Il 23 maggio ricorre l’anniversario di uno degli eventi più tragici della storia italiana: il magistrato antimafia Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, è vittima di un attentato esplosivo ad opera di Cosa Nostra. A distanza di ventisette anni, la Strage di Capaci non è stata dimenticata e anzi viene raccontata e ricordata anche tramite film e serie televisive; Il traditore di Marco Bellocchio, all’interno della ricostruzione della vita di Tommaso Buscetta, mafioso il cui pentimento ha portato alla cattura e incarcerazione di molti esponenti della cosca siciliana, mostra la battaglia per la giustizia di Falcone, oltre al suo rapporto con Buscetta stesso, interpretato magnificamente da Pierfrancesco Favino.
Il traditore ha inizio in medias res, presentando Tommaso Buscetta, nei primissimi anni 80′, nel momento in cui già inizia ad allontanarsi dalla mafia; da poco evaso di galera, decide infatti di ritirarsi in Brasile con la famiglia, per scappare dalla giustizia italiana ma soprattutto dalle ripercussioni e minacce del clan dei Corleonesi guidato da Totò Riina. Bellocchio decide di dividere la narrazione secondo un preciso stile di racconto: la prima parte della pellicola è infatti più romanzata, movimentata e adrenalinica. Le esecuzioni fra malavitosi sono crude ed esplicite, la costruzione della famiglia e le atmosfere siciliane ricordano Il Padrino di Francis Ford Coppola, mentre alcune scene ad ambientazione sudamericana sembrano fortemente ispirate dall’estetica di prodotti televisivi recenti come Narcos. Quando però Buscetta viene catturato ed estradato in Italia, Il traditore assume una pretesa, ben riuscita, di ricostruzione storica e mediatica dell’intero pentimento e del maxi-processo: nonostante non manchino aspetti più riservati del personaggio elaborati dagli autori, la maggior parte delle scene si basa su filmati, discorsi e interviste realmente accadute e verificabili. Il “tradimento” di Buscetta per salvare se stesso e la sua famiglia lo porta dunque a confrontarsi con la figura di Giovanni Falcone, interpretato da Fausto Russo Alesi, con il quale instaurerà una presunta amicizia o quantomeno un forte rispetto, in opposizione allo sdegno nei confronti delle conoscenze malavitose, che, a suo dire, non hanno mantenuto “l’onore” della vecchia mafia. Al termine dei processi, la storia è riportata nella dimensione più narrativa e meno documentata, mentre assistiamo agli ultimi anni di Buscetta come esule negli Stati Uniti, ormai sempre più stanco e paranoico, nel costante timore di venire giustiziato da qualche sicario nemico.
L’unica pecca imputabile a Il traditore è una messa in scena registica poco curata e dal sapore “televisivo”, in particolar modo nella fotografia, difetto comune a gran parte delle ultime pellicole di Bellocchio: il regista di Bobbio pone infatti una maggiore attenzione nella gestione degli attori e adegua la regia alle interpretazioni. Il lavoro svolto da Favino è impressionante, dal trasformismo fisico allo studio linguistico, dovendo districarsi tra siciliano, italiano dialettale, portoghese e inglese. Tommaso Buscetta riesce a essere un personaggio compatibile e apprezzabile, nonostante le idee totalmente non condivisibili che lo spingono nella sua battaglia di denuncia e collaborazione con la giustizia: egli non si reputa uno spione (ripeterà infatti per tutto il film, come un mantra per convincere e convincersi, «io non sono un pentito»), perché crede fermamente che Cosa Nostra si fosse incattivita solo recentemente, con Riina e Calò, personaggi che non rispettavano il suo falsato ideale di mafia onorevole, che aiuta il popolo e prende il posto dello Stato. La riproposizione come messinscena della realtà avviene in più occasione durante la pellicola, sotto forma di processi e di eventi mediatici: il maxi-processo del 1986, che vede il confronto diretto nell’aula bunker di Palermo tra Buscetta e i boss imputati, è spesso un puro dialogo tra due attori che si confrontano su testi già avvenuti nel reale, cercando di restituire veridicità e al tempo stesso il pathos che esige la narrazione cinematografica.
Il traditore ha ricevuto critiche da parte del figlio del capo della scorta di Falcone per quanto riguarda la data di uscita, posta nello stesso giorno dell’anniversario della Strage di Capaci. Se è innegabile la volontà di sfruttare la coincidenza per motivi di marketing, è anche vero che il film non solo onora e ricorda quel triste giorno, oltre al lavoro e alla passione senza eguali di Giovanni Falcone, ma si fa anche latore di un importante messaggio di ribellione contro la mafia. Ciò che rende Tommaso Buscetta un personaggio così intrigante è la sua natura ambigua; sia eroe per aver messo consegnato alla giustizia decine di pericolosi latitanti, sia criminale per il suo passato difficilmente perdonabile. Resta dunque che il motivo che ha portato Buscetta a “tradire”, che sia la voglia di giustizia, la vendetta nei confronti dei rivali o la pura e semplice voglia di sopravvivere, lo rende umano, fragile e fallibile. Il che ci rassicura che qualunque uomo o donna, seppur apparentemente debole e senza speranze, può opporsi al sistema mafioso.