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Risarcimenti per la schiavitù negli USA: una (troppo) lunga storia

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Marco Maffeo

La segregazione razziale negli Stati Uniti è ormai terminata da tempo, ma le ferite aperte sono molte, e molte continuano a essere anche le diseguaglianze. Lo dimostra il dibattito avvenuto alla Camera degli Stati Uniti il 19 giugno scorso, in cui per la prima volta dal 2007 si è discusso il tema dei risarcimenti per la schiavitù, ovvero la richiesta che gli afroamericani fanno da tempo al governo statunitense di ricevere delle compensazioni per i centocinquant’anni di segregazione razziale. Il dibattito era stato organizzato il 19 giugno in occasione della ricorrenza del Juneteenth, festa che celebra l’abolizione della schiavitù negli USA: il 19 giugno del 1865, finita la guerra di secessione americana, il generale Granger arrivò a Galveston e proclamò la liberazione dei 250.000 afroamericani del Texas che erano ancora in schiavitù. La proposta al centro del dibattito non è nuova, ed è stata riportata in auge negli ultimi decenni del ventesimo secolo, senza però riuscire mai a essere presa veramente in considerazione dalle aule del Congresso. Con le elezioni presidenziali del 2020 che si fanno sempre più vicine, i Democratici hanno ora dato nuovo vigore al tema, sperando di poter attrarre in questo modo i voti degli afroamericani.

Risarcimenti per la schiavitù e per una discriminazione razziale mai davvero finita

L’idea che il governo statunitense debba pagare per i crimini commessi con la schiavitù e per le diseguaglianze economiche e sociali che le politiche segregazioniste hanno causato prende forma soprattutto a partire dall’House Resolution 40 del 1989. Proposto dal membro del Congresso John Coyers, del Michigan, l’House Resolution aveva lo scopo di avviare uno studio da parte del Congresso sulla schiavitù e sui suoi effetti a lungo termine, con lo scopo di trovare eventuali rimedi. La proposta di legge, che è sempre stata ignorata dal Congresso, è stata avanzata da Coyers a ogni sessione della Camera dal 1989 fino al 2017, anno delle sue dimissioni. Ora l’House Resolution 40 è sostenuto principalmente dalla rappresentante democratica Sheila Jackson Lee, che ha anche promosso il dibattito del 19 giugno scorso. Lee mirerebbe a istituire una commissione composta da tredici membri che si occupi della questione.

La rappresentante democratica Sheila Jackson Lee, principale sostenitrice dell’House Resolution 40. Foto: Time.

Durante il dibattito erano presenti politici appartenenti sia ai Democratici che ai Repubblicani. Il maggiore sostegno alla proposta dei risarcimenti per la schiavitù viene ovviamente dai Democratici, che vedono nell’elettorato afroamericano un ampio bacino da cui attingere voti per le prossime presidenziali. Sono voti che è importante recuperare, sia perché costituiscono più del 10% dell’elettorato statunitense, sia perché paradossalmente Trump sembra essere in grado di inglobarne una seppur minima parte: rispetto alle Presidenziali del 2016, alle elezioni di mid-term del 2018 il numero di afroamericani che ha votato i Repubblicani è infatti aumentato di un punto percentuale.

Eppure, l’81% dei Repubblicani sarebbe contrario a garantire dei risarcimenti per la schiavitù agli afroamericani: i Repubblicani sanno infatti che dal loro sostegno alla proposta potrebbe derivare una perdita di voti dell’elettorato bianco, visto che secondo i dati il 68% dell’elettorato statunitense – e cioè quasi otto americani su dieci – è contrario. È un rischio che nemmeno i Democratici possono ignorare, e infatti alcuni degli esponenti del partito candidati alla presidenza hanno sì dato il proprio appoggio, ma in maniera piuttosto vaga: diversi non condividono l’idea di compensazioni economiche – che sarebbero garantite dalle tasse pagate dal resto dell’elettorato – ma sostengono invece l’introduzione di eventuali norme che possano risolvere le disparità socioeconomiche tra bianchi e neri. Quali debbano essere queste norme, però, non è mai stato precisato.

