Con il draft e l’assegnazione dei premi individuali di fine giugno, si è ufficialmente conclusa la stagione NBA 2018-2019, con alcune sorprese difficilmente pronosticabili a inizio anno (come il Larry O’Brien che è finito a Toronto, per la prima volta fuori dal territorio statunitense) ed alcune conferme, come ad esempio la scelta numero uno del draft, ricaduta su Zion Williamson. Come al termine di ogni stagione regolare ci sono vincitori e vinti, conferme e smentite, e sicuramente tanta speranza di vedere il prossimo anno una stagione regolare imprevedibile come questa.
Sicuramente i vincitori indiscussi di questa stagione sono i Toronto Raptors: sia, ovviamente, per la vittoria finale a scapito degli Alieni della Baia, sia per come hanno condotto una buona stagione regolare ed una buonissima campagna acquisti e scambi a fine gennaio. La dirigenza canadese ha avuto il giusto miscuglio di intuizione, fortuna e sfacciataggine nell’assemblare una squadra che, giocatore per giocatore, è riuscita con grinta, impegno e spirito di sacrificio ad arrivare in fondo a questa stagione. La scelta della scorsa estate di scambiare l’uomo franchigia, Demar Derozan per il futuro (e passato) MVP delle Finals Kawhi Leonard, può sembrare oggi naturale e sensata: ma c’è da ricordare che The Klaw in quel periodo era reduce da un misterioso infortunio che lo aveva tenuto fuori dal campo per molto tempo, aveva un rapporto non certo ottimale con la dirigenza Spurs e un solo anno restante di contratto, fattori che lo rendevano inevitabilemente una scommessa ad alto rischio, ma anche ad alto guadagno. Non contenta, la dirigenza Raptors ha poi deciso di rafforzare l’organico a ridosso della Trade Deadline di febbraio, scambiando tre asset discreti per Marc Gasol. Anche quest’operazione, che ha comunque appesantito il monte salariale canadese di circa dieci milioni di dollari, si è rivelata essere determinante, con il centro spagnolo che è riuscito a fluidificare l’attacco con la sua ottima visione di gioco e a irrobustire la difesa con la sua stazza e presenza in area. Il merito va anche ovviamente all’allenatore Nick Nurse, che alla sua prima stagione da head coach è riuscito nell’impresa di vincere il primo titolo di campioni della East Conference e il primo trofeo Larry O’Brien della storia della franchigia canadese, organizzando bene la squadra e prendendo giuste decisioni sotto pressione. Nurse è diventato anche il primo allenatore nella storia a vincere sia un titolo NBA che uno della lega di sviluppo G-League.
Un altro vincitore, almeno parziale, è The Greak Freak Giannis Antetokoumpo. Anche se i suoi Bucks non sono riusciti ad arrivare nemmeno a giocarsi il titolo in finale (dopo aver avuto il miglior record della regular season), il greco ha dimostrato durante tutta la stagione di essere il futuro della lega. Il 24 giugno, poi, è arrivata la consacrazione a livello indivudale: il premio MVP della stagione regolare, che Giannis ha vinto imponendosi su James Harden, il detentore del titolo. Il greco diventa dunque il secondo giocatore europeo e il quarto non statunitense nella storia a vincere il più alto premio individuale NBA. Durante questa stagione, The Greak Freak ha dato prova di essere maturato molto rispetto al passato e l’impressione è che, se riuscirà a migliorare il suo tiro da tre e la sua presenza difensiva, potrebbe diventare un insuperabile all-around.
Infine, però, il più grande vincitore di questa stagione rimane l’NBA stessa. Da giugno dell’anno scorso a oggi, la lega ha subito molti cambiamenti che l’hanno fatta diventare ancora più fruibile a livello economico. Il draft dell’anno scorso ha portato con sé grandi talenti, quali Trae Young, Deandre Ayton e soprattutto Luka Doncic (vincitore del premio Rookie of the Year, che contraddistingue il miglior esordiente della stagione): proprio quest’ultimo può essere la chiave per una diffusione ancora più capillare del campionato americano nel Vecchio Continente. La vittoria finale di Toronto ha inoltre una doppia valenza: se, da un lato, la cavalcata verso il Larry O’Brien ha unificato il Canada a sostegno dell’unica squadra NBA extra statunitense, dall’altro dimostra che si è ufficialmente concretizzata la tendenza NBA di riequlibrio tra Est e Ovest. Per trovare un’altra vincitrice delle finals appartenente alla East Conference che non abbia avuto in squadra Lebron James c’è bisogno di tornare al 2008, quando i campioni furono i Boston Celtics.
«Più sono grossi, più fanno rumore quando cadono» è una famosa frase del pugile britannico Bob Fitzsimmons, e quest’anno i Golden State Warriors erano sicuramente i più grossi di tutti. Gli Alieni della Baia di San Francisco erano partiti come super favoriti quest’anno, dopo aver stravinto (4-0) le Finals dello scorso anno e avendo addirittura firmato Demarcus Cousins come centro, l’unica posizione in cui erano sprovvisti di un all-star. Già durante la stagione regolare, però, i Warriors sembravano aver qualche motivazione in meno degli anni passati ed erano sembrati più “umani”, anche se ancora favoriti. Purtroppo però la sfortuna si è accanita contro i campioni con una serie infinita di infortuni: Cousins, Durant, Thompson e Looney, infatti, sono tutti stati fuori durante i playoff. Questo fatto ha scoperto i limiti della formazione di San Francisco, evidenziando come, ovviamente, i pesanti contratti degli all-star presenti in quintetto non lasciano spazio ad una panchina di qualità, presente invece in una squadra più equilibrata come quella di Toronto. Il futuro è ora molto incerto per i Warriors: anche se dovessero rifirmare tutti i giocatori che sono diventati free agents a fine stagione, si troverebbero con due giocatori importantissimi, Durant e Thompson, fuori almeno fino al prossimo febbraio.
