Per comprendere appieno ciò che sappiamo del finanziamento di Gheddafi a Sarkozy, è indispensabile indagare i contatti e gli scambi tra i protagonisti della vicenda, e come gli interessi privati abbiano potuto far breccia in quelli dello Stato, tra corruzione e manipolazioni. Dopo averlo fatto, la fuga (e la morte in alcuni casi) degli stessi personaggi acquisirà un nuovo significato. Malgrado ciò, la giustizia non è ancora riuscita a provare le sue accuse.
Siamo nel 2006. Ziad Takieddine apre i battenti del mercato libico a una piccola impresa di Aix-en-Provence, la i2e. Guidata da Philippe Vanvier (che sarà insignito della Legione d’Onore nel 2011 dal presidente Sarkozy), essa cambierà nome in Amesys nel 2007, per poi essere acquisita dal gruppo Bull nel 2010. Il 30 agosto 2011 è il Wall Street Journal a fare luce sui legami tra questa piccola società, lo Stato francese e la Libia di Mu’ammar Gheddafi. Grazie alla giornalista Margaret Coker, che a Tripoli ha ritrovato i dossier riguardanti l’affare, la società finisce sulle prime pagine di tutti i giornali, che gridano allo scandalo. Amesys ha venduto al dittatore un sistema di spionaggio elettronico che ha permesso ai servizi d’informazione libici il controllo di tutte le comunicazioni operanti nel Paese. Comprese quelle attive sulla rete cellulare e sulla rete Internet, ogni conversazione era ascoltata e manipolata dagli agenti libici affidati al progetto. Nome in codice del sistema: Eagle. Nel 2006, è l’i2e stessa a presentare il programma (chiamato al tempo Cryptowall) vantandone i lati positivi e la preziosa collaborazione del Ministero degli Interni, guidato all’epoca da Nicholas Sarkozy.
Sarkozy, in occasione della visita francese di Gheddafi, ha permesso agli interessi dell’Eliseo di collimare con la generosità libica, finalmente alla luce del sole. Nonostante la firma sui numerosi contratti (come la vendita degli aerei militare classe Rafale), non tutti hanno significato il guadagno sperato dalle aziende francesi, culminando, in molti casi, in un nulla di fatto. I rapporti tra i due leader cominciarono a incrinarsi ed entrambi hanno avuto modo di esprimere il rammarico per la situazione, anche se per motivazioni diverse. Nicholas Sarkozy era preoccupato per i mancati profitti miliardari di quei contratti, in cui aveva molto sperato. Nel caso in cui sia provato che Mu’ammar Gheddafi abbia effettivamente finanziato la campagna presidenziale di Sarkozy, quel finanziamento avvenne in cambio di un avvicinamento all’Unione Europea che Gheddafi desiderava da tempo.
È quanto il rais ha confidato a Zohra Mansour, una delle due fonti più attendibili che Catherine Graciet ha citato nel corso della sua inchiesta. Schiava sessuale della Guida, prima, e diplomatica al servizio del Ministero degli Affari Esteri libico, poi, Zohra Mansour racconta del suo periodo di prigionia nelle carceri di Tripoli, terminato nel settembre 2011. Per diversi mesi fu torturata e tra i suoi aguzzini lei si dice sicura di aver visto soldati provenienti dal Qatar.
La donna non è la sola a nominare il Qatar: anche Tahar, la seconda fonte di Graciet, ne fa menzione. Imprigionato in Tunisia durante la guerra, egli mostrerà alla giornalista il rapporto medico dell’ospedale in cui si recò una volta libero. Ustionato in più punti con scariche elettriche, i segni indelebili che porta sul corpo sono il risultato delle torture subite. Ricorda chiaramente come le guardie che lo torturarono si avvicendassero: a volte francesi, a volte qatariote. Distinguerli era semplice: i primi parlavano un perfetto francese fra loro, i secondi montavano una spilla sul bavero raffigurante la bandiera del Qatar.
Mu’ammar Gheddafi, pochi mesi prima della guerra civile, dichiarò in una conferenza di voler nazionalizzare il mercato petrolifero libico. Il Qatar, terza riserva di gas naturale al mondo dopo la Russia e l’Iran, vedeva nella Libia il principale porto d’accesso al Mediterraneo. È Ziad Takieddine a confessare nel 2013, nell’ambito dell’inchiesta sull’Affare Karachi, di aver ricevuto il compito di guidare la Total in Libia, nel 2008, per discutere del progetto di un gasdotto sotterraneo che dal Medio-Oriente arrivasse in Europa. Il suo interlocutore principale in Libia per l’affare? Choukri Ghanem, Ministro del Petrolio libico fino al 2011.
Nella quasi totalità dei dossier su cui l’Eliseo lavorava, le mani di Claude Guéant e Ziad Takieddine (che agiva nell’ombra di Guéant) gestivano la diplomazia segreta per conto dello Stato francese. Molteplici gli incontri avvenuti tra Seif el Islam, figlio del rais, e Claude Guéant. Il primo di questi avvenne nel 2007, dopo la liberazione delle infermiere bulgare, e doveva svolgersi all’interno del palazzo dell’Eliseo. Mentre il braccio destro di Sarkozy attendeva, Abdallah Senoussi, capo dei servizi militari libici, di concerto con Ziad Takieddine fece prelevare Seif el Islam per portarlo proprio a casa di Takieddine, dove attesero Guéant per parlare di affari. Sul tavolo, gli aerei militari classe Rafale e il nucleare libico.
