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Tech&Games

Esport insider: caster, la telecronaca del futuro

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Marco Cherubini

Avevamo già scritto su queste pagine di quanta notorietà abbia guadagnato il settore degli sport elettronici competitivi in questi anni. Sono lontani i tempi dei World Cyber Games e di Quake III: Arena. Ora gli e-sports sono una realtà consolidata nel panorama videoludico e non solo. I tornei si tengono in tutto il mondo, le cifre che girano sono alte: il totale quest’anno supererà il miliardo di dollari. Tra un League of Legends e un Counter-Strike: Global Offensive, sempre più titoli multiplayer puntano a rimanere attivi e a produrre contenuti per gli utenti intraprendendo la strada competitiva, non sempre riuscendoci.

E l’Italia dove si posiziona in questo contesto? Il nostro Paese arranca dietro il resto dell’Europa per diversi fattori. Certo, abbiamo anche noi le nostre eccellenze, con giocatori come Daniele “Jizuke” Di Mauro nel roster del Team Vitality in League of Legends o Daniele “Prinsipe” Paolucci in FIFA, ma nel quadro globale di certo non brilliamo. Un problema dato soprattutto dall’arrivo tardivo nel nostro Paese di questo genere di competizioni e da un network infrastrutturale non all’altezza: basti pensare al fatto che in molte località italiane non esiste alcun accesso alla connessione a fibra ottica.

In questo oceano precambriano dove sempre nuove realtà compaiono, ce ne sono alcune ormai ben stabilite, come PG Esports, sezione dedicata al gaming all’interno di Campus Fandango Club. PG Esports è il più grande organizzatore di tornei sul suolo nazionale. Le loro competizioni più importanti sono i PG Nationals, dove i migliori team italiani si sfidano su League of Legends e sullo sparatutto Rainbow Six: Siege.
C’è però una parte di questo settore di cui non si parla molto. Ci si concentra sui team, sui giocatori, sull’organizzazione ma, come ogni partita di calcio insegna, un buon commentatore è fondamentale per permettere allo spettatore di godersi appieno l’incontro. Il lavoro del caster, il telecronista di e-sport, è proprio quello: commentare, analizzare e soprattutto rendere fruibile nel miglior modo possibile ciò che avviene sullo schermo.

TheWise ha intervistato tre ragazzi che fanno questo, per lavoro e per passione. Hanno tutti background ed età differenti, ma sono uniti dalla passione per i videogiochi. Loro sono Mauro “JustRyuk” Barone, Filippo “Etrurian” Burresi e Valentino “LordChanka” Allegri e collaborano con PG Esports.

Prima di tutto, grazie di essere qui. Se non ci sono problemi comincerei subito chiedendovi come vi siete avvicinati al mondo degli sport elettronici competitivi e, in seguito, a quello del casting.

JustRyuk: «Mi sono avvicinato al mondo degli e-sport veri e propri seguendo Rainbow Six: Siege, poco più di un anno fa. Ho iniziato a seguire qualche partita sporadica delle Pro League e del campionato nazionale, accorgendomi che era un mondo di cui ero, e sono tutt’ora, estremamente affascinato. È stato un processo lento. Mi sono informato sul come funzionasse il mondo competitivo, di cui non conoscevo praticamente nulla. Mi sono informato sulle organizzazioni e sui team che partecipano, quali sono i più quotati e quali sono i più seguiti, non solo in Siege, ma in tutto il panorama globale. Dopo questa prima fase ho provato a commentare qualche partita di R6S in un canale della community di cui ero membro. Mi sono reso conto di cavarmela: certo dovevo migliorare, ma ritenevo di avere delle solide basi. Decisi di fare il primo passo per farmi notare come commentatore provando a chiedere ad uno dei caster più noti nel panorama italiano di Siege, Eddie, se avesse bisogno di qualcuno che lo affiancasse nel commentare le Go4 su Playstation. Eddie accettò e iniziai nel settembre del 2018. Grazie ai suoi consigli ho potuto crescere e affinarmi molto velocemente, arrivando a commentare dopo soli cinque mesi il group stage [le prime tre giornate prima dei quarti di finale, N.d.R.] del Six Invitational, il torneo più importante di Rainbow Six. Dopo quest’esperienza ho deciso di dare un nuovo slancio alla mia carriera, ho provato il provino per PG Esports… e ora lavoro con loro da un mese».

