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Economia

Lettere da Parigi: Macron lasci stare il populismo e tenga aperta l’ENA

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Pietro Lepidi

Gentile Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron,

la mia partenza per Parigi è imminente. Ho avuto il privilegio di poter partecipare al progetto ERASMUS, un progetto di cui ancora in Europa usufruiscono troppi pochi studenti universitari. Non solo ho avuto l’occasione di partire usufruendo dei fondi e della struttura messa in piedi dall’Unione Europa, ma, con mia grande soddisfazione, entrerò in una di quelle Grandes écoles che hanno reso grande la formazione pubblica e centralizzata francese. «Ci sono solo due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi» diceva Ernest Hemigway, tuttavia, mentre sto pensando se mettere in valigia la mia moka, questa euforia per la mia imminente partenza viene scossa da una notizia: Macron, assediato dai Gilets Jaunes, chiude l’ENA.

L’ENA, lei lo sa meglio di chiunque altro visto che l’ha frequentata e nella sua tesi finale l’ha attaccata duramente, è il cuore della formazione elitaria pubblica dello stato francese. Voluta nel 1945 da Charles de Gaulle (e dal suo ministro Michel Debré) e da Maurice Thorez, segretario del Partito Comunista. In questo grande compromesso si voleva rilanciare l’istruzione pubblica francese creando una classe dirigente formata dallo stato per lo stato. In questa ottica centralista tipica della Repubblica Francese, L’École nationale d’administration ha fatto fiorire una nuova classe di potenti attraverso un’educazione che cancellasse le precedenti esperienze clientelari e nepotiste che caratterizzavano la Terza Repubblica e la Repubblica di Vichy. L’ottantina di dirigenti che forma viene elevata direttamente nelle posizioni di primo piano dei ministeri e nei quadri dirigenti delle più grandi aziende (anche se il settore privato non ritiene la scuola competitiva come una volta). Esclusi per anzianità i primi tre Presidenti della Quinta Repubblica, 4 su 5 presidenti vengono da questa scuola, Giscard, Chirac, Hollande e lei Macron, unica eccezione dunque Sarkozy. Dei 18 Primi Ministri, da metà degli anni Settanta in poi, nove si sono diplomati all’Ena, compreso quello in carica, Edouard Philippe, inoltre novantasei ministri hanno studiato sui banchi della scuola.

Il presidente Macron allievo dell’ENA. Fonte: closermag.fr

La scuola insomma è stata una vera novità per l’Europa. Ispirandosi infatti la tradizione degli stati dell’estremo oriente, da secoli estremamente centralizzati e con specifiche scuole di formazione amministrativa, la Francia ha creato la prima istituzione completamente pubblica per supportare uno stato efficiente e competitivo. I risultati non si sono fatti attendere. Tanto che molti amministratori di altri stati europei, compreso quello italiano, sperano di poter formarsi nel prestigioso istituto.

E poi sono arrivati i Gilet Gialli. La Francia profonda si è rivoltata contro di lei presidente, un uomo di città, ricco, liberale e tecnocrate. La folla ha travolto gli Champs-Élysées per distruggere tutto ciò che potesse ricordare il potere e il denaro. Sul solco delle migliori tradizioni rivoluzionarie dell’Esagono, il popolo inferocito ha distrutto negozi e ristoranti di pregio, banche e ha cercato di fare irruzione contro le sedi del governo centrale. Lo ha fatto perché lei, come tutti i candidati che dicono di non essere né di destra né di sinistra, ha tradito le speranze di una parte della sua popolazione sostenendo politiche neoliberiste a favore dei ricchi. Per di più, la sua tassa ecologica è stata designata per pesare proporzionalmente di più sulle tasche dei più poveri. Lei ha ignorato il grande peso che le diseguaglianze sociali stanno avendo in tutta Europa e che non trovano voce né nella destra moderata ed elitaria né nella sinistra della “terza via”, che ha abbandonato i più poveri a sé stessi per incassare i voti della classe media.

Fonte: blagues-et-dessins.com

Quale risposte poteva dare il governo a queste forti proteste sociali registrate in tutto il territorio francese? Alcune imposte sono state abolite, come quella sul carburante le tasse sugli straordinari, altre sono state posticipate, come quelle sul gasolio e sulla benzina. Come contentino per i più disperati della sua popolazione il salario minimo è stato aumentato di 100€. D’altronde come poteva lei presidente Macron, un “enarca” che ancora crede che tagliare le tasse sui più ricchi porti un qualche beneficio economico, farsi portavoce di una riforma che corregga sostanzialmente le insopportabili diseguaglianze intrinseche nel capitalismo della globalizzazione?

La sua idea geniale è stata un’altra: chiudere l’ENA. Dopo che sono apparsi i forconi davanti alla sede di Strasburgo, ha pensato bene di sputare nel piatto dove ha mangiato. I manifestanti considerano la scuola come un covo di liberali mondialisti, con genitori ricchi e un futuro già segnato dalla nascita. La selezione degli studenti non ha tenuto sufficientemente conto del reddito medio annuo dei candidati, finendo così per selezionare solo chi ha un portafogli abbastanza capiente per finanziare migliori scuole di preparazione. Tuttavia, quando un’istituzione pubblica fallisce nel suo intento di promuovere l’uguaglianza e il merito, la soluzione non può essere quella di eliminare l’istituzione. Infatti, dove il pubblico manca, il privato velocemente recupera la fetta di mercato che ruota intorno all’istruzione e accresce così le diseguaglianze di prima. Il popolo che chiede di eliminare l’élite, in realtà chiede di rendere l’élite accessibile e meritocratica.

Fonte: newswars.com.

Presidente Macron, guardi agli altri paesi. Anche solo restando nel liberale mondo Europeo e negli USA del sogno americano, la politica nazionale e i vertici della pubblica amministrazione restano relegati a pochi privilegiati. Oltre Manica, per esempio, sono le due secolari università private, Oxford e Cambridge a garantire una classe dirigente. Anche se i loro vertici hanno più volte auspicato una democratizzazione del loro processo di selezione, è indubbio che qualsiasi apertura alle classi più povere dovrà essere finanziata, in un sistema di educazione privata, da donazioni private sempre più numerose. Quanti istituti universitari privati di prestigio possono permettersi di non considerare il censo nella selezione dei candidati?

Sto per partire per Parigi, anche io farò parte del prestigioso sistema di educazione pubblica della Francia Repubblicana, in cui lo stato si pone come obbiettivo quello di promuovere le sue menti più brillanti senza considerare la condizione sociale. Un sistema copiato da altri paesi come il mio, l’Italia, e invidiato per la sua efficienza. Se la globalizzazione e i mercati rafforzano le diseguaglianze, solo lo stato nella sinergia delle sue forme locali, regionali, nazionali e sovranazionali può bilanciare il sistema quanto basti per permettere a tutti un’educazione che rispetti la propria vocazione. Distruggere questa scuola vorrebbe dire cedere al ricatto del “uno vale uno”, non è possibile che la mia generazione sia l’ultima a beneficiare di un’istruzione pubblica decente.

Cordiali saluti.

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Pietro Lepidi

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