È importante far notare come la corruzione in Libia fosse istituzionalizzata sotto il potere di Gheddafi. Nel maggio 2008 un rapporto indirizzato a Claude Guéant fornì tutte le informazioni necessarie a permettere alle aziende francesi di potersi svincolare tra i dedali della corruzione libica. Due erano gli ostacoli che gli imprenditori francesi si sarebbero trovati innanzi: gli alti generali fedeli a Gheddafi, pur sempre rimpiazzabili dalla Guida qualora lo avesse voluto, e la sua prole, la cui ultima parola valeva quanto quella del rais. Di fronte a tali complicazioni, fare ostruzione ai passaggi di mano libici significava vedere il proprio affare crollare. Il rapporto suggeriva la creazione di un fondo speciale che permettesse di intervenire qualora ci fossero state richieste supplementari da parte dei libici. Ziad Takieddine, però, trovò un altro modo. Ebbe l’idea di usare un’azienda, metà pubblica e metà privata, per fare accordi diretti da Stato a Stato, senza intermediari. E in quel momento più che mai, gli intermediari erano parte integrante dello Stato.
La corruzione, però, non era solo territorio libico: per evitare che i fedeli di Chirac nell’amministrazione francese remassero contro gli interessi di Sarkozy, Ziad Takieddine volle Claude Guéant a capo di un tale, ambizioso, progetto. Utilizzando ciò che restava dell’azienda Sofresa (già attiva nella vendita di materiale militare all’Arabia Saudita negli anni Settanta), la cabina di comando per tutte le operazioni commerciali estere passò nelle mani di Claude Guéant. Seif el Islam, dal canto suo, era interessato a scavalcare il resto della progenie di Gheddafi, per arrivare a succedergli. Probabilmente, stringendo i rapporti con Seif el Islam, Claude Guéant sperava che ciò si avverasse.
Proprio Seif el Islam, nel 2011, fa esplodere la bomba del finanziamento libico alla campagna presidenziale di Sarkozy, ma alle sue dichiarazioni non seguono delle prove concrete. Comincia da quel momento l’esodo dei libici nell’entourage di Gheddafi, alcuni dei quali ascoltati dai giudici nel corso di questa inchiesta.
Nel marzo 2011 è Moussa Koussa, divenuto Ministro degli Affari Esteri dopo aver lasciato il posto nei servizi segreti ad Abdallah Senoussi, a disertare il Paese prima dello scoppio della guerra. Nell’agosto 2011, mentre il rais fugge dagli scontri a Tripoli e lui trova rifugio in Marocco, Abdallah Senoussi rivela l’esistenza di registrazioni video e audio comprovanti il finanziamento libico alla campagna presidenziale di Sarkozy. Tali conversazioni avrebbero avuto come intermediario Ziad Takieddine, ma le prove, come sempre, non esistono. Nonostante questo, Catherine Graciet si dice tutt’altro che scettica, ricordando come la Guida avesse l’abitudine di far registrare molti dei suoi incontri privati, soprattutto quando si parlava di Occidente. Bashir Saleh scappa in Tunisia alla fine del mese di agosto. Aiutato a più riprese dallo Stato francese, vi troverà dunque rifugio. Nonostante l’Interpol ne chieda l’estradizione, essa sarà negata dall’Eliseo per un passaporto diplomatico del Niger di cui Bashir Saleh è in possesso. Nel settembre del 2011 è l’ex Primo Ministro libico Baghdad al-Mahmoudi a lasciare il Paese, ma subito dopo sarà imprigionato a Tunisi. Il 20 ottobre 2011, il Re dei Re dell’Africa trova la sua fine e la sua salma tumefatta è esposta al pubblico ludibrio a Misurata. La guerra civile e quarantadue anni di potere dittatoriale si consumano nel sangue.
Il 19 novembre 2011 Seif el Islam è arrestato al confine tra la Libia e il Niger. Sarà poi trasferito in aereo presso il carcere di Zintan, tenuto nascosto da un gruppo di ribelli ostili al governo di transizione libico. Un’amnistia, nel 2015, gli darà la libertà. Dove sia nascosto da allora, rimane un mistero. Abdallah Senoussi, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per “crimini contro l’umanità” per la repressione violenta applicata alle proteste nella città di Benghazi (e condannato in contumacia per l’attentato del DC10-UTA), è fatto prigioniero il 17 marzo 2012, estradato in Libia e rinchiuso a Tripoli in attesa del processo. Sarà condannato a morte nel 2015, ma presenterà ricorso alla sentenza.