LordChanka: «La mia passione per gli e-sport è ormai di lunga data. Già durante l’era della Playstation 2 e 3 partecipavo ai tornei di Call of Duty organizzati in lan o nei negozi di videogiochi. Con il passare degli anni mi sono trovato a scrivere in una redazione online che trattava di sport elettronici competitivi, quella di powned.it.
Il mio avvicinamento al mondo del casting è stato in modo anomalo. Al liceo lavoravo nella testata giornalistica sportiva del mio istituto alberghiero, per la sezione sportiva. Finite le superiori mi sono iscritto a un corso professionistico da telecronista sportivo a Torino. Ho avuto modo di imparare tutte le basi della telecronaca di stampo sportivo. Terminato il corso ho deciso di ricercare lavoro in questo settore. Ho aperto una mia web radio e ho creato un mio podcast, che ho dovuto poi abbandonare.
In seguito ho mandato la candidatura a PG Esports, poco prima che si chiudesse la deadline per l’invio. La mattina dopo mi hanno rispost, ho risposto inviandogli i miei provini ed eccomi qui.
La telecronaca degli sport classici è completamente diversa da quella degli e-sport, è un vero e proprio mondo parallelo. Le tempistiche e la ricerca delle informazioni si svolgono in maniera differente. In Italia il mondo degli e-sport non è visto come un mondo competitivo e sportivo vero e proprio. Per molte persone, ancora oggi, i videogiochi sono una perdita di tempo con cui non ci si può costruire una vita. Questo è un ostacolo per noi, perché sorgono problemi nella ricerca delle informazioni che spesso è infruttuosa. Quando siamo arrivati in PGE abbiamo dovuto svolgere un lavoro meticoloso: abbiamo ricostruito la storia del competitivo in Italia. È stato un lavoro duro, ma i ragazzi, gli atleti, con il loro essere social ci hanno aiutato molto. Facebook, Twitter, Twitch, queste sono le piattaforme dove sono più attivi. Le abbiamo utilizzate anche noi per scrivere le fondamenta della storia che volevamo raccontare.
Differente è anche l’ambiente lavorativo, diametralmente opposto a quello di un impiego classico. Qui da PGE è stimolante, piacevole anche se i ritmi sono molto duri, abitiamo tutti fuori Milano e abbiamo un altro lavoro. Il peso però non si fa sentire. Sembra di lavorare in qualche grande azienda estera. Quando racconto il mio lavoro, il tutto ha un’aura fiabesca, quasi magica».

Etrurian: «Ho iniziato a interessarmi al competitivo ai tempi della prima Xbox e della Playstation 2. Possiamo dire che la mia carriera è cominciata come moderatore su XLC, Xbox Live Clan: moderavo i tornei di NBA 2k. Sono nel mondo del competitive da praticamente quindici anni, dal 2004, passando anche da FIFA e Call of Duty. Ho poi continuato facendo delle lan, dal Lingotto a Torino a Legnano. Ho avuto modo di conoscere Riot Judge, un vecchio “rioter” di League of Legends, e seguivo i tornei settimanali del titolo. Per un periodo ho dovuto fermarmi, causa anche un mio spostamento in Germania. Un giorno nella community di Element Gaming (al tempo facevo parte di un team academy di LoL) è arrivato uno dei capo caster a riprenderci perché non sapevamo come comportarci davanti alla telecamera. Gli feci una domanda, dicendogli che sarebbe piaciuto anche a me fare la telecronaca di questo tipo di eventi. Era ottobre 2014 quando misi per la prima volta piede nel mondo del casting: iniziai con League of Legends. Dopo queste esperienze, sono stato contattato da PG Esport e sono arrivato dove mi trovo ora».

