È accaduto qualcosa per cui ancora non abbiamo né un sistema di rappresentazione, né analogie, né esperienza, al quale non è adeguata né la nostra vista, né il nostro orecchio ed è perfino inadatto il nostro vocabolario. L’intero nostro strumento interiore, che è accordato per vedere, sentire o almeno toccare. Niente di tutto questo è possibile. Per capire qualcosa, l’uomo deve superare i propri limiti, uscire da sé stesso.
L’essenza di un evento storico è comprensibile solo a posteriori. La caduta dell’impero romano fu silenziosa e il fragoroso rumore del crollo si avvertì solo nei secoli successivi. Il boia che decapitò Luigi Capeto non poteva certo rendersi conto di stare aprendo la strada alla modernità e agli Stati democratici. Allo stesso modo, chi assistette al disastro nucleare di Chernobyl non aveva alcuna idea delle conseguenze storiche e umane che avrebbe avuto quello che inizialmente si era profilato come un banale incidente tecnico. Durante il disastro non esisteva alcun significato di “Chernobyl”: c’erano soltanto le evacuazioni, i militari, gli operai incaricati della bonifica. È rimasto ai posteri il compito di articolare e raccontare l’immagine di Chernobyl e del suo reattore fuso, assieme a tutto lo sconvolgimento del territorio circostante. In questo solco di narrazione si inserisce la nuova miniserie di HBO che, stando a IMDb, è la serie TV più apprezzata di sempre (nonostante l’accoglienza piuttosto negativa da parte del governo russo, che l’ha considerata un mero prodotto di propaganda antisovietico). Come ha fatto una serie di soli cinque episodi a scalzare grandi classici come Breaking Bad o Lost? Le ragioni vanno ricercate non solo in un’ottima esecuzione tecnica e capacità cinematografica, ma nel fatto che Chernobyl è un ulteriore tassello nella narrazione di qualcosa che non siamo ancora riusciti a capire fino in fondo.
Le parole per raccontare Chernobyl
Le parole citate in apertura sono tratte dal libro Preghiera per Černobyl’. Cronaca del futuro della giornalista premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič. Il libro, unico nel suo genere, non è stato scritto direttamente dall’autrice ma raccoglie le testimonianze orali di chi ha vissuto e continua a vivere il disastro nucleare di Chernobyl. Si tratta di un racconto per così dire corale, che vuole ricostruire un evento storico a partire dalla fonte più fragile: le voci di chi l’ha vissuto. Dal libro di Aleksievič è stato ricavato molto del materiale per la serie TV Chernobyl, che si assume il difficile compito di farci rivivere il disastro del 26 aprile 1986, la notte in cui il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl esplose. La serie TV di HBO propone cinque episodi di una qualità straordinaria, sia a livello narrativo sia dal punto di vista audiovisivo. La storia è raccontata principalmente dal punto di vista del professor Valerij Alekseevič Legasov, che si ritroverà incaricato di gestire il disastro insieme al viceministro Boris Shcherbina. Legasov, scienziato dalla volontà inflessibile, è l’unico a rendersi conto della gravità della situazione; Shcherbina invece, come quasi tutti gli altri personaggi che provengono dal mondo politico, inizialmente è scettico e fa di tutto per evitare lo stato di allarme, salvo comprendere progressivamente che gli ammonimenti di Legasov sono tutt’altro che esagerati.
