C’è un’ironia ovvia e crudele negli articoli che cercano di dipingere la sofferenza dell’essere tremendamente ricchi[1]. Qualcosa di intrinsecamente grottesco, che porta a domandarsi se la loro stesura non sia poi una scusa per raccogliere i click indignati di chi vuol lamentarsene. Eppure esiste un certo vittimismo nell’uno percento, misto all’auto-esaltazione, che è reale e presente. E non c’è figura che meglio incarni questo misto di sentimenti di Marco “Monty” Montemagno. Marco Montemagno è un imprenditore/intrattenitore/ex atleta di pingpong[2]/vlogger e recentemente anche intervistatore di svariate figure del web. La sua attività principale, tramite la quale genera la maggior parte del suo traffico, (al momento in cui si scrive) è la realizzazione di una serie di video giornalieri, di cinque minuti circa, in cui spiega o commenta un fatto d’attualità. Spazia su qualunque tema, dallo sport ai videogiochi, ma tendenzialmente si concentra su economia e imprenditoria e le strategie per il management d’impresa. Comprendere i meccanismi tramite cui Montemagno funziona significa prendere consapevolezza di come la classe imprenditoriale[3] vede se stessa, e interagisce con sé stessa, quando crede di essere fra intimi. Come si mette a nudo, in un certo senso. Ed è quindi utile analizzare ciò che Montemagno dice di sé, ogni volta che parla.
Marco Montemagno è fondamentalmente, ontologicamente acritico. Leggendo di come duemila dipendenti Amazon stiano per essere licenziati e sostituiti da droni, non manifesta né dispiacere per quelle persone né cerca di ricontestualizzare il licenziamento in un’ottica di positivo progresso tecnologico; si limita ad ammirare l’automatizzazione con un luccichio negli occhi, e sorride soddisfatto. Guarda i robot volare e commenta che si tratta di una figata. Per Montemagno, la realtà si presenta nella forma di una rassegna stampa: l’elenco di ciò che è già successo, a cosa fatta, di cui si può solo prendere atto, commentare e andare avanti. Nel mondo dipinto da Montemagno il successo è auto-esplicativo e sempre giustificato. Tutti quelli che hanno, hanno perché lo meritano, e nella misura in cui lo meritano. Sfruttamento e scelte amorali non esistono, e quando lo fanno[4] non possono convivere con gli elementi positivi. O si è buoni o si è cattivi.
Marco Montemagno pretende di spiegare le cause dalle conseguenze, e che ci sia una consequenzialità lineare fra le due. Questo diventa più complicato e al limite dell’ipocrita, man mano che il mondo si rivela nelle sue contraddizioni: loda in una serie di video le complesse campagne marketing che hanno causato il successo di vari film e videogiochi, e quando Apex Legends raggiunge popolarità enorme senza aver avuto alcun tipo di marketing, semplicemente constata la cosa, sorride, e continua immutato. Dividendo gli argomenti uno per video, e concentrandosi ogni volta su una storia di successo differente, non deve mai porsi di fronte a come a volte si possa fare tutto giusto e non riuscire comunque.
Marco Montemagno accetta tutti gli ordini e le strutture precostituite della realtà, non perché compiacente, ma perché non si pone nemmeno la domanda. Di fronte a storie di persone che per anni hanno lavorato ottanta ore a settimana, ne loda l’impegno; di fronte a chi ha avuto un’idea di successo ed è diventato milionario in otto settimane, ne loda il talento; di fronte a casi come quello di Kylie Jenner, ne loda la forza del brand e come si sia conquistata l’amore del pubblico. In nessun caso sembra trarre considerazioni sulle differenze fra i tre. Quando Martina Dell’Ombra gli racconta di come abbia scelto il suo lessico basandosi su alcuni termini ben precisi, e Montemagno si accorge (e fa presente) di usarli abitualmente, non ha alcuna epifania su cosa questo dica di sé, ma sorride. E sorride anche quando Martina lo definisce “un piccolo Martino” – e sembra sinceramente soddisfatto, perché Martina è qualcuna di importante nell’Intrattenimento, nel momento storico in cui la sta intervistando, e se è come lei vuol dire che è importante a sua volta, indipendentemente dalle implicazioni che essere come lei comporti.