Come vi approcciate al lavoro? In che cosa consiste nello specifico?
JustRyuk: «Con impegno e passione. Sono le due cose che mi spingono a migliorare continuamente. Non è semplice, è un lavoro impegnativo: ogni settimana faccio da Pescara a Milano in treno per commentare le partite, ma con la passione puoi superare qualsiasi ostacolo, economico o geografico che sia. Pur dovendo mantenere un certo grado di professionalità, tra noi tre non ci facciamo mancare battute e umorismo. Siamo pur sempre intrattenitori!
Il compito principale che svolgo insieme agli altri, LordChanka ed Etrurian, è quello di creare una storia dietro ai team e ai giocatori. Ci sono tre figure da delineare: l’MVP del team, il Local Hero e la promessa. Ogni settimana, da casa o in riunione, mettiamo insieme le nostre idee per preparare uno storytelling che sia il più chiaro, organico e funzionale possibile per i nostri spettatori. Inoltre, per migliorare l’affinità di coppia tra noi caster, ci troviamo su Discord almeno una volta a settimana per commentare una partita insieme, cercando di limare quegli errori che la poca esperienza insieme provoca».

LordChanka: «La parte più importante del nostro lavoro è lo storytelling. Quando siamo davanti alla telecamera, non dobbiamo solo faro comprendere allo spettatore cosa stia succedendo, ma dobbiamo anche raccontare una storia. Nel nostro caso, intendiamo un racconto che copra dalla prima all’ultima giornata e che si concluda dopo le finali. Scriviamo le basi di ciò che pensiamo e creiamo una storia da far seguire allo spettatore, sia per chi è più avvezzo, sia per chi si approccia a questo spettacolo per la prima volta. La nostra opinione si basa su dati che vanno a evolversi man mano che i giorni passano: in un ambiente dinamico come quello competitivo due cose non sono mai uguali, anche dopo pochi giorni. Lo spettatore ci segue, si fidelizza a un team, esulta con questo quando vince e si rattrista se perde. Noi parliamo direttamente con loro. Nello storytelling cerchiamo di dire tutto ciò che serve a chi ci guarda per apprezzare lo spettacolo, è la base della nostra telecronaca. È un compito che occupa molto tempo. Non ci presentiamo a Milano così dal nulla, senza materiale: facciamo riunioni, incontri, sessioni di brainstorming per avere idee uniformi. Il nostro compito è anche far capire per quale motivo un determinato team potrebbe vincere o perdere: ovviamente non siamo onniscienti, a volte ci sbagliamo. Quando lavoriamo dobbiamo fare fronte anche a persone che magari non la pensano come noi, anche perché lavoriamo su una piattaforma come Twitch dove il feedback arriva in tempo reale».

Etrurian: «Con passione. Tanta, tanta passione. Se non la hai per il mondo degli e-sport, non ci sono possibilità di andare avanti. È un lavoro che ti da moltissimo, ma che comunque richiede molto impegno. Come ho detto prima, io commento già da cinque anni ed è ora che ho la mia grande possibilità. C’è da studiare il titolo su cui si lavora: quando ho un momento libero guardo, gioco, chiedo a quelli più esperti di me di spiegarmi alcune tattiche utilizzate nei diversi titoli. Con LordChanka e JustRyuk ci alleniamo settimanalmente. Altro fattore importante è avere qualcuno che ti dia un feedback per migliorare sia come caster che come persona. Questa è una cosa che PG Esports fa. Le prime settimane in camera ero molto rigido: la tensione è alta le prime volte. C’è molto lavoro da fare anche e soprattutto dietro le quinte, prima ancora di andare in onda. Come caster ritengo che il nostro compito principale sia educare la massa al competitivo e renderlo piacevole da seguire, come una telecronaca calcistica. Nei due giorni liberi che ho, in cui potrei riposarmi, prendo e vado a Milano a castare. Amo gli e-sport così tanto che do tutto me stesso. Sono tutti sacrifici che sono disposto a compiere».

Qual è la situazione del circuito competitivo in Italia? Quali problemi deve affrontare il nostro Paese per raggiungere il livello europeo?
JustRyuk: «In Italia siamo indietro di almeno cinque anni rispetto al panorama mondiale ed europeo. Il problema principale è che mancano investimenti seri per permettere alle persone che lavorano in questo settore di poter vivere con quello che fanno. C’è una grave lacuna degli italiani anche a livello culturale: le persone non sanno che i videogiochi sono un mondo competitivo, non sanno che esistono giocatori professionisti, seguiti da uno staff con allenatore, manager, mental coach e altre figure presenti in un club sportivo di un altro settore. Bisognerebbe investire per migliorare l’aspetto economico, mentale e culturale. Se girassero più soldi sentiremmo parlare molto di più di e-sport nel nostro paese: da noi i grandi sponsor si stanno muovendo lentamente nell’organizzazione di eventi e nell’investire fondi nelle organizzazioni che si occupano di giochi competitivi. Certo è che la linea sta cambiando».

