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Sarkozy e Gheddafi: l’inchiesta sui finanziamenti libici

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Simone Manda

Sarkozy-Gheddafi: storia segreta di un tradimento. Questo il nome dell’inchiesta che la giornalista francese Catherine Graciet ha portato a termine, lungo l’arco di otto mesi, nel 2013. Per farlo, si è districata tra fonti attendibili e fonti deplorabili, per cercare di dipingere un quadro conforme degli eventi susseguitisi, senza però avanzare sicurezze sulla condanna, tuttora da risolversi. Non ha giocato mai con le verità, nemmeno con quelle che i suoi informatori non furono in grado di provare.

L’articolo sarà suddiviso in due parti. La prima riguarderà la storia delle relazioni tra la Libia di Mu’ammar Gheddafi e lo Stato francese, riportando i fatti salienti della vicenda e le tappe dell’intensificarsi delle relazioni commerciali e diplomatiche. La seconda guarderà invece allo svilupparsi dell’inchiesta (partita nel 2012 grazie al sito d’informazione Mediapart.fr) che dal 2011, anno dello scoppio della guerra civile in Libia, ha portato alla messa in stato di fermo, il 20 marzo 2018, per l’ex presidente della repubblica francese, Nicholas Sarkozy.

Mu’ammar Gheddafi sale al potere nel 1969 quando, in seguito al colpo di Stato e alla rivoluzione da lui stesso guidata, destituisce il re Idris I, portando alla fondazione della Repubblica di Libia, ribattezzata poi Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista. Non appena tre mesi dopo la rivoluzione, la Francia conclude un contratto milionario con la Libia del Re dei Re dell’Africa: centodieci aerei militari classe Mirage, da consegnare entro il 1974.

Libia, Tripoli, 1973. Mu’ammar Gheddafi si rilassa insieme alla stampa e alle delegazioni della Conferenza dei Movimenti Politici della Gioventù Araba e Europea. Foto: A. Abbas/Magnum Photos.

Nel 1976 Jacques Chirac, allora primo ministro, si reca in Libia, ufficialmente in visita per stabilizzare le relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Con il tempo però, a causa all’accresciuto potere dell’Imam di tutti gli islamici, la Libia inizia a vestire i panni dello Stato terroristico, in seguito alle tensioni in atto con gli Stati Uniti. Il 15 aprile 1986 gli Stati Uniti bombardano Tripoli e Benghazi. Gheddafi sopravvive all’attacco e incassa l’appoggio dei francesi, restii a conformarsi alla presa di posizione del presidente Reagan.

Nel 1989 un aereo di linea DC10-UTA, che da Brazzaville (Repubblica Democratica del Congo) è diretto verso l’aeroporto parigino di Charles de Gaulle, è fatto esplodere con una bomba piazzata da sei terroristi libici (che saranno poi condannati, con sentenza certa, in contumacia) causando la morte di centosettanta persone. Come risposta a questo e ad altri attentati commessi dai libici in quegli anni (come la bomba nella discoteca La Belle di Berlino-Ovest o l’aereo Pan Am esploso nei cieli scozzesi nel 1988) le Nazioni Unite emanano, nel 1992, una direttiva di embargo aereo e militare verso la Libia. In quel momento è Bernard Cheynel, affarista francese attivo nel settore degli armamenti, a prendere il timone e guidare la nave delle relazioni commerciali tra i due Paesi verso un porto sicuro. I contatti di Chenyel si estendono dalla Libia alla Russia, passando per l’Iran e il Pakistan. In quest’ultimo Stato lo vedremo coinvolto, insieme ad altri protagonisti di questa storia, nell’affare Karachi. La strada verso rinnovate relazioni diplomatiche con la Libia si è quindi aperta, con l’appoggio del governo Chirac; lo stesso governo che consentì a uno dei figli di Gheddafi, Seif el Islam, di approdare sul suolo francese nel 2002. Ed è proprio grazie all’apporto di Seif el Islam che la Libia riesce a riguadagnare la sua immagine positiva, scrollandosi di dosso quella di Stato canaglia.

Nel gennaio 2004 è istituito un fondo da un miliardo di dollari per il risarcimento delle vittime del DC-10 UTA. Questa e altre iniziative portano l’ONU a sollevare l’embargo nel settembre 2004, consentendo alla Francia e alla Libia di riprendere ufficialmente – non più ufficiosamente – i rapporti diplomatici e commerciali. Il colonnello Gheddafi chiede allora un incontro con il presidente Chirac, che rispetta nella sua azione di politica interna ed estera, ma tale incontro gli è rifiutato a più riprese. Primo fra tutti i motivi addotti: cinque infermiere e un medico sono tenuti in arresto nelle prigioni libiche, sotto false accuse, dal 1999. Sottoposti a torture e condannati a morte tre volte, la comunità internazionale ne chiede la liberazione da diversi anni.

