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Il caso Lega-Russia non deve finire nel dimenticatoio

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Valerio Bastianelli

Una tempesta perfetta su scala nazionale. Un fulmine a ciel sereno, di quelli violenti che fanno tremare le finestre. Un caso di cui si parlerà per mesi, costantemente in prima pagina su ogni quotidiano e nelle logorroiche laringi dei politici nostrani. È possibile che l’inchiesta di Buzzfeed News, relativa ai presunti rapporti illeciti tra la Lega di Matteo Salvini e la Russia di Vladimir Putin, possa non tradursi in nulla di tutto questo.

Il contrario di ciò che ci si aspetterebbe? Certo; una simile ipotesi di reato andrebbe normalmente a costituire uno scandalo di proporzioni bibliche, connotato da inchieste parlamentari e dimissioni di massa al solo, flebile suono della parola «forse…». Ma è difficile pensare che andrà davvero così, e che invece il caso dei presunti fondi illegali della Lega non vada a costituire, a due o tre mesi da ora, un semplice argomento di conversazione tra anziani sull’autobus.

Sorprendente? Nemmeno troppo. Ricordiamocelo, l’Italia è il Paese che è rimasto incantato per dieci giorni da una barzelletta, che non era neanche divertente: quella di un italiano, una tedesca e quarantadue africani che entrano a Lampedusa.

È il Paese che non si chiede perché l’auto-isolamento dell’esecutivo di Roma dalle trattative europee abbia portato alla nascita proprio dell’asse franco-tedesco che i sovranisti temevano, mentre noi passiamo – da terzo Paese più potente – a essere una semplice pedina subalterna al blocco di Visegrad.

È il Paese che non si chiede perché l’Europa non riesca a fronteggiare unita le emergenze migratorie, quando i vertici tra ministri degli interni vedono sempre vuota la sedia che porta il nome di chi, in quel contesto, rappresenta la nazione che più ne è interessata.

È il Paese che non si chiede se sia davvero possibile finanziare misure come il reddito di cittadinanza, senza che venga al contempo imposto un taglio di miliardi a sanità, istruzione e compagnia bella.

L’Italia è, infine, il Paese che ama l’uomo forte che decida al suo posto, come Matteo Salvini o Vladimir Putin. Ed è il Paese che, pur avendo alle spalle un’immensa tradizione dietrologica, non ama davvero chiedersi cui prodest, a chi facciano comodo un’Europa e un’America disgregate e inefficaci, o perché da est soffi in continuazione il gelido vento siberiano della propaganda diretta all’estero. È il Paese che non si chiede perché, già nelle prime bozze del programma di governo Lega-M5S, uno dei punti intoccabili consistesse nell’avvicinamento a Mosca e nell’eliminazione delle sanzioni indirizzate alla Russia. Ed è il Paese che non si chiede perché la Lega abbia tentato due volte di eliminare il reato di finanziamento ai partiti da parte di Stati esteri, la prima – senza successo – qualche giorno dopo l’incontro al Metropol e la seconda, riuscita, circa tre mesi fa.

Matteo Salvini a Mosca. Foto: Facebook/Matteo Salvini.

Sicuramente le barzellette come quella di cui sopra aiutano a non pensarci, a sfogare qualche altro tipo di istinto che non sia paura o diffidenza. Non nella direzione giusta, quantomeno.

L’Italia è un Paese nel quale succedono molte cose, ma è sempre stato un Paese che gioca a interpretare il rivoluzionario pur amando alla follia lo status quo. Status quo che diventa facile da mantenere anche quando per farlo si devono chiudere non uno, ma entrambi gli occhi. Tutto, se non si sbraccia e scalcia continuamente per tenerlo a galla, sprofonda nella palude del più classico immobilismo italico, in quel blob grigio in cui sono archiviati, conservati per sempre come fossili di dinosauro, tutti i grandi scandali e i casi irrisolti che il nostro Paese ha visto nella sua breve storia. I quali non sono pochi.

