Il movimento Fridays for future è sicuramente una delle mobilitazioni a livello globale più importanti dell’ultimo anno. La spinta ambientalista dei primi anni del nuovo millennio, dovuta principalmente al successo del documentario Una scomoda verità dell’ex vice presidente degli Stati Uniti Al Gore, sembrava essersi affievolita in seguito alla crisi economica che ha colpito tutto il mondo nel 2008. In seguito, altri personaggi famosi hanno provato a riportare sotto i riflettori questo tema importante, uno su tutti Leonardo Di Caprio con il suo Punto di non ritorno – Before the Flood, datato 2016. Ma il suo impatto non è stato neanche lontamente comparabile al nuovo movimento capitanato da una ragazzina svedese di sedici anni che risponde al nome di Greta Thunberg. L’attivista, che ha scioperato assentandosi da scuola per una ventina di giorni tra agosto e settembre 2018 e che continua a farlo ogni venerdì, ha indotto varie manifestazioni a livello globale. Il nostro Paese non si è certo tirato indietro, con più di duecentomila studenti che hanno scioperato in tutta Italia il 15 marzo di quest’anno. Ma qual è la situazione del nostro Paese in queste tematiche?
Energie rinnovabili
Per “energia rinnovabile” si intende quell’energia prodotta da fonti che possono essere reintegrate naturalmente durante un periodo di tempo nella scala temporale umana. Le più diffuse sono quelle che si servono di vento, fiumi e sole, ma ci sono anche risorse meno conosciute come maree, onde e altre ancora. A livello mondiale, tenendo solo in conto la produzione di energia elettrica, nel 2016 le energie rinnovabili hanno contribuito con il 24,5% della produzione totale. Se invece si guarda solo al Bel Paese, la percentuale sale al 37,3%. Questo dato indica come, nonostante la diffusa credenza (e tendenza) nostrana a screditare l’Italia, la situazione sia molto più rosea di quella di altri Stati europei che sono normalmente il simbolo della sostenibilità ambientale: ad esempio in Francia, nello stesso anno, solo il 17,5% dell’elettricità è stata prodotta da fonti rinnovabili, mentre nei Paesi Bassi la percentuale scende addirittura al 12,1%. Considerando tutti gli Stati del mondo, l’Italia si posiziona sesta per produzione fotovoltaica totale, sedicesima per produzione idroelettrica, undicesima per produzione eolica, sesta per produzione da biomasse e quinta per elettricità prodotta grazie alla geotermia. Sicuramente l’Italia parte da una posizione geografica privilegiata e il potenziale di produzione rinnovabile è molto alto: nonostante ciò, le grandi opere idroelettriche e i vantaggiosi conti energia per il fotovoltaico proposti in passato dimostrano come il nostro Paese abbia saputo sfruttare il potenziale che la natura gli ha dato, cosa che non è accaduta in molte altre nazioni con risorse altrettanto buone.
Nonostante questa base positiva, c’è ancora molto da fare. Innanzitutto va detto che, soprattutto per quanto riguarda l’energia idroelettrica, il potenziale italico è quasi esaurito, visto che la maggior parte dei bacini adatti allo sfruttamento di questa energia sono già utilizzati. Resta la possibilità del micro idroelettrico, che può sfruttare anche piccoli corsi d’acqua, ma è una soluzione dispendiosa e che non può portare a enormi benefici a livello nazionale.
Per quanto riguarda l’energia eolica, invece, c’è ancora un ampio margine di migloramento. Secondo l’Associazione Nazionale Energia del Vento (ANEV), l’Italia ha il potenziale di raddoppiare l’attuale produzione eolica, specialmente grazie alle turbine off shore (installate in mare) che al momento non sono utilizzate nei nostri mari. Anche tralasciando la questione energetica, la costruzione di turbine eoliche ha l’enorme vantaggio di creare molti posti di lavoro, che sarebbero localizzati specialmente in Meridione, dove il pontenziale eolico è maggiore. D’altro canto, l’energia eolica ha due grossi svantaggi: il primo è l’investimento molto cospicuo necessario per la costruzione delle turbine, il secondo è che le turbine sono spesso considerate una grossa fonte di inquinamento visivo data la loro enorme mole.
