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Curiosità

Democrazia.org: come internet cambia attivismo e politica

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Lorenzo Tecleme

Era il 6 agosto del 1991 quando Tim Berners-Lee, all’epoca giovane informatico del CERN di Ginevra, pubblicò il primo sito web della storia. Nessuno poteva allora avere coscienza di quale importanza quelle poche righe di codice avrebbero avuto, e ci vollero ben 17 giorni perché il primo utente esterno al centro di ricerca visitasse il sito.

A distanza di quasi trent’anni il web ha invaso ogni aspetto della nostra vita: i giornali cartacei cedono il posto alle rispettive versioni online, e oltre 2 miliardi e mezzo di persone nel mondo sono iscritte ad almeno un social network. Internet ha cambiato il nostro approccio alla vita sociale, al lavoro, all’informazione e – inevitabilmente – anche alla politica: in meglio secondo alcuni, in peggio secondo altri. Per capire come stanno le cose, abbiamo chiesto a tre esperti la loro opinione.

Polis – la gestione della cosa pubblica dopo la rivoluzione digitale

Paolo Gerbaudo. Foto: oglobo.com

Paolo Gerbaudo è una delle tante menti italiane emigrate all’estero. Sociologo e esperto di comunicazione politica, dirige il Centro di Ricerca sulla Cultura Digitale al King’s College di Londra, e ha recentemente pubblicato The digital Party, uno studio sull’evoluzione delle formazioni politiche nell’era della tecnologia. A lui chiediamo di spiegarci come la rete abbia cambiato partiti e tornate elettorali.

Al partito digitale hai dedicato il tuo ultimo lavoro. Ma cosa è, e in cosa si distingue dal partito classico?

Il Partito digitale è la nuova forma partito nell’era dei social, che integra le innovazioni comunicative e organizzative che troviamo dietro piattaforme come Facebook, Twitter, Google. È un partito che punta alla disintermediazione, dando ai cittadini, almeno sulla carta, la possibilità di prendere decisioni direttamente. È caratterizzato dall’uso frequente di consultazioni interne (la famosa democrazia diretta o liquida) e da una struttura organizzativa leggerissima, un partito start-up. È il caso di Podemos in Spagna, dei 5 Stelle in Italia, della France Insomnouse in Francia e dei Pirati nel Nord Europa.

Non mancano ovviamente paradossi in questo modello: se da un lato questo nuovo tipo di partito sembra dare più potere ai membri, dall’altra consente ai leader di bypassare le strutture intermedie, i quadri, quelli che Gramsci chiamava ‘il terzo elemento’ e che serviva a connettere base e vertice. Per questo queste nuove formazioni si formano quasi sempre attorno a un leader carismatico e al suo entourage ristretto. È quello che chiamo iperleader.

Spesso però queste votazioni di cui parli si risolvono in plebisciti, e non mancano dubbi sulla loro trasparenza (penso alle polemiche riguardo la piattaforma Rousseau dei 5S). La democrazia diretta sta già fallendo, o può ancora essere strumento di rigenerazione della politica?

Ad oggi si può parlare di fallimento della democrazia diretta: rispetto alla promessa di una democrazia partecipativa capace di dare voce alle persone quello che abbiamo davanti assomiglia sempre più a una pseudodemocrazia plebiscitaria. Forse in futuro i partiti – spinti anche dalle proprie basi – svilupperanno forme di controllo e meccanismi più democratici.

Quando si parla di internet e voto è difficile non pensare alle fake news. Ma è vero che la rete favorisce il diffondersi di notizie false, e se sì, come possiamo contrastare questo fenomeno?

Certamente la rete permettendo agli individui di pubblicare messaggi senza filtri alla pubblicazione apre lo spazio per abusi. La legislazione sui limiti della libertà di espressione è inadeguata alle nuove tecnologie: serviranno nuove leggi per regolare la materia.

Polites – l’impegno dei singoli individui nell’era dei social

Stephanie Brancaforte. Foto: gettyimages.it

Stephanie Brancaforte sa cosa vuol dire creare consenso attorno ad una proposta. Dopo aver lavorato per anni alle campagne di Greenpeace e della ONG internazionale Avaaz, è ora direttrice di Change.org, la celebre piattaforma di raccolta firme via web. Sarà lei a raccontarci come sono cambiati attivismo e movimenti con l’avvento di internet.

Probabilmente è la domanda che ti viene rivolta più spesso, ma è anche quella che più di frequente noi internauti ci facciamo: le petizioni online funzionano davvero?

