocatori stranieri per scelta tecnica, potrebbero ora acquistarli perché, paradossalmente, verrebbero a pesare meno sul bilancio. La quota di reddito calerà dal cinquanta al trenta per cento, ed è questa la grande rivoluzione che riguarda il calcio: un giocatore che arriva a giocare in Italia riceverebbe meno trattenute fiscali da parte dello Stato. Un esempio pratico: se Cristiano Ronaldo fosse arrivato alla Juventus nella sessione di mercato che sta per iniziare, la società avrebbe dovuto versare al fisco “solo” nove milioni dei trenta di ingaggio netti percepiti dal portoghese. Una dinamica che potrebbe portare tantissimi giocatori verso le squadre italiane, o giocatori italiani e non che hanno già giocato in Italia in precedenza. Si parla infatti di atleti come Cavani, che potrebbe tornare in quel di Napoli, ma anche di Alexis Sanchez, che sarebbe finito nel mirino dell’Inter. Soprattutto, si parlerebbe di giocatori che spesso sono stati accostati al calcio italiano come Adrien Rabiot o Luka Modrić. Curiosamente, anche Antonio Conte, qualora si confermassero le voci che lo vedrebbero come candidato numero uno per la panchina nerazzurra, potrebbe usufruire dell’agevolazione fiscale data dal Decreto Crescita.

Antonio Conte, argomento scottante del mercato allenatori, potrebbe tornare in Italia e usufruire dei vantaggi legati al Decreto Crescita. Foto: Getty Images.

Tutto ciò potrebbe giovare al nostro campionato in termini di competitività: spesso la Serie A è stata accusata di essere una lotta troppo scontata. Quest’anno soprattutto, con la Juventus che ha conquistato il suo ottavo scudetto consecutivo con cinque – che potevano essere sei – giornate d’anticipo. Tutti questi movimenti che porterebbero giocatori e allenatori di profilo internazionale nella Serie A potrebbero essere di giovamento, andando a mescolare un po’ le carte. Oltre a questo, non è un mistero che molti calciatori abbiano preferito alcune destinazioni rispetto ad altre per questioni legate alle tasse. Viene subito alla mente l’esempio dell’AS Monaco. Il team del Principato, pur partecipando al campionato francese, rispetto alle compagini transalpine aveva un vantaggio in termini fiscali, dato che la squadra a tutti gli effetti è di Monte Carlo. Cosa che fece infuriare tantissimo le altre squadre nei confronti della Federazione francese, dato che il Principato è noto per non applicare tassazioni né sul patrimonio né sul reddito.

Quindi, ricapitolando, in termini economici sarebbe vantaggioso per i giocatori – ma anche per le società – fare acquisti di profilo internazionale. Dall’altro lato questa volontà di aumentare l’appeal della Serie A, attirando calciatori provenienti dall’estero con ingaggi meno tassati, può avere un effetto contrario nello sviluppo di atleti per la Nazionale. Torniamo indietro, per l’ennesima volta, a Italia-Svezia del novembre 2017. Dopo quello che è stato un incidente di percorso del playoff mondiale, a lungo si è parlato di valorizzare i giovani. L’opinione pubblica è tornata a recitare il classico mantra che si sente dopo che la Nazionale non fa bene in competizioni internazionali. Si parla quindi di cose sentite e risentite, come le greatest hits: «Ci sono troppi stranieri nel calcio» oppure «Le società devono investire sui giovani italiani». Bisogna dare atto al Ct azzurro, però, che dopo la débâcle del playoff c’è stata effettivamente una ventata di novità all’interno della Nazionale. Con l’arrivo di Mancini sulla panchina azzurra, in concomitanza con l’addio di alcuni giocatori ai colori della Nazionale, nuovi giocatori si sono ritagliati spazi importanti. Sono i vari Barella, Zaniolo, Kean, Cragno, Tonali, ragazzi giovani che pur essendo ancora convocabili per le nazionali under, vengono presi in considerazione dal CT, ricevendo chances importanti per mettersi in luce. L’Italia del pallone è effettivamente ripartita da loro.

Moise Kean e Nicolò Barella, presente e prossimo futuro della Nazionale Italiana. Col Decreto Crescita, lo sviluppo di profili come il loro potrebbe venire meno. Foto: AFPS.

Per quanto non è detto che il Decreto Crescita possa interrompere lo sviluppo di un vivaio nazionale di livello, c’è sempre un elemento di rischio, soprattutto se si pensa all’aziendalismo e non a un progetto sportivo. Esempio molto semplice: perché una squadra di metà classifica dovrebbe sostenere un costo enorme per comprare un giocatore italiano giovane, quando può risolvere un problema tecnico semplicemente spendendo meno? Non si può neanche biasimare la scelta in tal senso di una società, che fino a prova contraria è un’azienda. E il Decreto Crescita punta a far ripartire proprio queste, in modo da attirare capitale umano. Nel nostro caso, calciatori. Effettivamente, se un giocatore italiano decidesse di trovarsi una nuova squadra nel nostro campionato, tra compenso di trasferimento, ingaggio e trattenute fiscali andrebbe comunque a costare meno di un giocatore più affermato ma proveniente dall’estero. Ipotizziamo: Chiesa decide di lasciare la Fiorentina per un’altra squadra italiana. Il futuro ingaggio del giovane viola sarebbe tassato del 50% e non del 30%, come accadrebbe nel caso del Decreto Crescita. Uno scenario che può ripetersi per qualsiasi giocatore presente nella nostra Serie A ad oggi. E si ritorna quindi al solito paradosso dell’investire sul potenziale del calcio italiano, ma con l’attenzione a trovare l’affare proveniente dall’estero, in una sorta di «meglio un uovo oggi o una gallina domani?» pallonaro, fino al prossimo incidente di percorso azzurro. A quel punto si tornerà a parlare di dover investire sui giovani, e il ciclo si ripeterà.

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Arnaldo Figoni

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