Le Finals NBA si sono da poco concluse, lasciando a tutti gli appassionati una sorpresa che non è rilevante solo per l’inaspettato risultato dei più quotati Golden State Warriors, la cui qualificazione era quasi data per scontata. La vittoria dei Toronto Raptors alle finals 2019 ha un valore storico anche perché questa è stata la prima finale nei ventiquattro anni di storia di questa franchigia. Il raggiungimento di questo obiettivo può assumere un ruolo ancora più rilevante se pensiamo che la squadra appartiene a un altro Paese, il Canada, che in questi giorni è in fermento per quella che potrebbe rappresentare una vera e propria conquista degli USA. Kawhi Leonard è il prescelto che ha portato sulle sue spalle (o quasi) un’intera nazione, soprattutto per il merito di aver superato la seconda franchigia più quotata per la vittoria del titolo dopo i Golden State, ovvero i Bucks di Milwaukee, guidati da quello che potrebbe diventare l’MVP della regular season di quest’anno, Giannis Antetokounmpo. Toronto e Kawhi rappresentano ora il binomio della svolta alla storia recentissima e breve di questa franchigia situata a poco più di trecento chilometri dalla Grande Mela, New York City.
La franchigia canadese fece la sua apparizione nella National Basketball Associationnel 1995, con il ruolo di squadra distaccata dalla già presente franchigia dei Vancouver Grizzlies, che divennero così le uniche due squadre non statunitensi a far parte della lega del basket USA. L’unica precedente eccezione furono i Toronto Huskies, che giocarono nella stagione 1946-1947, all’interno della BAA (Basketball Association of America), lega minore che anticipò la formazione di quella attuale.
Il primo apice nella storia dei Toronto Raptors arriva nel 1998, quando la franchigia, attraverso una trade (scambio di giocatori tra squadre NBA), acquista l’ala piccola Vince Carter, che per le sue enormi doti atletiche e la sua peculiare abilità nelle schiacciate verrà soprannominato Air Canada. Carter fu il motivo principale per cui i Raptors, nella stagione 1999-2000, arrivarono alla loro prima storica postseason (periodo successivo alla stagione regolare in cui si svolgono playoff e finals). Ci riuscì nuovamente nella stagione successiva, guidando la squadra con la miglior media punti pari a 25,7 e trascinando la franchigia fino alle semifinali di East Conference, perse in una serie di sette partite contro i Philadelphia 76ers. Dopo l’apice, i Raptors persero negli anni successivi la via dei playoff e, mandato via Carter, per ritrovarla dovettero aspettare fino alla stagione 2006-2007, quando arrivò un’altra superstar, Chris Bosh. Bosh condusse per due stagioni consecutive i Raptors ai playoff, ma in ambedue le occasioni la squadra canadese fu eliminata al primo turno. Lasciato andare nel 2010 anche Bosh (il quale andò poi a fare la storia dei Miami Heat, diventando uno dei celebri Big Three insieme a LeBron James e Dwayne Wade), i Raptors ebbero un periodo buio molto lungo, fino alla stagione 2014-2015, quando tornarono a giocare una postseason, venendo però eliminati al primo turno.
Il momento più alto (prima delle finals di quest’anno) fu raggiunto l’anno successivo grazie alla presenza nel roster dei Raptors di due grandi superstar e amici di vita, Kyle Lowry e Demar DeRozan. Il playmaker con il 7 e la shooting guard con il 10 condussero i Raptors in una straordinaria stagione, condita da ben ciquantasei vittorie nella stagione regolare, ma soprattutto trascinarono la franchigia alle sue prime finali di East Conference, con le uniche due medie punti sopra i venti (rispettivamente DeRozan con 23,5 punti e Lowry con 21,2). Le speranze dei due trascinatori e di tutto l’Ontario si infransero contro l’enorme scoglio chiamato LeBron James: i Raptors furono sconfitti nella serie proprio dai Cleveland Cavaliers del Chosen One. La franchigia del re colpì nuovamente l’anno successivo, eliminando i Raptors in semifinale di Conference. Questo non fece perdere d’animo la città di Toronto, che aveva fiducia nella sua coppia di stelle: infatti, nella stagione 2017-2018 arrivò un altro incredibile risultato, grazie alle cinquantanove vittorie in stagione, un record per la East Conference. Il risultato diede una carica emotiva enorme a tutto l’ambiente canadese ma purtroppo, sul loro cammino verso le finals, i Raptors ritrovarono l’ostacolo insormontabile di LeBron e dei Cavaliers, che li eliminarono al secondo turno con un sonoro 4-0.