Altro discorso va fatto per la produzione fotovoltaica. In questo caso la distribuzione nel territorio nazionale è abbastanza uniforme: se si tiene in considerazione il numero di impianti, la Lombardia e il Veneto sono le due regioni che ne hanno in numero maggiore (insieme rappresentano il 28,5% degli impianti installati in tutta Italia), ma se ci si concentra sulla produzione è la Puglia ad avere il primato nazionale, con 2623 Megawatt installati fino al 2016. Il problema per quanto riguarda la produzione fotovoltaica sta nel fatto che non è possibile controllare quando produrre l’energia, né pronosticare con precisione la produzione in un dato giorno. Questo fa sì che l’energia fotovoltaica abbia un impatto minore rispetto alle sue potenzialità, in quanto spesso non viene consumata sul posto (come sarebbe ottimale) ma viene spedita in rete, appesantendola e creando squilibri non voluti. In Italia è stata presa la decisione di non porre limiti all’immissione di elettricità fotovoltaica in rete, in modo da non ostacolare la diffusione di questa tecnologia. Altri Stati invece, come ad esempio la Germania, non hanno adottato la stessa strategia e pongono un limite massimo giornaliero di immissione in rete: superata questa soglia, gli inverter fotovoltaici (che regolano la produzione elettrica dei pannelli) si spengono per non sovraccaricare la rete elettrica nazionale. Uno dei sistemi che si possono usare per ovviare a questo tipo di problemi è l’accumulo elettrico. Negli ultimi anni c’è stato un grosso aumento nel numero di installazioni di batterie domestiche atte ad accumulare l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici durante il giorno (quando ci sono meno consumi) per poi scaricarsi alimentando la casa durante le ore notturne, quando ci sono più consumi e produzione fotovoltaica ovviamente nulla. Grazie a questi sistemi è possible aumentare la percentuale di autoconsumo della propria casa anche fino al 90% dell’energia totale, sfruttando quindi al meglio l’energia prodotta dai propri pannelli, diminuendo le spese per l’acquisto energetico ed evitando di sovraccaricare la rete elettrica. Questo tipo di tecnologia sarà sicuramente in grado di aiutare il nostro Paese ad aumentare la percentuale di energia prodotta da fotovoltaico, visto che evita di creare una domanda energetica che verrebbe probabilmente coperta da sistemi di produzione non rinnovabili. Anche in questo caso, l’alto costo è un ostacolo per la diffusione di questi sistemi, soprattutto considerando che sarebbe un investimento da aggiungere a quello, già corposo, di installazione dei pannelli fotovoltaici.
Inquinamento
L’altro grande problema che viene preso in considerazione dagli attivisti di Fridays for future è sicuramente l’inquinamento. Due dati che possono essere presi in considerazione per capire la posizione dell’Italia sotto questo aspetto sono la produzione di anidride carbonica e la produzione di rifiuti non riciclabili.
Secondo un rapporto dell’Unione Europea, nel 2017 l’Italia ha prodotto più di trecento miliardi di tonnellate di anidride carbonica (361 milardi per la precisione). Questo dato, che di per sé non significa molto, va rapportato al resto del mondo e alla situazione italiana del passato. In generale, l’Italia è la diciottesima nazione mondiale per produzione totale di anidride carbonica e sessantesima se si considera la produzione per persona. È importante notare anche che la produzione per abitante italiana è minore della media europea ed è meno della metà del dato statunitense. Un’altra dato rilevante consiste nel fatto che le emissioni totali nel 2017 è l’83,8% di quella nel 1990. Questa diminuzione è avvenuta soprattutto nella produzione legata all’industria, che è si è dimezzata rispetto al 1990 (dato leggermente falsato dalla flessione industriale in seguito alla crisi del 2008) e a quella legata alla produzione energetica, che è scesa del 10% grazie all’introduzione delle tecnologie rinnovabili sopracitate. D’altro canto, la produzione di CO2 legata al trasporto è aumentata del 10% a causa dell’aumento del numero di autoveicoli registrati nel nostro Paese (il dato riferito a veicoli per mille abitanti è aumentato di più di duecento unità dal 1990 al 2015). Questi dati dimostrano che, nonostante l’Italia sia sulla buona strada, sia necessario ancora lavorare molto per ridurre ulteriormente la produzione di anidride carbonica. Con la diffusione nel mercato italiano di veicoli elettrici le emissioni relative al trasporto potrebbero sicuramente scendere in maniera decisa, ma questa categoria di automobili non è ancora competitiva a causa di un’autonomia limitata e di un costo alto. Non solo con le nuove tecnologie si è dimostrato che l’autonomia di un’auto elettrica non ha nulla da invidiare a una tradizionale; si prevede anche una sensibile riduzione nel costo delle batterie, che dovrebbe a sua volta far scendere il costo totale dell’automobile. In aggiunta alla diffusione dei veicoli elettrici, anche il miglioramento e potenziamento delle infrastrutture di trasporto pubblico possono ridurre in maniera sensibile la produzione di CO2 legata al trasporto, migliorando inoltre la vivibilità dei centri urbani più grandi.