Il divario tra afroamericani e popolazione bianca che esiste negli Stati Uniti – comunemente chiamato racial gap – è piuttosto ampio, eppure gli americani stessi ne hanno una percezione completamente falsata: secondo un’indagine del 2018, gli statunitensi bianchi credono che la ricchezza dei neri corrisponda all’80% della loro, ma i numeri forniti dall’U.S. Census Bureau mostrano che invece ammonta solo al 7%. Infatti, per ogni cento dollari guadagnati da un americano bianco, un afroamericano ne guadagna circa cinque, e quasi un quarto delle famiglie nere ha un patrimonio netto pari o inferiore a zero, rispetto invece al solo 10% delle famiglie bianche. La disparità economica è dovuta a una differenza nelle retribuzioni anche tra persone istruite, con una forte disuguaglianza tra i salari dei laureati bianchi e quelli dei laureati afroamericani.

A denunciare questa situazione e a riportare al centro del dibattito pubblico degli ultimi anni il tema dei risarcimenti per la schiavitù è stato soprattutto lo scrittore Ta-Nehisi Coates, con un saggio intitolato The Case for Reparations che ha pubblicato nel 2014 sul quotidiano The Atlantic. Nel saggio Coates attacca l’emarginazione a cui la popolazione nera negli Stati Uniti è ancora soggetta e spiega come nella città di Chicago siano stati creati dei ghetti in cui emarginare gli afroamericani, il tutto attraverso politiche discriminatorie nella compravendita di case. In questo modo, ancora oggi le famiglie nere povere vivono concentrate negli stessi quartieri e isolate dalle zone più ricche, e anche chi riesce a guadagnare sufficientemente da potersi spostare nelle aree più benestanti tende a non voler uscire dai ghetti.

Lo scrittore Ta-Nehisi Coates, autore del saggio “The Case for Reparations”. Foto: TheGuardian.

Una prima soluzione al problema era stata adottata con l’emanazione del Fair Housing Act nel 1968, che proibiva varie forme di discriminazione razziale nella compravendita di immobili. Tuttavia, la legge è stata ignorata per anni dalle città più segregazioniste del Paese, e proprio per questo motivo la presidenza Obama si è impegnata per mettere in pratica il Fair Housing Act e garantire una maggiore integrazione. Integrazione che però stenta ad arrivare: la ragione principale, secondo Coates, starebbe proprio in quegli anni di schiavitù subiti dagli afroamericani che sarebbero alla base delle condizioni di estrema povertà della popolazione nera. Ecco perché, durante il dibattito del 19 giugno scorso, lo scrittore è intervenuto riproponendo la questione dei risarcimenti per la schiavitù che il governo statunitense dovrebbe garantire agli afroamericani.

L’eterna attesa per i risarcimenti e l’effimero appoggio dei Democratici

In realtà, la questione dei risarcimenti per la schiavitù ha una lunga storia alle spalle. Nacque sin da dopo il 1863, anno in cui Lincoln garantì con il Proclama di emancipazione la libertà a tutti coloro che in quel momento erano schiavi negli Stati Uniti. Il Proclama non impedì i lunghi anni di segregazione razziale che seguirono: fino al 1968 in gran parte degli USA vigevano le leggi Crow, che sostenevano quella politica di separazione tra bianchi e neri negli spazi pubblici che diede vita al tristemente celebre slogan «separati ma uguali».

Ancora adesso l’integrazione non è completa, come dimostra anche l’opposizione della maggioranza degli americani ai risarcimenti. Coates e quelli che con lui sostengono la causa dei risarcimenti hanno cercato sponde tra i Democratici, ma non si sa quanto il loro appoggio possa durare. Se alcuni esponenti come la deputata Alexandria Ocasio-Cortez sostengono la proposta, molti altri preferiscono rimanere più cauti e non esporsi: perfino Obama ha affermato di essere d’accordo con il concetto, ma non con l’idea di dare compensazioni economiche. In ogni caso, il dibattito del 19 giugno scorso ha avuto il merito di riportare la causa dei risarcimenti al centro dell’attenzione. Bisognerà aspettare le elezioni del 2020 per capire fino a che punto i Democratici intendono appoggiare la proposta, e per vedere se questa mossa politica li ricompenserà o se invece aprirà a Trump la strada per un secondo mandato.

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Marco Maffeo

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