Nella sua fredda semplicità, Chernobyl riesce a catalizzare perfettamente il problema che si era posta Aleksievič: come si può spiegare Chernobyl a chi non l’ha vissuta, se neppure i diretti interessati furono in grado di comprenderla? Quando esplose il reattore nucleare nessuno sembrava essere in grado di concepire quanto accaduto. Da una parte gli scienziati ritenevano concettualmente impossibile che un reattore come quello di Chernobyl potesse esplodere; dall’altra parte i politici, i burocrati, e il KGB (la polizia segreta dell’Unione Sovietica), non avendo alcuna cognizione tecnica della fissione nucleare, erano semplicemente interessati a non lasciare trasparire alcun segno di incertezza del potere sovietico. Un’immagine ricorrente nella serie TV è quella della colata di cemento utilizzata per seppellire corpi eccessivamente contaminati, siano essi di animali o di persone. Non si tratta solo della necessità fisico-chimica di evitare un’eccessiva propagazione delle tossicità radioattiva; quella della colata è anche un’immagine dal sapore squisitamente politico. Il cemento che ricopre ciò che non deve essere visto, ciò che deve essere nascosto ed eluso rappresenta anche la volontà politica di nascondere ciò che è inopportuno, fastidioso, ciò che può avvelenare l’atmosfera sociale. Il «prezzo delle bugie» su cui si interroga la serie TV è, nel breve termine, l’occultamento forzato di tutti i propri errori; nel lungo termine, la dissoluzione stessa dell’URSS.
Il significato di Chernobyl è racchiuso in un semplice triangolo: scienza, politica e persone. Sì, perché il disastro di Chernobyl è principalmente un disastro per le persone che vivevano a Chernobyl, come il pompiere Vasily Ignatenko e sua moglie Lyudmila. Loro, come tutti gli altri cittadini che entreranno in qualche modo a contatto con la nube radioattiva, verranno ribattezzati “chernobyliani”, a prescindere dalla loro provenienza geografica. È impossibile stimare con precisione la quantità di persone coinvolte, molte delle quali hanno subito danni irreparabili a causa della contaminazione da radiazioni. Soltanto i cosiddetti “liquidatori”, che vennero reclutati per bonificare e mettere in sicurezza l’area contaminata dalle radiazioni, contano circa duecentomila persone. Una quantità immane di uomini e donne, che all’epoca ha potuto soltanto assistere silenziosamente da spettatore agli eventi, e che solo in Preghiera per Černobyl’ ha trovato una voce.
Come era possibile anche solo provare a spiegare il concetto e la pericolosità della radioattività a chi non aveva alcuna notizione di cosa fosse la fisica nucleare? Le radiazioni sono invisibili, non hanno forma né colore, consumano e distruggono tutto ciò attraverso cui passano, come uno sciame di cavallette. Al contrario delle cavallette, però, anche il loro passaggio è inosservabile: gli oggetti toccati dalle radiazioni rimango, all’apparenza, gli stessi, anche se la loro struttura atomica è irrimediabilmente danneggiata e pericolosa. Alle centomila persone evacuate la notte dopo l’esplosione, l’unica spiegazione che i militari potessero fornire era che «stare qui è pericoloso». Ma agli occhi dei cittadini non era apparso alcun cambiamento così drastico da giustificare un’evacuazione. L’erba continuava a essere verde, le mucche facevano sempre un latte bianco, le patate crescevano sempre sottoterra. Come era possibile concepire un male così potente ma allo stesso tempo così trasparente? L’autorità militare non bastava a convincere migliaia di persone legate a doppio filo alla terra che lavoravano e abitavano ad abbandonare la loro casa.
Ci hanno ordinato di lavare le lenzuola, le federe e le tende, anche se erano pulite… Ma se si trovavano dentro casa! Nei canterani e nei bauli. Come poteva essere entrata dentro casa questa radiazione? Dentro una casa con le finestre? Con tanto di porta? Da non credere! Ma andate a cercarla nella foresta o nei campi… Hanno messo il lucchetto ai pozzi, li hanno coperti con teli di plastica… L’acqua è “sporca”, dicevano … Ma dov’è che è sporca, se è l’acqua pura di sempre! Hanno detto un sacco di scemenze. Morirete tutti… Bisogna andar via… C’è l’ordine di evacuazione…
Per gli evacuati e per tutte quelle persone che ora vivono abusivamente nei dintorni di Chernobyl, la radiazione ha sostituito Dio: è invisibile, ma presente in tutte le cose ed è causa di tutti gli eventi circostanti; non si esprime a voce, ma tutti non fanno che parlarne. Il dio della radioattività ha battezzato il territorio di Chernobyl rendendolo un vero e proprio inferno sulla Terra, creando un luogo che va al di là della comprensione e della capacità linguistica umana: la Zona.