Il 28 aprile 2012 il sito web Mediapart.fr, in piena campagna presidenziale, pubblica un documento in arabo che accusa Nicholas Sarkozy di aver ricevuto un finanziamento di cinquanta milioni di euro da Mu’ammar Gheddafi. Il testo parla anche di un incontro segreto avvenuto a Tripoli nel 2006 a cui avrebbero preso parte Moussa Koussa come primo firmatario dell’accordo, Abdallah Senoussi, Bashir Saleh, Brice Hortefeux (Ministro francese delegato alle collettività territoriali, nonché Ministro degli Interni dal 2009 al 2011) e Ziad Takieddine. Quest’ultimo dirà solo di non essere stato presente all’incontro. Tutti gli altri negheranno qualsiasi implicazione. Il giorno dopo la pubblicazione del documento, il 29 aprile 2012, il corpo senza vita di Choukri Ghanem, l’interlocutore della Total in Libia, è recuperato nel Danubio, a Vienna. Le circostanze della sua morte non saranno mai provate.
Il 3 maggio 2012 l’aereo di Bashir Saleh, aiutato nella fuga da Alexandre Djouhri, prende il volo da Parigi, diretto in Africa. Nel 2012, dalla sua prigionia in Tunisia, Baghdadi al-Mahmoudi conferma la veridicità del documento presentato da Mediapart davanti alla giustizia tunisina, per poi chiedere, tramite i suoi avvocati, di non essere estradato in Libia. Il 24 giugno 2012 sarà comunque consegnato alle autorità libiche e chiuso in una cella di Tripoli, dove si trova tuttora. Il 22 novembre 2012, cinque mesi dopo, Tripoli ha inviato duecento milioni di dollari in aiuto della Tunisia: molti hanno visto in quel denaro la ricompensa per l’estradizione del prigioniero. Baghdadi al-Mahmoudi non si pronuncerà mai più sulla questione dei finanziamenti di Gheddafi a Sarkozy.
Nell’aprile del 2013 la procura ha aperto l’inchiesta giudiziaria ai danni dell’ex presidente della repubblica francese, Nicholas Sarkozy. Solo nel marzo 2018 egli sarà messo in stato di fermo, per trentasei ore, dal giudice Serge Tournaire. Rilasciato, sarà indagato per corruzione passiva e finanziamento illegale della campagna presidenziale. Dal 2012 al 2018 i testimoni ascoltati dai giudici hanno tutti confermato le accuse rivolte a Nicholas Sarkozy, sempre senza il sostegno di documenti o prove concrete. Abdallah Senoussi è il primo a farlo, nel settembre 2012. Moftah Missouri, interprete personale di Gheddafi, nel giugno 2013 conferma anch’egli la versione dei cinquanta milioni, transitati per mano di Bashir Saleh, incaricato dal rais di supervisionare i pagamenti. Nel 2014, Moussa Koussa è ascoltato dai giudici in Qatar, dove ha trovato rifugio. Dichiara, contrariamente a quanto fatto prima nel 2012, che il contenuto del documento pubblicato da Mediapart è vero, ma la sua firma su di esso non lo è. Tre esperti grafologi, incaricati dalla giustizia francese, dimostreranno che la firma sul documento è effettivamente la sua. Ziad Takieddine, nel 2016, in un’intervista concessa all’agenzia di stampa Premières Lignes, confessa di aver personalmente rimesso a Claude Guéant e Nicholas Sarkozy parte di quel finanziamento libico, per conto di Abdallah Senoussi. Verifiche attuate su suoi conti correnti non hanno però confermato le sue dichiarazioni.
Quali fonti per il processo ancora in atto dovrebbero essere ancora ascoltati dai giudici? Richiamati all’appello, i testimoni da intendere sono tre: l’uomo d’affari Alexandre Djouhri, l’ex ministro di Gheddafi Bashir Saleh e Souheil Rached. Il primo è a Londra, dove ha subito diversi interventi al cuore: per le sue precarie condizioni di salute rifiuta di farsi intendere dai giudici dal 2016. Bashir Saleh, dopo aver trovato un vacillante sostegno in diversi Stati africani, ha deciso di stabilirsi, come rifugiato politico, in Sudafrica, dove è stato oggetto di un tentato assassinio il 23 aprile 2018. Immediatamente posto in rianimazione, è stato trasferito a Dubai. Souheil Rached ha lasciato la Libia nel 2011, trovando rifugio in Tunisia. Non ha mai rilasciato dichiarazioni in questi anni, preferendo restare nell’anonimato.
L’ex presidente Nicholas Sarkozy e il suo braccio destro Claude Guéant sono implicati in numerose inchieste giudiziarie, ma nessuna di esse sembra trovare fine. Il giudice Tournaire, incaricato del dossier Sarkozy-Gheddafi, sta per essere trasferito, mentre ancora non sono state trovate prove certe dell’esistenza di quei finanziamenti. Nell’ambito del processo, ogni richiesta di aiuto alle autorità libiche è stata inutile. Un dossier sulle relazioni franco-libiche esiste, a Tripoli; quello che manca è un documento che comprovi i versamenti effettuati. E se, da una parte, molti dubitano persino che tale pezzo di carta esista, dall’altra si spera che esso non riesca mai a vedere la luce, meno che mai quella di un’aula di tribunale.
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