Si arrivò così, all’inizio della scorsa stagione, alla controversa decisione da parte di Toronto di mettere in piedi una trade per arrivare a prendere l’attuale trascinatore della squadra canadese, il già nominato Kawhi Leonard, sacrificando però una delle loro due punte di diamante, il numero 10, che passò ai San Antonio Spurs. Quest’operazione segnò profondamente l’ambiente, soprattutto perché l’altra stella dei Raptors perse fiducia nella sua squadra, dato il profondo rapporto di amicizia che lo legava a DeRozan, e affermò acremente di sentirsi tradito. Nonostante le premesse fossero tutt’altro che positive, anche a causa del manifesto malumore di Leonard per un trasferimento non gradito, la squadra quest’anno si è adattata all’inedito binomio Toronto-Kawhi. Nella sua prima stagione il numero 2 si è subito calato nella nuova dimensione, mantenendo le migliori medie mai raggiunte da un giocatore con questa maglia: 26,6 punti di media, 7,3 rimbalzi e 3,3 assist. Il nativo di Los Angeles è riuscito a fornire delle risorse in più rispetto all’altrettanto incredibile talento di DeRozan. Guardando i dati riportati qui sopra, oltre alle impressionanti cifre offensive bisogna prestare maggiore attenzione alle straordinarie abilità difensive che contraddistinguono Leonard, evidenziate da quei oltre sette rimbalzi difensivi e dalle numerose nomination nel miglior quintetto difensivo NBA (ogni anno a fine stagione si stilano i migliori cinque difensori della lega). Kawhi, però, è supportato da un roster che negli anni si è sempre più amalgamato anche grazie ai vari efficaci innesti: oltre al numero 2 e al già citato Kyle Lowry, i Raptors contano nel quintetto titolare l’ex guardia dei San Antonio Spurs Danny Green (rientrato nella trade DeRozan-Leonard), l’ala grande del Camerun Paskal Siakam e il centro esperto spagnolo ex Memphis Grizzlies Marc Gasol. A loro si aggiunge un’ottima panchina con i vari Norman Powell, Serge Ibaka, Fred VanVleet e OG Anunoby, vitali per allungare le rotazioni di una squadra che sta stupendo i risultati raggiunti finora, se solo si pensa al fatto che due giocatori del quintetto titolare (Leonard e Green) si sono aggiunti solo quest’anno.
Perché parlare di miracolo? La vittoria in Gara 6 all’Oracle Arena del 12 giugno ha sancito la sconfitta dei 3 volte campioni NBA, i Golden State Warriors; come se non bastasse, tre vittorie sono arrivate in trasferta, creando un precedente mai visto riguardo la franchigia di San Francisco, ovvero non è riuscita a vincere una singola partita in casa durante tutta la serie finale. È però fondamentale capire che tipo di vittorie siano state da parte dei Raptors, e la risposta sembra chiara: assolutamente convincenti. Se contiamo come “giustificazioni” per i Warriors gli infortuni, nelle file dei Golden State, di Durant e Thompson, questo potrebbe far perdere valore alla vittoria dei Raptors, tuttavia bisogna considerare questo aspetto.