Jacques Chirac e Mu’ammar Gheddafi. Foto: afp 2019/Francois Mori.

Non sapendo come porsi rispetto alla rinnovata apertura dei libici da una parte e la possibilità di avallare un governo criminale dall’altra, Jacques Chirac preferisce tirarla per le lunghe. Pressato dalle diverse realtà industriali che si fregano le mani all’idea di poter avere una fetta dell’El Dorado libico, Chirac deve fare i conti con le percentuali. Nel mercato della Libia, la Francia ricopre l’ultima posizione, con il 6,3%. La prima classificata? L’Italia, con il 22% delle esportazioni libiche dirette verso il Bel Paese. Superando l’impasse, il 24 novembre 2004 il presidente francese si reca in visita in Libia. Accolto da Gheddafi in persona, Jacques Chirac pronuncerà una frase storica tanto quanto il momento di cui è protagonista: «I tempi sono superbi, nel cielo e nei nostri cuori». A queste parole, Gheddafi risponderà sibillino, appoggiando la mano sul cuore senza proferire parola: egli sa che l’avidità dei francesi è immensa e che questo gioca a suo favore.

La visita di Chirac in Libia apre la strada a numerosi intermediari e affaristi. Lentamente, le questioni riguardanti il Ministero della Difesa, come la vendita di armamenti, virano sotto il controllo diretto dell’Eliseo. Il primo degli intermediari a fare la sua comparsa è Alexandre Djouhri, uomo d’affari di origini algerine. Conosciuto con l’appellativo di “Monsieur Alexandre”, egli è definito come un abile uomo d’affari, molto diplomatico, a tratti politico, qualità che utilizzerà per ascendere in seno al potere francese. Consigliere del primo ministro Dominique de Villepin e di Maurice Gordault-Montagne, consigliere diplomatico personale di Jacques Chirac, egli è scelto come accompagnatore del presidente nel suo storico viaggio in Libia nel 2004. Una volta lì, egli conoscerà Bashir Saleh, braccio destro di Gheddafi (e amico intimo di Maurice Gordault-Montagne) e presidente, dal 2006 al 2009, del Libian African Investment Portfolio, un fondo del valore di otto miliardi.

Il secondo intermediario di cui far menzione è Souheil Rached, giornalista e fotografo libanese nonché militante coraggioso del FPLP, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Arrivò alla fine degli anni Ottanta in Libia, dove si ritrovò, senza che ci sia permesso di sapere come, a gestire gli affari di Moussa Koussa, il direttore dei Servizi Segreti Libici. Il suo curriculum è segreto e ben nascosto, ma sappiamo che fu proprio ‘La Guida’ Gheddafi a designarlo come riferimento per tutti i dossier riguardanti l’estero. La sua figura di facilitatore gli permise di stringere rapporti con la DCRI, il servizio di sicurezza (e d’informazione) francese gestito dal Ministero degli Interni, facente capo, sotto la presidenza Chirac, a Nicholas Sarkozy. Se Souheil Rached rappresentava il filo diretto della Libia con il Ministero degli Interni, Abdallah Senoussi, capo dei servizi militari libici, delfino e cognato di Gheddafi, era il canale della DGSE, il servizio di sicurezza esterna della Repubblica Francese, guidato, all’epoca, da Pierre Brochand.

Questi collegamenti favoriti senza successiva intermediazione non rappresentavano cosa gradita per Ziad Takieddine, affarista anch’egli, pubblicitario e consigliere franco-libanese che si oppose all’intermediazione pro-Chirac di Alexandre Djouhri per far volgere lo sguardo al futuro dell’Eliseo, nominalmente Nicholas Sarkozy. Influente e manipolatore, egli muove le fila del post-Chirac presso l’entourage di Gheddafi, arrivando a convincere il dittatore della convenienza dei suoi servizi d’intermediazione. Ciò portò Djouhri a far perdere le sue tracce, almeno fino al 2007.

Ziad Takieddine nel 2016. Foto: afp.com/Philippe Lopez.

Tra il 2005 e il 2007 è un altro personaggio a recarsi in Libia più volte per stringere rapporti con gli alti funzionari libici: Claude Guéant, ex prefetto, braccio destro del Sarkozy ministro e poi direttore della sua campagna presidenziale. Ufficialmente, i suoi incontri trattano i temi cari al Ministero dell’interno guidato da Nicholas Sarkozy: lotta all’immigrazione clandestina e contrasto al terrorismo. Tali temi sono addolciti dalla connivenza con affari miliardari, spesso portati avanti per conto di gruppi petroliferi importanti, come la Total (che sceglie Ziad Takieddine come intermediario presso la Libia), o per conto di aziende come la Sagem, specializzata nella produzione di missili balistici.