Marco Montemagno vede nella gratificazione economica la misura ultima del successo, e in particolare la dimensione (sempre economica) che un fenomeno assume. Non appena introduce un argomento, ricorda quanti “miliardi muova”. Quando intervista Fabio Rovazzi, continua a interromperlo per domandargli quanto è stato pagato per questo o quel lavoro, e in generale quanto guadagni al mese. Fa la stessa cosa, in minore, per quasi tutti gli altri ospiti. Quando accenna in un video di aver fatto la spesa, ricorda quanto sono costate le singole cose; quando compra un regalo alla figlia piccola, ne commenta divertito il prezzo. Dei film blockbuster che vedono Dwayne Johnson come protagonista, menziona brevemente la loro scarsa qualità, ma scansa subito dopo l’argomento, quasi imbarazzato, ricordando invece quanti biglietti abbiano fatto staccare. Nel lamentarsi di come non sia potuto andare a un concerto, di recente, perché i posti si erano subito esauriti e i prezzi dettati dai bagarini erano proibitivi, se ne lamenta col sorriso, soddisfatto di quanto fossero alti. Non completamente privo di obiezioni verso l’ineguaglianza, nella mente di Montemagno sembra vivere intrappolato uno spicchio di spirito critico – che viene però messo a tacere ogni volta dalla stessa argomentazione: s’ei piace (a molti), ei lice.
Marco Montemagno è ipocrita in maniera spicciola e superficiale, al punto che la piccolezza dell’ipocrisia è spesso più fastidiosa dell’ipocrisia stessa. Condanna lo stesso aziendalese privo di significato, e la cultura delle riunioni, che lui stesso utilizza e incoraggia. Critica i cliché dei guru del self-help, e li ripropone pressoché identici, come se averne riconosciuto la natura lo autorizzasse a usarli. Deride testi di pseudo filosofia e guide al successo come The Secret, e legge e promuove continuamente autobiografie di CEO in cui viene spiegato come avere successo, risultati garantiti. Manifesta un lieve cinismo e disprezzo della gente, salvo poi apprezzare e giustificare qualunque fenomeno di massa che crei un indotto economico significativo[5]. Dopo aver ricordato in mille modi diversi come sia importante l’attenzione al prodotto e il rispetto della propria customer base, stampa e vende un libro (che logicamente verrà comprato dai più spassionati fra i fan) che è niente più che la trascrizione parola per parola[6] di alcuni suoi video. Vale a dire di materiale che logicamente sarà già conosciuto da loro, e che è in ogni caso disponibile gratuitamente. E quando la cosa gli viene fatta educatamente notare, sui post in cui promuove l’uscita del volume, infrange un’altra sua regola sulla necessità di essere ricettivi per migliorare, rispondendo a suon di massime aristoteliche come «se non ti piace non comprarlo»[7]. Lamenta poi la presenza di recensioni negative da parte di utenti che non avevano ancora acquistato il volume[8], evitando però non solo di menzionare come siano drasticamente inferiori alle positive, per numero, ma soprattutto evitando di parlare di quelle (negative) autentiche. Non che esistano, nella visione di Montemagno, perché ogni negatività è il prodotto di un hater.
Marco Montemagno è forse il maggior promotore, almeno a livello nazionale, della retorica degli hater. Essendo parte integrale della sua comunicazione, vale la pena analizzarla. Un hater è un individuo a cui si possono attribuire le peggiori caratteristiche fisiche, mentali, morali e sociali. Dacché frustrato, trascorre ogni minuto del suo tempo a insultare senza motivo chi ha successo. E lo fa perché è frustrato, appunto, anche se non è chiaro da cosa – e invidioso, di nuovo non sempre con un chiaro oggetto dell’invidia. Ogni insulto di un hater è immotivato e gratuito, ed è contemporaneamente un problema grave, di cui discutere e parlare spessissimo – e non c’è personaggio che lo faccia più di Montemagno – e allo stesso tempo un problema esiguo e da liquidare con un sorriso sornione e una scrollata di spalle. Forse il paradosso più buffo, della retorica degli hater, è che un hater, così come lo intende Montemagno, odia ogni personaggio celebre e di successo, e lo odia immotivatamente. E il fatto che l’odio sia immotivato è fondamentale, perché esenta dall’autocritica chi lo subisce. Ma se odia quasi casualmente, sparando nel mucchio, è inevitabile che prima o poi riversi il suo odio su qualcuno che effettivamente lo merita. E dunque il paradosso: l’insulto dell’hater deve essere sempre ingiustificato, per poter essere hater e perché Montemagno possa sminuirlo come fa, e quindi quando piomba su chi lo merita, deve necessariamente significare che la colpa per la quale si sta insultando non esisteva veramente. Così l’hater, nel suo odio, si trasforma in una figura religiosa capace di assolvere dai peccati chiunque incroci il suo sguardo. Marco Montemagno non sembra essere affatto consapevole di questa contraddizione. E se il fatto che Marco Montemagno non sembri essere consapevole di qualcosa vi sta cominciando a suonare come un leitmotiv, avete ragione.
