La discussione sul 5G, come ormai cattiva prassi per ogni nuova frontiera tecnologia mondiale che si stia attraversando, è caotica e ridotta a una diatriba tra una narrazione entusiastica (dal taglio più commerciale che tecnico-scientifico) e una disfattista, immersa un una retorica ambientalista e salutista di una politica pretestuosa che dimostra ancora una volta di non conoscere l’argomento. Questo genera nient’altro che confusione nel pubblico; tuttavia l’occasione del 5G e del suo corollario di evoluzione tecnologica è troppo importante per finire anch’essa nel tritacarne del neoluddismo. Per questo occorre fissare pochi punti fermi di carattere generale su cos’è il 5G, cosa introduce di nuovo e perché sarà importante.
Five is the magic number
Il termine 5G racchiude, come facilmente intuibile, l’insieme delle tecnologie e delle direttive standard degli enti internazionali come l’ITU (International Telecommunication Union, la “sussidaria” dell’ONU per le telecomunicazioni) utilizzato dalla quinta generazione delle telecomunicazioni mobili fonia-dati. Al momento è in corso la fase di transizione dall’attuale generazione, la quarta, basata sullo standard LTE (Long Term Evolution) e sulla sua versione migliorata LTE Advanced o LTE+, che è quella oggi maggiormente utilizzata dai fornitori di connessione dati in mobilità nel mondo. Gli standard qualitativi introdotti dall’LTE in termini di bit rate nonché l’utilizzo esclusivo di reti TCP/IP hanno fatto sì che il confine tra le reti cellulari e quelle dei calcolatori sia del tutto scomparso. Il 5G, oltre a prefissare standard qualitativi superiori rispetto al 4G, nasce con lo scopo di estendere questa convergenza di rete anche ad altre tecnologie già esistenti, come reti di sensori ambientali o di videosorveglianza, o di agglomerarne di future; 5G è perciò strettamente collegato all’altro paradigma del prossimo futuro delle telecomunicazioni, l’Internet delle cose o in breve IoT (Internet of Things). I due paradigmi tecnologici sono accomunati anche dalla loro “ordinalità”: l’IoT è considerato come la quinta era di Internet. La prima fu l’era “preistorica” dei mainframe militari e scientifici collegati telefonicamente, la seconda quella del World Wide Web statico e delle connessioni con i modem telefonici, la terza del web dinamico e delle connessioni a larga banda e la quarta, quella corrente, è quella del web “sociale” e delle connessioni disponibili praticamente ovunque.
Ad oggi molte reti dal contesto specifico come quelle di sensori sono già una realtà concreta, ma sono poco inclini ad un loro utilizzo sinergico ed ad un accesso diretto attraverso Internet, poiché le tecnologie di comunicazione al loro interno non sono di facile interfacciamento e non tutte utilizzano protocolli standard, come ad esempio il WiFi. L’Internet delle cose è il paradigma che dovrebbe superare queste limitazioni, creando un ecosistema univoco basato sull’utilizzo delle tecnologie alla base di Internet anche per queste tecnologie “isolate”. Affinché ciò sia possibile occorre un’unica tecnologia di connettività ad altissima capillarità e densità di connessione, quale appunto sarà il 5G. I campi d’applicazione sono molto vasti, ben oltre il solo ramo commerciale: monitoraggio ambientale, modulazione dell’approvvigionamento energetico in base ai consumo, città intelligenti con controllo del traffico di convogli pesanti e delle auto a guida automatica, controllo della salute dei pazienti da remoto, domotica, gestione dei processi produttivi industriali e molto altro.