Gli Houston Rockets sono probabilmente gli altri grandi perdenti della stagione. Con James Harden alla sua migliore stagione in carriera e una serie di playoff contro i Warriors più incerta che mai (la prima serie della storia in cui tutte le partite sono finite con uno scarto inferiore ai sette punti), i Rockets non sono riusciti a concretizzare nel momento opportuno. Durante gara 5 infatti, dopo aver rimontato da 2-0 a 2-2, non hanno approfittato dell’infortunio di Durant per prendere il comando emotivo della serie, perdendo la partita e la successiva (e decisiva) gara 6. Voci di corridoio riportano inoltre grandi problemi all’interno dello spogliatoio, con Harden e Paul che sembrano aver superato il punto di non ritorno nella loro convivenza in Texas, tanto che il secondo ha chiesto alla dirigenza di essere scambiato.
Gli ultimi due perdenti sono invece localizzati nella East Conference: i 76ers e i Bucks. I primi erano andati quasi all-in durante la stagione appena conclusa con gli scambi che hanno portato Butler e Harris nella città dell’amore fraterno. Entrambi i giocatori, infatti, hanno contratti in scadenza e sarà molto difficile che rifirmino entrambi quest’estate (soprattutto Butlerm che non sembra intenzionato a rimanere a Philadelphia). Nonostante tuttom i 76ers sono stati eliminati con un rocambolesco canestro di Leonard in gara 7 da quelli che sarebbero diventati poi i campioni NBA: certamente non una brutta maniera per andarsene, ma la dirigenza dovrà essere brava ad arruolare qualche star da affiancare alla formazione piena di giovani talenti se vorrà che la squadra arrivari fino in fondo nella prossima stagione. I Bucks, invece, hanno probabilmente molti rimpianti per la loro eliminazione in finale di Conference contro i Raptors. La formazione di Milwaukee, infatti, aveva giocato una stagione regolare di altissimo livello finendo con il miglior record della lega, con un Antetokoumpo in formissima e i primi due turni di Playoffs finiti 8-1 a loro favore. Erano sembrati completi e, a tratti, inarrestabili. Ciononostante, la squadra allenata da Mike Budenholzer (Coach of the Year di quest’anno) si è dispersa dopo essere andata in vantaggio 2-0 contro i Raptors. L’impressione è che i Bucks abbiano lamentato una scarsa esperienza ai playoff e, anche in seguito alla riorganizzazione degli accoppiamenti difensivi dei Raptors, non siano riusciti a reagire al primo momento di difficoltà psicologica incontrato in stagione.
Sicuramente la prossima stagione si preannuncia piena di sorprese e di incertezze. Le squadre protagoniste di quest’anno sono chiamate a provare a confermarsi anche il prossimo, ma un’estate piena di free agents come questa potrebbe cambiare completamente la situazione attuale. Toronto dovrà cercare di convincere l’MVP delle Finals, Leonard, a rifirmare in Canada per puntare ad un back-to-back: senza il contributo di The Klaw non sembra pronosticabile che i Raptors possano superare il secondo turno di playoff. I Warriors si trovano probabilmente a fine ciclo e sarà interessante vedere come affronteranno la stagione regolare senza la presenza di uno dei due Splash Brothers, Thompson, e quella di Durant. Anche i Rockets sono nella stessa situazione, con il duo Harden-Paul che non ha prodotto i risultati sperati. Con la quasi certa partenza di Paul, la dirigenza dovrà trovare un innesto compatibile con un giocatore “egoista” come Harden, ma proprio la sua presenza scoraggia la maggior parte degli all-star, che dovrebbero accontentarsi di essere secondi violini a Houston. I Bucks, invece, devono far esperienza dei playoff di quest’anno e cercare un compromesso per rifirmare i tre starters con i contratti in scadenza quest’estatem se vogliono provare un ultimo assalto al Larry O’Brien prima della scadenza del contratto di The Greak Freak la prossima estate.
Ci sono però anche molte novità e squadre giovani e interessanti. I Pelicans, con grande fortuna, sono riusciti a pescare la scelta numero uno al draft (ovviamente draftando Zion Williamson) e allo stesso tempo hanno monetizzato al massimo lo scambio di Anthony Davis con i Lakers, creando una formazione molto interessante e futuribile. Anche i Lakers si prospettano essere una formazione interessante nella prossima stagione, con il duo James-Davis che, se messo in condizione, può essere a dir poco devastante. Gli Hawks sono un’altra squadra piena di giovani talenti che, anche se sicuramente non riusciranno ad incidere già dalla prossima stagione, faranno divertire tifosi e appassionati. Infine sarà interessante anche vedere i Mavericks al rientro dall’infortunio dell’unicorno Porzingis in accopiata con Doncic: anche in questo caso, una formazione molto giovane che incuriosice e promette grandi cose.
Il futuro, insomma, sembra roseo nell’ambiente NBA. Non c’è da far altro se non mettersi comodi e aspettare ottobre per l’inizio della prossima stagione: nel frattempo c’è da seguire una delle free-agency più ricca di sempre.
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