Marco Montemagno ha molti hater, almeno a suo dire. E nonostante critichi il loro comportamento di sola pars destruens, ogni suo attacco agli hater è più un insulto che una critica costruttiva. Non vuole insegnargli niente, non vuole capirli – vuole solo umiliarli e metterli a nudo per le persone piccole che sono[9]. Al punto che dopo aver incitato più di una volta Martina Dell’Ombra a parlare dei propri (di hater), e dopo che questa con riluttanza ha iniziato un lungo discorso su come si tratti di una responsabilità collettiva il clima culturale che genera le reazioni violente e sessiste che riceve, Montemagno cambia d’umore e taglia bruscamente la conversazione, non appena si accorge che si sta suscitando empatia invece che sprezzo. Perché gli hater sono cattivi, e sono un nemico comune. Sono quell’Altro, di stampo protofascista, con cui tutti possiamo identificarci – chi non è mai stato criticato? – e contro cui possiamo coalizzarci nel disprezzo. Marco Montemagno ha moltissimi hater. E questo ne fa una vittima. Ma non è l’unico motivo per cui è vittima – lo è per i più disparati: perché italiano, perché italiano emigrato, perché imprenditore in Italia, perché imprenditore italiano emigrato, perché visionario[10], perché persona di successo, perché personaggio pubblico.
Sarebbe troppo lungo dilungarsi su ciascuno degli eroi archetipali in cui si identifica, e se i vari nemici dei diversi animi siano reali o meno, basti dire che Marco Montemagno vuole fare sua la dialettica dell’oppressione, senza però rinunciare a presentarsi come emancipato vincitore. Perché se come uomo è vittima di un sistema che lo ostacola in ogni modo, come personaggio pubblico è autoproclamato esperto, divulgatore e insegnante, e come tale non ha alternativa che presentarsi come persona di successo. E dunque ecco un altro paradosso, quello delle categorie oppresse: è desiderabile e incoraggiante celebrare i risultati conseguiti nonostante l’oppressione, ma più li si celebra e meno l’oppressione appare grave, dato che siamo riusciti a conseguire così tanto nonostante essa, e meno appare grave l’oppressione che ci impediva di conseguire i risultati, di conseguenza, meno importanti appaiono quegli stessi risultati conseguiti. Nuovamente, questo non tocca Montemagno: i suoi due animi, vittima del sistema e vincitore del sistema, esistono idiosincraticamente assieme, semplicemente alternandosi nei video. In uno c’è un pianoforte triste in sottofondo, e monologa su come gli imprenditori in Italia siano dei visionari non compresi, che se solo fossero nati in America, allora sì, chissà dove sarebbero oggi… E nel successivo la musica in sottofondo è trionfale e gioiosa, e annuncia il suo nuovo servizio in abbonamento che sta già avendo enorme successo (a suo dire).
Marco Montemagno si crogiola nell’autoassoluzione collettiva, che abilita e incoraggia. Ci sono raramente sezioni commenti, ai suoi post, senza qualcuno che racconti più o meno dettagliatamente come la sua visione geniale e la sua incredibile abilità siano state ignorate, rigettate e insultate dalla società. Dove per società si intende l’Italia, perché se solo fossero nati negli Stati Uniti… Nessuno contesta queste persone. Nessuno domanda quale fossero i piani e le idee brillanti che sono fallite, e soprattutto nessuno domanda quanta parte di colpa chi ammette il fallimento attribuisca a se stesso. Con un po’ di malizia non viene difficile pensare che la risposta graviti attorno allo zero. Montemagno propone spesso storie simili, accennando come avesse anticipato le più varie innovazioni di successo. Ma sempre col senno di poi, e in termini generici[11], cosicché il pensiero era tanto comune e distante dalla reale realizzazione del suo analogo imprenditoriale, come lo è immaginare una storia o una scena, dal farci un film.
