Gli ultimi anni delle produzioni Pixar hanno visto alternarsi progetti più e meno riusciti: se da un lato film come Inside Out o Coco hanno dimostrato come lo storico studio d’animazione abbia ancora idee fresche e vincenti da sviluppare, altri progetti hanno mostrato una evidente volontà di adagiarsi e puntare sulla sicurezza di titoli già affermati e di successo, quali Cars, Alla ricerca di Nemo e Monsters & Co., proponendone sequel, prequel e spin-off dal dubbio valore. Tralasciando la piacevole parentesi de Gli Incredibili 2, la “saga” più celebre dello studio californiano è indubbiamente quella di Toy Story. Acclamate dalla critica e fortunate al botteghino, le storie dei giocattoli più famosi del grande schermo non smettono di emozionare nemmeno giunte al quarto capitolo, Toy Story 4, diretto da Josh Cooley.
In seguito agli avvenimenti del terzo film, i giocattoli capitanati dallo sceriffo di pezza Woody si sono trasferiti da Bonnie, dopo che Andy, il loro precedente proprietario, è cresciuto e non ha più bisogno di loro. La vita di Woody è però drasticamente cambiata, poiché la bambina preferisce giocare con gli altri giocattoli, lasciandolo nell’armadio a impolverarsi. Quando un nuovo personaggio, Forky, diventa il preferito di Bonnie, il cowboy troverà dunque una nuova missione: dal momento che il giocattolo appena arrivato è stato creato con materiali di scarto, egli si considera spazzatura e cerca in ogni modo di gettarsi nel cestino, venendo fermato ogni volta da Woody. Durante una gita in camper, però, i due si perdono in un luna park itinerante. Qui, aiutati da una vecchia conoscenza, la pastorella Bo Peep, devono affrontare la bambola Gabby Gabby e i suoi inquietanti scagnozzi, dei pupazzi da ventriloquo. Rispetto ai film precedenti, il focus è su Woody, lasciando agli altri personaggi storici, come Buzz, Jessie, Mr. Potato e Slinky, ruoli secondari. Lo sceriffo si ritrova in una situazione totalmente nuova e differente rispetto al passato, abituato com’era ad essere il giocattolo preferito: attraverso lunghe sequenze di dialogo, per un prodotto rivolto principalmente ad un pubblico di giovanissimi, il conflitto di Woody viene esposto in modo maturo, sottolineando la difficoltà di trovare un proprio posto nel mondo, senza accontentarsi di una situazione nella quale, per quanto si sforzi, non potrà trovare la felicità.
Originariamente, Toy Story 4 non sarebbe dovuto essere un seguito, bensì avrebbe dovuto approfondire e spiegare la mancanza di Bo Peep nel terzo capitolo. La direzione presa ha permesso invece di legare l’inadeguatezza della nuova posizione di Woody con la storia della pastorella: in un flashback a inizio film si scopre che Bo è stata venduta dalla famiglia di Andy, finendo in un negozio di antiquariato. Qui entra a far parte dei “giocattoli perduti”, ovvero tutti coloro che non hanno un bambino ma vivono indipendenti. Il personaggio ha subìto un grande cambiamento di carattere rispetto alle sue precedenti apparizioni, rientrando nella recente ottica Disney di creare protagonisti femminili forti, da Elsa di Frozen a Rey di Star Wars, permettendo così di far scontrare questo suo nuovo libero stile di vita con un Woody sempre più dubbioso e, forse, disposto a provare una nuova avventura. Ciò che rende Toy Story 4 un progetto riuscito, al netto del divertimento e delle emozioni che la Pixar riesce sapientemente a trasmettere allo spettatore, sono le numerose idee sviluppate attorno ad un mondo che solo apparentemente non ha più nulla da raccontare. L’introduzione e la possibilità che i giocattoli possano esistere per conto loro, nascosti ma comunque presenti nella società umana, permette di esplorare ambientazioni potenzialmente infinite, oltre a tipologie di giocattoli differenti con interazioni e storie uniche (come Ducky e Bunny, due pupazzi di bassa qualità, tipici premi delle giostre di paese, che cercano in ogni modo di essere “vinti”). Il personaggio di Forky introduce poi un aspetto interessante riguardo la nozione stessa di giocattolo: l’affetto di Bonnie ha dato vita a della spazzatura, che infatti non riesce inizialmente a riconoscersi se non come tale, inscenando una crisi esistenziale con tendenze quasi suicide, velate per il pubblico più giovane. Non ci sono limiti dunque alla lunghezza del franchise, che, potenzialmente, potrebbe continuare per anni senza annoiare o fallire come altri hanno già fatto.
Toy Story 4 ha riaperto una saga consideratasi conclusa con il terzo capitolo, senza però incappare nella mera operazione commerciale. I nuovi personaggi riescono a reggere l’intera pellicola, e l’assoluto protagonismo di Woody permette alla Pixar di esplorare ancor di più quello che, a oggi, potrebbe essere il personaggio più importante del cinema d’animazione. Se infatti negli ultimi anni la casa di produzione ha messo in atto un progressivo abbandono di progetti inediti (vedasi la recente cancellazione del progetto Gigantic), c’è da augurarsi che i sempre più frequenti sequel e spin-off abbiano la qualità, e soprattutto la maturità, del più recente capitolo di Toy Story.
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