Chi lo sa ha già cominciato a scavare una fossa: spesso basta una frase rassicurante per tornare a dare quell’affidabilità che viene messa in dubbio, perché l’individuo medio non sia davvero costretto a “pensarci”, a porsi in un disagiante e faticoso stato mentale di incertezza. La frase rassicurante, negli ultimi tempi, è spesso “fake news“. L’ha usata in modo vagamente più elaborato il presidente del Senato Elisabetta Casellati (FI), che ha bollato a priori l’inchiesta di Buzzfeed sulla Russia come «pettegolezzi giornalistici», quando ha rifiutato l’audizione parlamentare di Matteo Salvini proposta dai senatori PD.

Allo stesso modo, da una parte all’altra di Internet – nessuna di queste particolarmente sveglia – sta imperando quel benaltrismo schierato che è altra importante tradizione italica. Negli ultimi giorni, un mare di post copia-incolla cerca di minimizzare il caso Lega-Russia, equiparandolo al genere di rapporti che l’Unione Sovietica ebbe con il Partito Comunista Italiano. Entrambi soggetti non più in esistenza da ventotto anni. Peraltro, sembra potersi leggere tra le righe una certa, ottusa, presunzione, secondo la quale ogni critico della Lega e ogni individuo che desideri, semplicemente, conoscere la verità sulla faccenda sia afferente a una corrente politica il cui principale partito in Italia si è disciolto prima che molti di noi nascessero.

Purtroppo però – e qui sta il vero problema – non sono solo i diretti interessati o i loro simpatizzanti a voler minimizzare: da parte tanto dell’opposizione politica alla Lega quanto dell’opinione pubblica le proteste sono state a dir poco deboli e moderate. Il Partito Democratico ha impiegato più di una giornata per riuscire a mettere insieme una voce univoca, che di certo non è stata un grido. E dire che avrebbe anche da guadagnarne in termini di consensi, perfino da “vendicarsi” per le voci grosse che ha similmente subito in passato, giuste o sbagliate che fossero. E qual è il deterrente? Un’assente capacità di risultare incisivi, o addirittura un ricambiato interesse nel mantenere lo status quo, a non guardare cosa avviene nell’orticello degli altri per evitare così che costoro facciano lo stesso?

Difficile, però, fare questo discorso per la stampa non politicizzata; eppure l’edizione online del Corriere della Sera è stata – come di consueto – tra i primi a riportare l’inchiesta di Buzzfeed News, fresca di pubblicazione, salvo poi farla “scivolare” al quarto posto nella propria homepage dietro articoli riguardanti Inter e Milan, automobili ibride e la nomina della neoministra per la famiglia e le disabilità Alessandra Locatelli. Calcio, motori e famiglia – ciò che, senza ironia, è ben più rassicurante per l’italiano medio.

Sembra facile retorica a volerla mettere così, ma in un altro Paese ci sarebbero già state manifestazioni di piazza, un putiferio politico e una copertura mediatica molto più martellante di quanto non sia in questo momento.

Solo la procura di Milano, per necessità, sembra al momento voler capire dove portino le ipotesi fatte da La Stampa L’Espresso prima, e apparentemente confermate da Buzzfeed News poi. Ipotesi, sì, perché tre sospetti fanno una prova ma non una sentenza giudiziaria, e l’ordinamento è estremamente chiaro in merito.

Ma qui, forse, sta l’errore che tutti – politici, giornalisti e comuni cittadini – dobbiamo evitare di commettere. Un’ipotesi va confermata, ma la presente rimane un’ipotesi fondata che afferma di portare prove inconfutabili con sé. E tutti dobbiamo capire come andrà a finire: capire se l’ipotesi si rivelerà fondata, capire cosa sia successo, come e perché. Perché la rilevanza e la risonanza di questo caso sono resistenti a ogni tipo di minimizzazione o svalutazione, e tutti abbiamo interesse a sapere la verità.

Tutti dobbiamo continuare a parlarne, a discuterne, a ipotizzare nei limiti che l’ordinamento consente, perché non si abbassi la guardia su un possibile scandalo le cui proporzioni superano di molto la soglia massima di agio dell’italico status quo. È diritto e dovere di ogni cittadino, non solo della politica e della stampa, fare in modo che questa faccenda non finisca nel dimenticatoio con una rapidità impressionante.

Tutti dobbiamo e vogliamo sapere se, come e perché la Lega ha ricevuto fondi illegali dalla Russia.

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Valerio Bastianelli

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