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Economia

Gli Spitzenkandidaten: l’Europa che verrà

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Pietro Lepidi

In questi mesi si è consumata nei 28 paesi ancora presenti all’interno dell’Unione Europea una spietata campagna elettorale per le elezioni europee del 23-26 maggio. Le elezioni si inseriscono all’interno di un breve periodo cruciale per il futuro dell’Unione. Infatti, quest’anno cambieranno tutte le persone chiave la rappresentano. Il voto a suffragio universale deciderà chi saranno i nuovi 751 parlamentari europei, questi poi voteranno la nomina della nuova Commissione Europea che prenderà il posto della commissione Junker. Anche Federica Mogherini, l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione, dovrà lasciare il posto al suo successore. A fine ottobre scade, inoltre, il mandato di Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, mentre a dicembre di quest’anno sarà il turno di Donald Tusk, il presidente del Consiglio Europeo. L’esito del voto delle elezioni del 26 maggio può veramente essere lo spartiacque tra il crollo o la definitiva conferma delle giovani istituzioni europee e del loro progetto di unificazione sovranazionale.

Foto: ANSA.

I candidati locali al parlamento europeo li conosciamo bene. La loro campagna elettorale invasiva ha strategicamente portato i loro nomi in tutti i luoghi materiali e virtuali in cui l’elettorato passa la maggior parte del proprio tempo. Affianco ai noti e notabili nomi dei candidati ci sono i soliti partiti nazionali, magari con qualche piccola bandiera europea all’interno del loro simbolo. Tuttavia, molto meno discussi ma molto più potenti sono gli Spitzenkandidaten.

Chi è uno Spitzenkandidat? Se non ne avete la più pallida idea, non siete soli. Secondo un sondaggio di Youtrend, in Italia solo il 14.2% degli intervistati sa dare una risposta a questa domanda. La parola Spitzenkandidat ha origine tedesca e significa “candidato di punta”. Questa figura non è mai menzionata nei trattati UE ma è frutto di un accordo tra i capi di Stato e di governo dell’UE, l’Europarlamento e i gruppi politici. L’accordo prevede che i candidati alla Commissione proposti dal Consiglio europeo al parlamento siano tra i “candidati di punta” scelti dai partiti europei. In questo modo l’accordo garantisce alla futura commissione una maggiore legittimità popolare dato che gli elettori europei potranno sapere con certezza e in anticipo i candidati che i rispettivi partiti propongono alla guida della commissione. Lo Spitzenkandidat del partito che avrà ottenuto il maggior numero di seggi in parlamento sarà il presidente della prossima Commissione. Nella precedente legislatura europea il partito più numeroso era il Partito Popolare Europeo (PPE) che nel 2014 scelse Jean-Claude Juncker come presidente.

Chi sono allora i candidati alla Commissione Europea? La Commissione è l’organo sovranazionale con più poteri esecutivi. Nel corrispondente palazzo di Bruxelles e nelle sue sedi distaccate si monitora l’implementazione delle politiche europee e si protegge la libera circolazione delle merci. I tecnici della Commissione devono multare chiunque non rispetti le leggi del mercato unico. Inoltre, la Commissione detta la linea politica dell’UE poiché è l’istituzione che secondo i trattati propone le leggi al parlamento e al consiglio dei ministri dell’UE

I candidati successori di Junker sono sei e si sono presentati il 15 maggio al pubblico in eurovisione da Bruxelles per un dibattito in stile americano. Il più papabile è il bavarese Manfred Weber, candidato del Partito Popolare Europeo (supportato in Italia da Forza Italia e altri piccoli partiti di centro destra). La sua fede cristiana e il suo attaccamento ai “valori tradizionali europei” sono stati decisivi per la sua designazione a guida del più grande partito europeo. Considerato una calamita per i voti dei sovranisti, è lui il massimo esponente dell’establishment europeo, moderatamente conservatore ed europeista che intende seguire la strada della Commissione Junker di integrazione europea a piccoli passi. Il suo diretto competitor è il carismatico Frans Timmermans per il Partito Socialista Europeo (in Italia in quota PD), un partito ancora molto forte in Europa anche se in crisi. Timmermans è parte dell’establishment europeo forse più di Weber, infatti, l’olandese è stato il primo vicepresidente della Commissione UE responsabile dello stato di diritto. Parla frequentemente olandese, francese e inglese anche italiano (ha trascorso gli anni dell’adolescenza a Roma e tifa Roma). Il candidato socialista propone un ambizioso ma fattibile progetto di rafforzamento dei poteri europei in materia di tasse e welfare sociale a discapito degli stati nazionali.