È grazie al lasciapassare di Guéant e del ministro Sarkozy che Ziad Takieddine si reca in Libia, svolgendo però funzioni che dovrebbero spettare piuttosto a Pierre Brochand, direttore della DGSE. Com’è possibile che la Libia abbia riconosciuto l’importanza di Takieddine senza contestarne l’autorità? Si parla, ancora oggi, di una lettera di raccomandazione, mai ritrovata, che Ziad Takieddine avrebbe fornito alle autorità libiche e che era firmata in calce da Nicholas Sarkozy. In molti l’hanno vista, ma nessuno di loro sa dire se fosse autentica o meno. È stata fabbricata ad arte da Takieddine o il futuro inquilino dell’Eliseo aveva posto davvero il suo veto a un personaggio così poco istituzionale?

Il 6 ottobre 2005 è Nicholas Sarkozy stesso a recarsi in Libia per incontrare Mu’ammar Gheddafi. È il loro primo incontro. Alcuni dei presenti hanno poi condiviso dettagli di quella riunione dal sapore surreale. Raccontano di come si soffrisse per il caldo torrido. Seduto per terra nella sua tenda personale, il libico era abbigliato come un uomo del deserto, impegnato ad agitare nell’aria uno scacciamosche ridicolo mentre mormorava parole incomprensibili persino ai suoi traduttori. Sarkozy voleva che tutto finisse in fretta. Claude Guéant, che si trovava lì con lui, soffriva per la pressione del peso di un tale incontro per le sorti dell’Eliseo.

L’ultimo nodo da sciogliere per le relazioni diplomatiche tra Libia e Francia era la prigionia delle infermiere bulgare e del medico palestinese. È l’ex moglie del presidente Cecilia Sarkozy, dopo quarantotto ore di negoziazioni al cardiopalma, a riportare a casa i prigionieri. Lo stesso giorno della liberazione degli ostaggi, il 27 luglio 2007, Nicholas Sarkozy in conferenza stampa ringrazia il primo ministro del Qatar per il suo intervento, estremamente importante.

Nel 2008 sarà Claude Guéant a confidare a due giornalisti che un contatto tra il Qatar e Gheddafi, effettivamente, c’è stato, sotto forma di una massiccia partecipazione qatariota verso un fondo d’investimento libico, che lui stesso aveva visto. Sarà forse il fondo da otto miliardi presidiato da Bachir Saleh? Mistero.

Il 25 luglio 2007, due giorni prima della liberazione delle infermiere, Sarkozy stesso, in uno scalo durato poche ore, si reca in Libia. Da quell’incontro nascerà un memorandum d’intesa per il nucleare in Libia, da utilizzare per scopi civili. Un’inchiesta parlamentare del dicembre 2007 finì per il provare la non sussistenza di una relazione tra la libertà dei prigionieri e l’accordo sul nucleare firmato a Tripoli.

Nicholas Sarkozy e Mu’ammar Gheddafi, il 25 luglio 2007, a Tripoli. Foto: afp photo/Mahmud Turkia

Nonostante ciò, e nonostante le critiche di tutto il mondo politico, Gheddafi pianta la sua tenda nel giardino dell’Hotel Marigny, accanto al palazzo dell’Eliseo, il 10 dicembre 2007. Dai numerosi incontri avuti in quei giorni Nicholas Sarkozy guadagnerà la firma su numerosi contratti in favore di aziende francesi, per un valore di dieci miliardi di dollari. Tuttavia, egli non visse bene quella visita e decise di mantenere una certa distanza con il dittatore, evitando di sviluppare relazioni di prossimità.

I legami diplomatici tra i due Paesi, da quel momento, andarono lentamente deteriorandosi, salvo il tentativo di includere la Libia nel progetto sarkozysta dell’Unione per il Mediterraneo, cui serviva l’appoggio di tutto il Maghreb. Gheddafi rifiutò di aderire all’idea in nome dell’Unione Africana di cui era promotore: se l’Europa avesse voluto trattare avrebbe dovuto farlo con l’Africa intera.

Nicholas Sarkozy, senza Gheddafi, avrebbe avuto molte difficoltà nel convincere la Tunisia di Ben Ali e l’Algeria di Bouteflika a far parte del suo progetto ambizioso. Eppure, il vento della rivoluzione in Tunisia soffiò anche in suo favore. Il presidente francese capì che avrebbe dovuto aspettare che tale vento soffiasse anche in Libia. Tre giorni prima dello scoppio della guerra civile libica, il 16 marzo 2011, il figlio di Mu’ammar Gheddafi, Seif el Islam, si pronuncià davanti alle telecamere di Euronews: «Sarkozy, per prima cosa, restituisca i soldi che gli abbiamo donato per la sua campagna presidenziale. Abbiamo a disposizione tutte le prove […]. Ecco cosa chiediamo a questo pagliaccio: restituisca i soldi che ha rubato al popolo libico».

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