Trovare Dio nella Zona
Nessuna riflessione riguardo Chernobyl può prescindere dall’affrontare il tema della Zona, un concetto su cui sono state spese significative riflessioni post-Chernobyl e che ha avuto molto successo nella letteratura recente (come per esempio la trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer) . L’eziologia della Zona, ironicamente, ha radici russe e si può collocare in un periodo poco antecedente a quello del disastro nucleare; si tratta del famoso film di Andrej Tarkovskij, Stalker (1979), a sua volta ispirato da un romanzo dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Nel capolavoro cinematografico la Zona è un luogo misterioso, a tratti addirittura alieno, dove pare abiti un’entità in grado di esaudire qualsiasi desiderio. Le uniche figure che hanno la capacità di avventurarsi lì sono appunto gli stalker, persone che sono entrate in una specie di simbiosi con il territorio e sono immuni alle sue trappole mortali. Così Stalker è essenzialmente una grande metafora sul significato della fede: se lo stalker crede ciecamente nei poteri e nella magia che pervadono la Zona, lo scienziato (uno dei tre protagonisti del film) vuole entrarci solo per confutare questa fede.
La serie di videogiochi S.T.A.L.K.E.R. assorbe l’idea di Zona di Tarkovskij, declinandola però secondo il disastro post-atomico e trasformandola nella cosiddetta Zona Contaminata, una Chernobyl in cui le radiazioni fuoriuscite dall’incidente nucleare hanno creato un mondo a sé stante dove creature mutanti, distorsioni della fisica e nubi radioattive sono all’ordine del giorno. Il sacro Graal di questo mondo distopico è proprio il reattore numero 4 della centrale di Chernobyl, il luogo più radioattivo e pericoloso di questo mondo virtuale, il vero cuore pulsante e avvelenato della Zona Contaminata. Come nell’opera di Tarkovskij, si tratta di un luogo dalle proprietà magiche, in grado di soddisfare i desideri degli esseri umani, che rappresenta una presunta felicità ultraterrena. Anche in questo caso la missione che muove il protagonista del gioco assomiglia a una ricerca spirituale e religiosa, il passaggio per le avversità della Zona Contaminata a una specie di percorso di purificazione e il raggiungimento del reattore a una vera e propria beatificazione. Dio non siede più sulle volta celeste, ma su un trono fatto di grafite.
Ma se le trasposizioni artistiche mostrano una Zona magnetica, che attrae a sé uomini in cerca di realizzazione, anche la Zona del mondo reale non sembra essere da meno. Il perimetro intorno a Chernobyl è da decenni diventato una struttura militarmente protetta, inaccessibile ai più e, ça va sans dire, terribilmente pericolosa a causa delle radiazioni. Eppure non è il luogo deserto che ci si aspetterebbe. Ci sono alcuni residenti, chiaramente non autorizzati, che continuano a vivere la loro vita come se non fosse successo niente; alcuni di questi sono le voci narranti del libro di Aleksievič. Ci sono poi degli imitatori degli stalker fittizi, persone che decidono di avventurarsi nelle zone proibite di Chernobyl per documentare cosa significhi vivere in un luogo inospitale per l’organismo umano. Ma ci sono poi, meraviglia dell’opera tardo capitalista, addirittura delle vere e proprie visite guidate attraverso i luoghi meno pericolosi e dichiarati innocui. Un turismo che quest’anno ha avuto un notevole successo grazie alla popolarità della serie TV di HBO e che ha spianato la strada a tutta una serie di veri e propri influencer della Zona. Anche in questo caso, sembra che la Zona voglia assecondare i nostri desideri di curiosità del diverso e dell’alieno, salvo forse che questi siano dei bisogni autoindotti da quel magnete impalpabile che è l’economia capitalista.