Manfred Weber e Frans Timmermans. Foto: Euronews.

Per quanto riguarda i partiti europei minori, alla guida dei Conservatori e dei riformisti europei (Ecr) si candida Jan Zahradil. Il praghese si presenta così: «Non ho nulla di personale contro Weber e Timmermans. Vedo due gentlemen provenienti dai Paesi fondatori, dalla Vecchia Europa, che sono troppo invischiati in una sola idea di integrazione: quella federalista». Non è euroscettico ma vuole «un’Europa meno invasiva ma che funzioni meglio». Un partito irrilevante in Italia ma molto forte nel nord Europa è quello dei Verdi, guidati da Ska Keller, già esperta nella commissione europea per le libertà civili e i diritti dei rifugiati e dei migranti. I centristi ultraeuropeisti dell’ALDE non hanno un candidato unico ma si presentano con una squadra di sette candidati tra cui Margrethe Vestager, l’ex premier belga Guy Verhofstadt ed Emma Bonino. La danese Vestager è stata soprannominata da Donald Trump “tax lady” a causa delle multe comminate a colossi del web come Google, Facebook e Amazon. Infine, a guida del Partito della Sinistra Europea c’è Nico Gué, il sindacalista belga fuggito dalla Spagna per non sottostare alla dittatura di Francisco Franco. Gué promette di mettere al centro la questione sociale in quanto «il tema chiave dei nostri tempi».

Il dibattito del 15 maggio tra gli Spitzenkandidaten ha messo in luce i diversi punti di vista di alcuni partiti europei, tuttavia è stato un confronto arido e poco seguito (basti guardare il numero delle visualizzazioni su Youtube) per due ragioni. La prima è che non è stato affrontato il dilemma centrale di queste elezioni. Per la prima volta dalla sua creazione i cittadini dell’UE devono prima di tutto chiedersi se le istituzioni europee hanno motivo di esistere. Il vero dibattito di questo maggio non è tra liberali e socialisti o tra sindacalisti e capitalisti o tra verdi e conservatori ma tra europeisti e sovranisti. Anche se è vero che il candidato conservatore Jan Zahradil è stato l’unico a ricordare che bisogna trovare un equilibrio tra interessi europei e nazionali, tutti i candidati si sono mostrati a favore dell’integrazione europea. Nemmeno la domanda dei presentatori sulla Brexit e sulle forze sovraniste che stanno crescendo in tutta Europa è riuscita a smuovere uno dei candidati a spiegare perché dobbiamo restare dentro l’Unione. Il nazionalismo è stato etichettato come un problema da Weber e Timmermans, eliminando con un colpo di spugna un’ideologia molto radicata nei 28 paesi dell’Unione. Parte della colpa è anche degli assenti al dibattito. Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd) ed Europa delle nazioni e delle libertà (Enf) non hanno ancora scelto i loro Spitzenkandidaten. In questi due partiti erano compresi rispettivamente il Movimento 5 Stelle e la Lega.

La seconda ragione per cui il confronto non è stato vivo in Italia è che nessuno conosce i candidati. Secondo Youtrend, il 16,4 per cento degli intervistati conosce i due candidati più importanti: Frans Timmermans e Manfred Weber. Timmermans in Italia è leggermente più conosciuto dato che nelle ultime settimane si è recato a Roma varie volte per la campagna elettorale, ed è stato intervistato dalla televisione italiana. Si tratta di percentuali ridicole per il potere che viene conferito attraverso il voto del parlamento europeo alla futura Commissione. Il motivo è parzialmente da cercare nelle principali fonti di informazione nazionale che preferiscono concentrarsi sulle dinamiche politiche in patria rispetto alle iniziative europee, e parzialmente nel fatto che la popolazione europea non si riconosce nei partiti europei i cui simboli non presenti sulla scheda elettorale al momento del voto.

La sintesi perfetta della serata è stata fatta dalla conduttrice finlandese che ha definito il dibattito “rispettoso e significativo”. Ciò che omette ma che è silenziosamente evidente da questa descrizione del dibattito è che è stato noioso, supponente e distaccato dalla realtà. Un vero dibattito per la guida della Commissione europea dovrebbe essere pungente e vivo, come i dibattiti tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Tuttavia, per raggiungere questo obbiettivo occorre che la popolazione europea si senta rappresentata dalle proprie istituzioni europee e dai suoi rappresentanti finora visti anche in questo dibattito come una élite di potenti poliglotti distanti dalla voce del popolo.

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Pietro Lepidi

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