Secondo la direttiva 2018/851/EU, gli obiettivi per la percentuale di preparazione, riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti nella comunità europea sono di 50% al 2020, 60% al 2030 e 65% al 2035. L’ultimo dato collettivo disponibile fa riferimento a una ricerca dell’OCSE del 2015 (dati 2013) in cui l’Italia si collocava tredicesima a livello mondiale per percentuale di rifiuti urbani riciclati o compostati, con il 41% del totale. Anche predendo in considerazione i soli Stati europei, la situazione non cambiava di molto: solo due nazioni extra europee (Corea del Sud e Taiwan) entrano nei primi undici posti della classifica mondiale. Nonostante la classifica denoti una buona posizione per l’Italia, il vero problema si ha con il restante 59% dei rifiuti che viene principalmente smaltito in discarica invece di essere incenerito e trasformato in energia. Le diatribe riguardanti la produzione di diossina e sostanze inquinanti a seguito dell’incenerimento dei rifiuti sono relative a tecnologie relativamente vecchie: nuovi studi hanno comunque dimostrato che, se inceneriti in maniera controllata, i rifiuti non creano gas tossici per l’ambiente e per gli esseri umani. In ogni caso, la priorità non dovrebbe essere quella di migliorare gli inceneritori presenti nel territorio nazionale, ma quella di aumentare la percentuale di rifiuti riciclati e compostati. La gestione dei rifiuti però è poco uniforme in Italia, come mostra la classifica annuale dei “comuni ricicloni“, che prende in considerazione paesi che hanno una percentuale di raccolta differenziata di almeno 65% del totale e una produzione di rifiuto indifferenziato annuo minore di settantacinque chili per abitante. Nella classifica si può vedere come nel 2018 il 76% dei comuni del nord Italia facesse parte di questo gruppo, mentre le percentuali calavano a 15% al Sud e addirittura 9% al centro Italia. Il problema principale è che la gestione dei rifiuti prende in considerazione molti fattori che non sono equamente distribuiti a livello territoriale: ciononostante, i modelli della provincia di Treviso (prima in Europa per riciclaggio) e Ferrara insegnano che, con una corretta pianificazione, si può aumentare in maniera esponenziale la percentuale di raccolta differenziata, risparmiando sul costo di gestione dei rifiuti e migliorando la sensibilità dei cittadini sui temi ambientali.
In conclusione si può vedere come, nonostante l’Italia venga percepita come poco virtuosa in materia di riciclo dai suoi stessi cittadini, si stia già facendo molto per quanto riguarda la sostenibilità ambientale. D’altro canto, è assolutamente necessario continuare a migliorare sotto tutti gli aspetti, dall’energia ai rifiuti, per evitare di rimanere indietro a livello europeo, ma soprattutto per fermare il cambiamento climatico in atto. Portare una borsa al supermercato invece di acquistarne una nuova ogni volta, usare i servizi di trasporto pubblico o i vari servizi di carsharing quando possibile, acquistare prodotti locali, pianificare i propri consumi energetici coordinandosi con i periodi di maggior produzione rinnovabile: questi e altri piccoli cambi di stile di vita sono fondamentali per raggiungere la sostenibilità. Come spesso si sente dire, infatti, il cambiamento più importante sta sempre nella mentalità dei cittadini: molti piccoli aggiustamenti nella vita di un singolo individuo possono portare a grandi cambiamenti nell’insieme. Tutti possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione attuale, e tutti dobbiamo sentirci responsabili del nostro pianeta.