Andando ad analizzare gli andamenti di ogni singola gara nelle Finals, vediamo come le ripetute apparizioni e poi assenze di questi due assoluti fenomeni abbiano inevitabilmente inciso sul risultato: dopo il rientro di Durant in Gara 2 c’è stato subito il pareggio della serie da parte dei Warriors con la vittoria in Canada alla Scotiabank Arena, poi il successivo infortunio di Durant e poi Thompson ha portato alle due vittorie consecutive nella Baia da parte dei Raptors, donando loro il match ball in casa in gara 5; il ritorno però del numero 11 (Thompson) e del 35 (Durant) hanno nuovamente cambiato gli equilibri. Il primo quarto prima della tragica rottura del tendine di achille di Durant hanno mostrato la superiorità del quintetto titolare al completo dei Warriors (quegli 11 punti di Durant poi hanno pesato sul risultato finale), per poi far tornare la situazione in equilibrio nonostante la vittoria finale degli ospiti che ha riaperto la serie e donato la possibilità di pareggiarla in casa ad Oakland. La partita all’Oracle ha mostrato una vecchia faccia dei Warriors, tornati al classico assetto che ruotava attorno agli “Splash Brothers” (soprannome dato alla coppia Thompson-Curry) prima che arrivasse in squadra Durant: la partita è tuttavia equilibrata, poiché Toronto mostra la mentalità di una squadra vincente che vuole a tutti i costi compiere l’impresa che è a un passo; di nuovo però un altro tragico punto di svolta arriva a 2 minuti dalla fine del terzo quarto: durante una prestazione individuale memorabile (30 punti totali con 4 triple), sull’atterraggio da una schiacciata Klay Thompson atterra male sul piede sinistro e subisce la distorsione del ginocchio (poi si verrà a sapere di una rottura del crociato anteriore). Klay stoicamente rientra per battere i tiri liberi e poi rientra affermando al suo coach Steve Kerr:«Tranquillo Mister, mi riposo 2 minuti e rientro». L’uscita di questo incredibile atleta da il colpo di grazia alle speranze dei Warriors che cedono per la terza volta consecutiva in casa, abdicando ai Toronto Raptors. Toronto sembra però non solo aver approfittato delle prime assenze pesanti dei rivali nelle partite decisive; nel corso dei playoff e poi delle Finals i Raptors sembrano anche aver acquisito una sempre maggiore fluidità di gioco, che a inizio anno nessuno avrebbe mai pronosticato. Il dominio fisico e psicologico del numero 2 Kawhi è evidente e innegabile, contraddistinto da una qualità su ambedue i lati del campo incalcolabile; queste sono le straordinarie medie di Kawhi tra playoff e Finals: 30.5 punti di media, 9.1 rimbalzi e 3.9 assist. Dopo questa storica vittoria, quale sarà il futuro di questa Cenerentola dell’NBA del 2019? Tutto ruoterà attorno alla volontà dell’attuale figlio prediletto del Canada: Leonard è legato ai Raptors con un contratto annuale che scadrà proprio alla fine di questo mese e già prima dei playoff tutto faceva pensare a un matrimonio che non poteva durare, ma questo titolo potrebbe aver sedimentato nel cuore del numero 2 un amore che potrebbe durare per anni. Insistenti, tuttavia, sono le indiscrezioni che vorrebbero Leonard il prossimo anno alla corte del re James in quel di Los Angeles. Quest’estate The Chosen One avrà molto peso nel mercato dei Lakers e, dopo la ufficialità di ieri della Trade che ha portato ai Lakers il tanto agognato Anthony Davis, avrebbe già indicato la stessa stella dei Raptors, assieme alla guardia dei 76ers Jimmy Butler, come ventaglio tra i suoi papabili “scudieri” per il prossimo anno, che lo dovrebbero aiutare a rincorrere un titolo che LeBron rivuole assolutamente. Dopo il 30 giugno il destino di Toronto sarà lasciato al mercato e alla volontà del jordaniano (come lo ha definito Doc Rivers, coach dei Los Angeles Clippers) Kawhi Leonard.
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