Il 21 maggio si sono tenute le elezioni generali in Malawi, piccolo Stato della regione africana del Grande Rift che si estende sulle rive dell’omonimo lago. Dopo la consultazione elettorale, il Malawi, ex colonia britannica sotto il nome di Nyasaland, con la guida a sinistra e un’economia ancora molto legata al settore primario, è entrato in una situazione di crisi politica. L’indipendenza avvenne nel 1964, dopo che Londra aveva cercato di riunire il Nyasaland con la Rhodesia, suscitando le ire dei nazionalisti. Come spesso è accaduto nella storia della decolonizzazione, il processo d’indipendenza non è stato semplice e si è imperniato intorno alla figura di pochi uomini. Nel caso del Malawi quest’uomo è stato il presidente Hastings Banda.
Il presidente Banda tenne il paese sotto il controllo suo e del Malawi Congress Party fino al 1990, quando le proteste indussero il governo a effettuare un referendum per il passaggio a un sistema multipartitico. Nel 1993 il referendum fu vinto dai sostenitori della democrazia e l’anno seguente vi furono le prime elezioni libere dopo trent’anni. Le consultazioni furono vinte dallo United Democratic Front di Bakili Muluzi, inaugurando così una nuova stagione democratica le cui consuetudini non devono essere immaginate come simili a quelle europee: nelle tornate successive si avvicenderanno infatti Bingu wa Mutharika e il fratello Arthur, l’attuale presidente, intervallati, dopo la morte del primo, da Joyce Banda (imparentata con il primo presidente). Il legame familiare, abbastanza raro nella politica europea, testimonia come l’Africa subsahariana abbia preso dagli Stati Uniti un modello di presidenzialismo e di struttura dello stato che ha poi rielaborato secondo un proprio paradigma con i tradizionali checks&balances decisamente attenuati e un forte rimando alla filosofia dell’uomo che domina la natura e il clan.
Le elezioni generali in Malawi del 2019 vedevano ai nastri di partenza ben dieci candidati, tra cui il presidente uscente Artur Mutharika del Democratic Progressive Party. Tra gli sfidanti c’erano Lazarus Chakwera del Malawi Congress Party (il vecchio partito di Banda), Saulos Chilima (vicepresidente uscente) dello United Transformation Movement e Atupele Muluzi dello United Democratic Front (figlio di Bakili, secondo presidente del Malawi). La campagna elettorale si è svolta senza esclusione di colpi, con gli avversari del presidente uscente che cercavano di mettere in risalto le accuse di nepotismo e di corruzione che l’hanno visto protagonista, tra cui una donazione da duecentomila dollari da parte di un uomo d’affari del Malawi a fronte di un contratto di fornitura di cibo per le forze armate di oltre tre milioni di dollari. Altri aspetti su cui il presidente è stato a più riprese attaccato sono l’esplosione del debito estero del Paese, a cui non si è mai cercato di porre rimedio e le carenze di cibo ed energia che hanno lasciato i cittadini del Malawi al buio e a stomaco vuoto.
Tali circostanze hanno indubbiamente colpito negativamente la popolarità del presidente uscente Mutharika, il quale è stato però riconfermato con il 38% dei voti, battendo di tre punti percentuali l’ex predicatore Lazarus Chakwera. L’ex vicepresidente Saulos Chilima, al contrario, è rimasto fermo al 20%. Fanalino di coda Muluzi al 4,5%. Nei giorni successivi, tuttavia, la commissione elettorale del Malawi ha sospeso la pubblicazione dei risultati per ordine della Corte Suprema, dopo aver scoperto irregolarità in dieci collegi su ventotto e dopo il ricorso presentato da Chakwera, i cui uomini avrebbero trovato delle schede con il nome alterato. Chilima, dal canto proprio, ha chiesto il completo annullamento delle elezioni. Gli osservatori dell’Unione Europea, al contrario, hanno parlato di elezioni regolari, trasparenti e inclusive.
Ai primi di giugno la Corte Suprema ha deciso di revocare la sospensione della pubblicazione dei risultati, dato che le incongruenze segnalate in precedenza non erano effettivamente state riscontrate dagli investigatori. Mutharika è stato quindi proclamato nuovamente presidente, mossa che ha dato luogo a scontri di piazza nei giorni seguenti. L’ambasciatore statunitense Virginia Palmer ha riportato la sua fuga dalla sede del Malawi Congress Party, assaltata da forze di polizia in tenuta antisommossa. L’Unione Africana ha condannato la violenza della polizia verso i manifestanti.
Il Malawi è sempre stato un Paese relativamente stabile, sebbene privo di un vero sistema democratico per buona parte della propria storia. Quando il Paese si è convertito ad un impianto maggiormente democratico, al contrario dei vicini di casa, ha dimostrato anche di sapere gestire una certa alternanza al potere sconfessando il detto secondo cui in Africa nessuno lascia mai il potere da vivo. Le proteste degli ultimi giorni, tuttavia, rischiano seriamente di compromettere la stabilità del Malawi e la sua capacità di ripresa economica.
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