Molte non funzionano, ma questo non dipende dalla piattaforma, quanto piuttosto dall’impegno che ci mettono i promotori. Detto ciò, una petizione può aver successo in tanti modi!

In primis anche piccole campagne possono avere grande risalto mediatico, se toccano le corde giuste: è capitato che petizioni da 100 firme finissero su La Repubblica, e questo ha permesso di portare temi nuovi all’attenzione dell’opinione pubblica. Non dimentichiamo poi che anche recentemente sono diventate legge delle proposte – da quella contro il revenge porn fino alla protezione dei lupi – rese virali proprio su piattaforme online. E spesso sono state votate all’unanimità dal parlamento!

Come nasce una campagna online, e quali elementi la rendono di successo?

Non esiste la formula magica della petizione di successo, ma sicuramente possiamo trovare degli elementi in comune tra quelle più popolari. Innanzitutto la trasversalità, il porre un tema in modo tale da renderlo attraente per persone con background politici differenti, è estremamente importante. Poi la richiesta deve essere chiara e ben definita – così che chi legge sappia per cosa sta andando a firmare – e deve essere indirizzata alle autorità giuste. Tantissimo infine lo fanno la strategia e l’impegno speso dai proponenti: chi porta avanti una petizione deve coinvolgere i firmatari, produrre contenuti sempre nuovi, essere creativo.

Quando pensiamo all’attivista ci appare in mente l’immagine del militante intento a volantinare o a realizzare striscioni. Ma questo scenario è ancora prevalente anche dopo l’avvento di internet? Chi è l’attivista digitale, e come dovrebbe agire?
C’è stata la tendenza negli anni a definire l’attivista come l’estremista, il fricchettone. Ma il nuovo attivista deve evitare tutto questo, far passare il messaggio che se lotti per avere la giusta sanità per tuo figlio, o se vuoi migliorare la città in cui vivi, sei già un attivista.

Certo, in passato potevi farti sentire solo dando un volantino in mano, ma oggi abbiamo nuovi strumenti, estensioni di quelli antichi, e sono sempre più preziosi.

Oggi vediamo con Fridays For Future e Extinction Rebellion una nuova ondata di movimenti ambientalisti, innovativi anche e sopratutto nelle modalità della protesta, molto centrate sull’impatto mediatico. Che giudizio ne dai?

È la prima volta che questa generazione si affaccia alla politica, e inevitabilmente i movimenti che citi sono di un genere nuovo. Sicuramente lo scheletro di questi movimenti esisteva già, ma queste nuove forze lo innovano ed estendono. Poi, è giusto che i giovani sappiano di avere una storia alle spalle, e imparino dalle lotte del passato: se vogliamo tornare alla metafora di prima, lo scheletro c’era, ma era anemico, mentre ora ha nuova linfa.

Il rischio che vedo in questi nuovi movimenti è di non colmare il buco che attualmente esiste a livello strategico, e che le loro richieste non arrivino poi sulle scrivanie dei decisori politici. Anche in questo caso bisogna essere trasversali, ricordare che non tutti siamo attivisti, e bisogna adattare il messaggio anche e soprattutto a chi non la pensa come te.

Credi che fenomeni come quello di Greta Thunberg e di fridays For Future sarebbero potuti nascere senza internet e i social?

Potrei dirti che, tutto sommato, negli anni ‘60 ci sono stati movimenti immensi anche senza internet. [ride]

Articolando un po’ la risposta, il web è un’arma a doppio taglio: da un lato non dobbiamo dimenticare che non solo Greta Thunberg, ma anche la EXXON e la Shell sanno usare i social, e a differenza dei movimenti possono contare su miliardi di euro da spendere in esperti e pubblicità. Dall’altro, è innegabile che la rete tenda a democratizzare l’informazione, favorendo la nascita di movimenti spontanei. E non sempre politici e grandi aziende sanno capire questi meccanismi.

Poi, starà alla nuova generazione dimostrare se e quanto potenziale questi strumenti hanno: i vecchi modelli di ONG spesso non sono all’altezza, perché sono gestiti da persone nate prima della rivoluzione digitale e talvolta restie a cedere il passo a nuove organizzazioni. È successo anche con le piazze del Fridays For Future.

Ostrakon – la sicurezza nella democrazia dei byte

Luigi Gubello. Foto: The Choice.

