Quanto vale la Lega di Matteo Salvini nel Veneto? In termini di voti, è quasi egemone. Le recenti elezioni europee hanno assegnato il 49.88% dei voti alla Lega, di più di PD (18.94), Movimento 5 Stelle (8.91), Fratelli d’Italia (6.76) e Forza Italia (6.05) messi insieme. Nelle ultime elezioni i cittadini veneti hanno confermato di restare fedeli al partito di Alberto da Giussano e che governa la regione come primo partito da quasi dieci anni, mentre fa parte della coalizione di governo della regione da quasi venti.
La Lega è legata alla regione del Veneto da quando è stato fondato il primo movimento federalista e autonomista in Italia, la Liga Veneta, a Padova il 16 gennaio 1980. Questo movimento, poi confluito come “sezione nazionale” nell’attuale Lega, è nato per rivendicare la civiltà dei veneti considerati come etnia autonoma, con una lingua e una cultura diverse da quella degli altri popoli della penisola e con una storia propria e indipendente, da ricondurre ai fasti della Serenissima Repubblica di Venezia. Con questo spirito di rivendicazione della nazione veneta, la Liga Veneta si è sempre battuta per una maggiore autonomia della regione dallo stato centrale di Roma.
La Liga Veneta, parte prima della Lega Nord di Bossi e poi della Lega di Salvini, è nata dalla rivendicazione che il forte sviluppo economico del Veneto avvenuto a partire dagli anni Settanta e basato sulle piccole e medie industrie fosse indebolito e sfruttato per favorire gli aiuti statali per lo sviluppo del Mezzogiorno. Sulla base di questo pensiero “venetista” la Liga Veneta ha eletto il suo primo deputato (Achille Tramarin) e senatore (Graziano Giraldi) nel 1983 al grido di «Roma ladrona!» e da allora partecipa alla vita politica, portando voti e supporto al più vecchio partito in Italia, la Lega. Il coronamento degli sforzi indipendentisti del movimento è stata la proposta di legge per l’indizione di un referendum consultivo sull’indipendenza, approvato dal consiglio Regionale veneto il 12 giugno 2014. La bocciatura della proposta da parte della Corte Costituzionale che la ritiene «contraria al principio costituzionale dell’unità della repubblica», ha portato a una seconda proposta di referendum consultivo sull’autonomia giudicato ammissibile e calendarizzato per il 22 ottobre 2017. Il referendum è stato un grande successo per la Lega che ha ottenuto un’affluenza del 57.2% con i voti favorevoli al 98.1%.
Quanto è compatibile tutto ciò con la nuova linea politica nazionalista di Matteo Salvini? Molto poco. Grazie al nuovo segretario, dal 21 dicembre 2017 il partito ha rimosso la parola “Nord” e il Sole delle Alpi dal proprio simbolo, presentandosi ai successivi appuntamenti elettorali, in tutta Italia, solo come Lega. Anche se il Presidente del Veneto Luca Zaia e il segretario nazionale Matteo Salvini cercano in tutti i modi di rassicurare il loro elettorato sull’imminenza dell’autonomia regionale, il braccio veneto della Lega non riesce a capire quando ci saranno delle proposte di legge tangibili. Gli indipendentisti infatti temono che l’autonomia diventi solo un comodo strumento di propaganda per portare voti.
A preoccupare i venetisti non sono gli alleati di governo di Matteo Salvini. Infatti, il Movimento 5 Stelle oggi è un alleato quanto mai temporaneo, anche se il Presidente Zaia ha apertamente criticato i Cinque Stelle al governo svariate volte. È piuttosto la svolta nazionalista del giovane segretario a rendere vani i sogni d’indipendenza regionale. Lo slogan “prima il nord” ormai è solo una derivazione territoriale di “prima gli italiani” come quelli presentati nelle regioni del meridione, come “prima i lucani” o “prima i sardi”. Evidentemente, Salvini ha deciso di barattare l’autonomia (o almeno l’indipendentismo) per i voti del sud Italia, voti che sono arrivati grazie a una campagna elettorale di stampo sovranista/nazionalistico e che permettono oggi al segretario della Lega di essere la figura politica più potente e discussa del paese.
Tralasciando le inconcludenti richieste di Bossi, il partito è finora rimasto unito sotto la guida di Matteo Salvini, conservando le sue due anime. Tuttavia, il recente successo elettorale, il rinnovo di alcune cariche nella Lega e il fatto che l’autonomia sia stata accantonata nella pratica da Salvini hanno creato alcune crepe nei rapporti Lega-Liga. Mentre il Presidente del Veneto Zaia, forse l’ultimo forte indipendentista della Lega, vede la sua posizione indebolita a ridosso delle elezioni regionali del 2020.
Il punto è che il braccio Veneto della Lega è sempre più messo all’angolo da alcune scelte di Salvini sugli equilibri interni. Primo, Salvini sceglierà personalmente il nuovo commissario regionale che non potrà essere un candidato alle regionali. In questo modo tutti i maggiorenti regionali vicini a Zaia resterebbero interdetti dalla carica che verrà decisa a nomina “divina”. Secondo, dopo il lombardo Giorgetti e il veronese Fontana, come terzo suo vice Salvini ha scelto Andrea Cippa, 33 anni e ex portaborse di Salvini a Bruxelles, ma soprattutto lombardo. Terzo, nella commissione per la riforma dello statuto della Lega, recentemente creata ex novo per la stesura delle regole del nuovo partito nazionale, non ci sono esponenti delle Liga Veneta. Quarto, gira voce che alle elezioni regionali del 2020 il candidato non sarà Luca Zaia (orami soprannominato “il doge”) ma Massimo Bitonci, l’ex sindaco di Padova e attuale sottosegretario, molto più fedele alla linea salviniana. Il segretario della Liga, Gianantonio Da Re, ha scartato categoricamente questa ipotesi, ma con questa ondata di consensi presa da Salvini in regione non si può escludere nulla.
Nella Lega ex-Nord esistono due anime: quella nazionalista e quella indipendentista, e tra di loro sono incompatibili sotto ogni punto di vista che non sia la semplice somma dei voti dei rispettivi elettori. Resta da vedere se il braccio leghista veneto accetterà di scambiare le poltrone del consenso in cambio della morte ideologica del venetismo. I nodi vengono al pettine e le contraddizioni interne sono pronte a esplodere. Ci sono due possibili scenari all’orizzonte. O Matteo Salvini riesce a schiacciare ogni protesta interna ed esterna al partito facendo finire la “questione settentrionale”, oppure l’autonomia chiesta dai Veneti trova altre strade per essere espressa, magari al di fuori della Lega, magari trovando un modo di formulare l’autonomia che possa piacere anche agli altri partiti.