LordChanka: «Vado un po’ controcorrente rispetto a quello che ha detto Mauro. Personalmente sono stupito dell’evoluzione che c’è stata in Italia. Fino a dieci anni fa la figura del videogiocatore era vista come quella del tipico sfigato senza amici, che passava ore e ore a rimbambirsi. Ora la situazione è diametralmente opposta: crescono le scuole di game developers e le organizzazioni che si occupano di questo.
La spinta maggiore nel nostro è data da YouYube. Adesso i ragazzini di undici e dodici anni si approcciano non solo ai videogiochi, ma anche all’e-sport. In Italia il carro è tirato da FIFA. Ci sono diverse squadre di Serie A attive nel settore che si stanno mostrando a giovani e ad adulti. Team come Sampdoria, Empoli e la Roma lanciano un messaggio fortissimo al pubblico adulto. L’ha fatto addirittura la FIGC che ha annunciato dei tornei per formare la nazionale italiana di FIFA. E poi ci sono i “giovani-vecchi”: quella categoria di appassionati che vogliono mandare un messaggio ai propri figli. Si prospetta un futuro più roseo, che piano piano ci porterà a livello europeo. Credo che comunque ci vorranno almeno cinque anni.
Uno dei problemi che ritengo l’Italia abbia sempre avuto è quello delle divisioni interne. Il panorama competitivo, su pc e console, nel resto dell’Europa si è sviluppato omogeneamente grazie anche ad investimenti nelle infrastrutture. In Italia è mancato questo sviluppo omogeneo. Milano e Torino, ad esempio, offrono grandi connessioni, veloci e stabili, cosa che non si può dire quando si esce dai grandi centri abitati. È un problema di natura tecnologica che secondo me si estende anche a campi come quello educativo. La scuola 3.0 da noi è molto in ritardo a causa di infrastrutture e costi troppo elevati. Altra cosa importante da considerare è che ci stiamo rendendo solo ora conto che il fenomeno videoludico fa girare un discreto ammontare di soldi. Spero che questi problemi spingeranno i provider a migliorare il network infrastrutturale del nostro Paese per risolverli definitivamente».

Etrurian: «L’Italia è entrata da poco nel mondo degli e-sport. Ora è un mondo conosciuto anche da mia madre: quella che quando per la prima volta le dissi che volevo fare il telecronista di sport elettronici si è messa a ridere. All’inizio non capiva. Il problema di base è stata la mancanza di una spinta iniziale da parte di persone più anziane. Mancavano delle possibilità di crescita, mentale e professionale. Le organizzazioni e i team non erano pronti, avevano un approccio al gaming immaturo. Anche quella di League of Legends, che è il gioco più seguito da noi, è una nicchia in Italia. Un’altra causa della nostra arretratezza penso sia da ricercarsi anche in una rete di connessioni non all’altezza e in un più marcato problema di mentalità. Il giocatore professionista in Italia non era un professionista, era una persona che perdeva tempo dietro i videogiochi. Ryuk ha detto che siamo indietro di cinque anni, ma penso che noi siamo arrivati nel mondo degli esport solo tre anni fa, con la prima PG Arena. Nel 2016, alla Games Week, la competizione ha riscontrato un grande successo, con titoli come Overwatch e Rocket League».

A livello competitivo, com’è messo il nostro Paese rispetto all’estero?
JustRyuk: «Il circuito italiano competitivo è messo male se paragonato a quelli esteri. I nostri numeri sono ridicoli rispetto al resto dell’Europa e del mondo. Numeri inferiori si riflettono anche sul prize pool, il montepremi finale, che è costituito da cifre considerevolmente inferiori, o addirittura risulta inesistente in alcuni casi. I tornei come il PG Nationals hanno acquisito molta notorietà e speriamo che le visualizzazioni aumentino di mese in mese. Dal lato opposto dello spettro esistono altri circuiti su suolo nazionale che non possono dire lo stesso. Uno dei fattori determinanti è che la notorietà, e di conseguenza gli investimenti, dipendono molto dalla stessa notorietà del titolo giocato e da come viene trattato da chi streamma i match ufficiali. C’è ancora molto da lavorare per far emergere il lato competitivo in Italia».