Luigi Gubello, in arte Evariste Gal0is, è balzato agli onori della cronaca quando ha scoperto alcune vulnerabilità nel codice sorgente di Rousseau, la piattaforma digitale usata dal Movimento 5 Stelle per le proprie consultazioni interne. Casaleggio lo denunciò, e la vicenda finì sulle prime pagine di tutti i giornali. Tocca a lui entrare per noi nell’aspetto più tecnico del rapporto tra la rete e la democrazia.

Di te si è parlato a lungo sui quotidiani di tutta Italia. Come si son svolti i fatti, e come mai ti sei interessato alla piattaforma Rousseau?

La segnalazione della vulnerabilità fatta allo staff del sito rousseau.movimento5stelle.it è stata fatta nella medesima ottica che ho sempre seguito quando comunico una vulnerabilità: cercare di tutelare me e gli altri utenti. Insomma, invio segnalazioni per permettere al produttore o allo sviluppatore di sistemare la falla ed avere così un sito più sicuro. I fatti sono ormai ben noti: mi sono imbattuto in una criticità nella piattaforma Rousseau, ho inviato una e-mail spiegando il problema e i rischi che comportava, e lo staff o chi gestisce la comunicazione mi ha cordialmente risposto e ringraziato. Una volta che il problema è stato risolto io ho pubblicato quel “famoso” mini-blog #Hack5Stelle, in cui spiegavo la vulnerabilità in cui mi ero imbattuto e davo dei suggerimenti su come comportarsi, per mitigare ulteriormente eventuali rischio. Poi, purtroppo, in questa narrazione si è aggiunto un black-hat, qualcuno che non aveva i miei stessi scrupoli e le mie buone intenzioni, che ha sfruttato una falla per arrecare un danno e ha anche pubblicato i dati di alcuni iscritti alla piattaforma Rousseau. Un gesto che ovviamente condannò in toto. Nei primi di agosto 2017 è stata sporta una denuncia anche nei confronti di Evariste Gal0is, ma fortunatamente tutto si è concluso con la remissione di querela.

Ma che lezione dobbiamo imparare da questa vicenda? Le votazioni online sono sicure quanto carta e penna, e potrebbero in futuro sostituire i metodi tradizionali anche nelle tornate elettorali ufficiali?

Personalmente non sono a conoscenza di sistemi di voto elettronico reali che siano considerati sicuri o che non abbiano avuto problemi di sicurezza, ma potrei non conoscerne abbastanza. È difficile replicare un sistema di voto come quello italiano: univoco, anonimo ma trasparente, sempre controllabile in ogni sua fase, in cui è sempre possibile riconteggiare i voti, ed è ancor più complesso se si vuole la possibilità di votare “da casa”, senza recarsi in una qualche forma di seggio elettorale. Oltre alle difficoltà tecniche secondo me si pone un ulteriore problema: la semplicità. Se anche si riuscisse a creare un sistema di voto elettronico sicuro questo non darebbe particolari vantaggi: se bisogna recarsi ad un seggio elettorale allora non c’è troppa differenza con il sistema di voto odierno. Se invece il sistema di voto fosse da remoto allora per essere sicuro avrebbe bisogno di notevoli misure e protocolli, forse anche enti certificatori, e questo renderebbe il sistema di voto “meno trasparente”, nel senso che la possibilità di comprendere come funziona un sistema di voto così sarebbe limitata a poche persone che lavorano nell’ambito e gli altri votanti, i cittadini, dovrebbero fidarsi delle conclusioni degli esperti – e nel fidarsi degli esperti non c’è nulla di male ovviamente – ma quindi si perderebbe la semplicità intrinseca del sistema attuale. Carta, matita e conteggio delle schede sono comprensibili a tutti, il sistema è facile e funziona e questo permette di avere fiducia nel sistema di voto, e quindi nella democrazia stessa. La strada per avere un sistema di voto elettronico insomma la vedo tutta in salita e difficile da percorrere

Sei stato recentemente candidato alle elezioni europee col Partito Pirata, uno dei nuovi partiti digitali che stanno attraversando l’Europa e che mette al centro proprio i temi della rete. Raccontaci cosa è internet per un Pirata.

Per il Partito Pirata italiano la diffusione della conoscenza è un punto cardine. Internet è conoscenza, è la possibilità di diffondere la conoscenza in maniera praticamente istantanea. Il web può influire sia in positivo sia in negativo sulla democrazia, potenzialmente può aprire a dibattiti ricchi di spunti e argomentazioni che possono migliorare la comunità, ma può essere anche un luogo di cattiverie utile solo a rendere sterile il dialogo e allontanare i cittadini. Tutto dipende dall’uso che le persone ne fanno.

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Lorenzo Tecleme

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