Marco Montemagno venera il successo. Non perché desideri quello che dal successo deriva[12], ma perché è un segno innegabile di abilità. Nel suo mondo alcuni possono avere meno di quanto meritino, ma mai di più, e così chi ha successo va sempre studiato e ammirato. I suoi segreti vanno carpiti, anche quando non ve ne sono affatto. Non esistono prodotti incredibili ma dallo scarso mercato, né ciofeche che invece spopolano. Per il suo ruolo di insegnante, deve apparire costantemente intimo con il successo. E non essendolo in maniera auto-evidente, la sua vicinanza al successo va continuamente riaffermata e ridimostrata. Questo lo porta a volte a fare cose genuinamente bizzarre, come continuare a ricondividere un suo video in cui “smonta” l’abilità di chi fa giochi di abilità e destrezza con la racchetta e le palline di ping pong. Nel video si dilunga su come l’allenamento per giocare competitivamente allo sport sia differente dall’allenamento per fare trickshot e colpi al limite della fisica, non negando però mai che un lungo allenamento sia comunque necessario per entrambe le cose. E insiste e insiste contro un presunto elevato numero di spettatori convinti che il più abile giocatore di ping pong sia quello capace di far rimbalzare la pallina fra sei birilli disposti asimmetricamente su una metà tavolo, invece di quello che colpisce il maggior numero di diritti e rovesci a velocità enorme. Anche il più misantropo degli spettatori troverà difficoltà nel credere che questo strawman che Montemagno attacca esista realmente, o almeno esista in dimensione significativa, e dunque sarà portato a grattarsi figurativamente il mento e chiedersi perché continui a cercare di distruggere i mulini a vento. E la risposta è che in tutta probabilità, si tratta solo di un pretesto per poter ricordare che lui è stato un giocatore di alto livello, e dunque di successo, a differenza di questi «giapponesi che buttano giù i birilli». Nel video ricorda, per esempio, di essere stato il numero 5 in Italia – una posizione che non può che suonare impressionante[13].
E quello che è peggio, di tutto questo, è che Marco Montemagno non è così per natura, ma per imposizione. Non è incapace di ironia, di riflessione, di umanità, di umiltà, di intelligenza, di criticità, di sacrificio, di compassione. Semplicemente ha deciso di stare alle regole di un sistema che non promuove niente di tutto ciò. Ammette la qualità a volte abbozzata dei suoi video, e si giustifica ricordando che “per stare su internet bisogna produrre un contenuto al giorno”. Ma presenta la natura di questo fatto come assiomatica, e non la mette mai in discussione. Nemmeno quando intervista persone che vivono su internet producendo contenuti sporadicamente. Montemagno è così perché ha deciso che è necessario esserlo, ed è necessario esserlo perché ha deciso che lo è. Marco Montemagno è una vittima, in poche parole, come gli imprenditori incompresi a cui si rivolge, ma è una vittima volontaria. Oppresso da un sistema invisibile e taylor-made per reprimere esattamente quei valori che promuove[14], nonostante tutto – vale a dire nonostante nessun ostacolo in particolare – ce l’ha fatta. E guardandolo abbastanza a lungo, e comprando il suo libro e abbonandovi ai suoi servizi, potrete farcela anche voi.
[1] https://www.wsj.com/articles/all-the-fun-has-gone-out-of-being-a-billionaire-11549641589
[2] O “tennis tavolo” come lui stesso ricorda essere più corretto chiamarlo.
[3] N.b. che per classe imprenditoriale si intende qui non solo il gruppo ristretto di chi ha grandi imprese, come da immaginario collettivo, ma in generale chiunque abbia anche solo un paio di dipendenti, o sia un libero professionista di spicco.
[4] Se parla per esempio di nemici lovecraftiani e distanti, come i regimi dittatoriali, o problematiche sociali astratte (e.g.: l’ingiustizia; l’ineguaglianza).
[5] Marco Montemagno possiede più di un fidget spinner, salvo averli buttati dopo i video in cui compaiono.
[6] Più (non pochi) errori di tipografia, stando ai commenti degli acquirenti stessi.
[7] O alla domanda se non sia un po’ caro dieci euro al mese per un servizio in abbonamento in cui si ricevono per email dei riassunti di libri di economia pop usciti nel corso del mese, con un salomonico “No.”.
[8] Un dato che Amazon permette di verificare.
[9] L’ipocrisia di ciò è ovvia e lasciata come compito a casa per il lettore.
[10] A questo proposito, ricorda spessissimo il fatto che abbia tentato di portare Internet in Italia negli anni ’90. O meglio che abbia fatto varie comparsate televisive in cui ripeteva come Internet sarebbe stato il futuro, agli sguardi di sfiducia malcelata dei diversi conduttori. Su questo non gli si può dire nulla.
[11] Dice così, per esempio, di aver pensato negli anni ’90 che siano uno spreco tutte le seconde case che rimangano vuote quasi sempre, in riferimento alla crescita recente di popolarità di Air B&B.
[12] Ironicamente, per quanto ne parli, non manifesta mai un reale desiderio di soldi, nemmeno per lussi o vizi che al momento non può permettersi. Di fatto i soldi sembrano per lui una valuta non monetaria, ma semplicemente quantificatrice del successo.
[13] Nel video ammette, subito dopo, che questo non lo rendeva comunque uno dei più forti in assoluto, non specificando se intenda al mondo o della storia. In ogni caso il paragone è analogo a un musicista che scansi i complimenti con un “sì, certo, ma sono comunque meno bravo di Beethoven.”
[14] Impegno, visione, dedizione, fiducia in se stessi, ecc ecc.