LordChanka: «Dipende dal titolo preso in esame. Ritengo che i ragazzi italiani ora siano una buona spanna sopra rispetto a tutti. Mi spiego meglio: considerate le infrastrutture che abbiamo, se avessero lo stesso livello di preparazione dei cyber-atleti esteri, i nostri giocatori sarebbero di gran lunga i migliori. E parlo di e-sport che noi già padroneggiamo, come il campionato virtuale di MotoGP, che da noi non è seguito da nessuno. Negli anni passati ci siamo sempre posizionati nella top 5. Spagna e Francia, i nostri vicini di casa, investono più tempo e più denaro. In FIFA gli italiani stanno lanciando un segnale fortissimo: spesso in Europa e nel mondo i nostri atleti sono primi.
La vittoria di Prinsipe tre anni fa a Barcellona, all’europeo di FIFA, è stata una forte testimonianza. Ha vinto da outsider: prima non aveva mai partecipato a un evento. Ha battuto il numero uno del mondo, sia su Playstation 4 che su Xbox One [si gioca su entrambe le piattaforme, N.d.R.]. Negli sparatutto e in League of Legends, invece, ce la caviamo. I nostri team riescono a raggiungere fasi più avanzate nei diversi tornei, ma manca quella spinta che permette di portare a casa grandi risultati. I ragazzi italiani ci mettono l’anima e questo spesso paga: molti vengono contattati da organizzazioni estere e finiscono a giocare per loro».

Etrurian: «Non bene, ma sta migliorando. Il mio sogno sarebbe portare gli e-sport in Italia a un livello superiore: che i nostri circuiti diventassero un punto fondamentale non solo per la nostra nazione ma anche per il resto del mondo. Il modo per migliorare è investire, sia per quanto riguarda il circuito competitivo che dal punto di vista del casting. Gli e-sport sono il mio lavoro e la mia passione, e per questo vorrei che anche da noi avessero il successo che meritano. Anche a livello di pubblico non siamo messi molto bene: gli ascolti nazionali sono più bassi rispetto agli altri Paesi europei e agli Stati Uniti. L’audience cresce, lentamente ma cresce. Le basi ci sono tutte: sta anche a noi, con il nostro lavoro, promuovere questo settore».

Il lavoro del caster è simile a quello di un cantastorie medievale, dove la corte è stata sostituita da un’arena gremita di persone che urlano, incitano, si emozionano. È necessaria una conoscenza tecnica, ma anche di tutto quello che a prima vista sembrerebbe irrilevante: retroscena riguardanti i giocatori e l’ambiente in generale. Il loro compito è partire dalle fondamenta per costruire uno show avvincente per tutti, dal novellino allo spettatore navigato. Una figura inesistente fino a pochi anni fa, che con il passare del tempo sta guadagnando sempre più importanza, sintomo di un profondo cambiamento nel settore. Per gli appassionati di videogiochi competitivi avere qualcuno che commenti, si relazioni con loro e che soprattutto abbia una solida preparazione tecnica è sicuramente un modo per farli esaltare nei momenti salienti dei tornei.
E anche per quanto riguarda l’ambito degli sport elettronici si stanno facendo passi in avanti. La debolezza del nostro network infrastrutturale è un problema a cui si sta ponendo rimedio, grazie al progetto Banda Ultra Larga portato avanti dal Ministero dello Sviluppo Economico. Se, da una parte, c’è un impegno statale per fornire le fondamenta, dall’altra la realtà competitiva non avrebbe potuto concretizzarsi senza l’esistenza di società come Videogames Party, che ha portato i videogiochi nei più grandi centri commerciali italiani per far conoscere meglio al pubblico il fenomeno dei videogiochi come forma di competizione, o alla kermesse milanese della Games Week. Si aprono quindi le porte per un nuovo campo che ha tutte le carte in tavola per primeggiare.

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