Tecnologia una e trina
Nella definizione dello standard, la ITU ha illustrato tre casi d’uso generici per il 5G: Enhanced Mobile Broadband (eMBB), Ultra Reliable Low Latency Communications (URLLC) e Massive Machine Type Communications (mMTC). L’eMBB altro non è che l’evoluzione tecnologica dei servizi a banda larga in mobilità ai quali si è oggi abituati, in termini di velocità (bit rate) e capacità di trasmissione ed efficienza spettrale (throughput): l’obiettivo è quello di portare il bit rate medio del 5G intorno ai 10 Gbps e i valori di picco intorno ai 50 Gbps, preservando almeno circa 1 Gbps in caso di attraversamento dell’area di copertura, nonché il throughput ad un valore pari a circa tre volte l’attuale standard 4G. L’URLCC è pensato per tutti gli scenari ad alta criticità come ad esempio la guida automatica di veicoli autostradali o il controllo dello stato di salute di pazienti gravi, che richiedono un flusso di dati continuo e massiccio. Il parametro critico per questi scenari è la latenza, ossia il tempo che intercorre tra una richiesta e la relativa risposta attraverso tutta la rete (ciò che volgarmente viene chiamato ping nel settore dei videogiochi online). Ad oggi il 4G prevede una latenza minima intorno ai 10 ms e media intorno ai 50 ms, mentre l’obiettivo (al momento ancora lontano) per il 5G è di scalare un ordine di grandezza e offrire quindi 1 ms di latenza minima per le applicazioni critiche e circa 5 ms per i casi più generici.
Il mMTC racchiude infine tutte le casistiche di reti di sensori e dispositivi a bassa potenza e basso costo dislocati su vaste aree geografiche, urbane e non. Il 5G si prefigge l’obiettivo ambizioso di fornire una rete con una densità di connessione di oltre un milione di sensori per km² contro i circa centomila del 4G, nonché un’efficienza energetica tra cinquanta e cento volte maggiore rispetto al 4G. Questi parametri sono importantissimi perché vengono incontro alle limitazioni strutturali delle reti di sensori, i quali sono dispositivi dalle basse capacità computazionali e dall’alimentazione autonoma, principalmente tramite batterie spesso non sostituibili, quindi quando essa si scarica o si danneggia il sensore diventa inutilizzabile: deve essere il sistema 5G stesso a provvedere all’ottimizzazione del consumo energetico dei sensori, sgravandoli quindi da ogni altro compito che non sia quello per cui sono stati dislocati, ad esempio di rivelazioni e misure ambientali. Non solo: il 5G è stato pensato anche per venire incontro ai problemi di sicurezza, dovuti alle già citate capacità computazionali minime dei dispositivi, quindi incapaci anche solo di supportare (ad esempio) un sistema di crittografia dei dati trasmessi e ricevuti, e alla natura aperta delle reti che essi formano. Ciò configura un paradigma che rovescia diametralmente la visione della sicurezza di rete, trasferendo tutta la problematica sull’infrastruttura e non sui nodi terminali. Tutti gli obiettivi per il 5G sono stati fissati dall’ITU in uno standard chiamato International Mobile Telecommunications-2020 o in breve IMT-2020, riassunto nella tabella sottostante.
Verso bande inesplorate
Lo standard del 5G prevede una tecnologia di accesso alla rete dal nome semplice e suggestivo al tempo stesso: 5G New Radio (5G NR). Il termine 5G NR racchiude l’interfaccia tra l’infrastruttura di rete ed i vari dispostivi, nonché l’insieme dei range delle frequenze. Quest’ultime sono importanti da specificare per bene per evitare confusione e falsi allarmismi. Il 5G sarà la prima rete mondiale ad utilizzare anche alcune bande EHF (Extremely high frequency), in cui le onde radio trasmesse sono dette onde millimetro o mmWave, appunto perché la loro lunghezza d’onda è nell’ordine di grandezza del millimetro. Queste onde appartengono nel grande insieme delle microonde, ma non hanno nulla a che vedere con le radiazioni a scopo termico usato nei forni di comune commercio: quest’ultimi lavorano di solito a 2,45 GHz, mentre le alte frequenze del 5G sono a oltre 20 GHz, bande giù utilizzate nell’etere per comunicazioni scientifiche o militari, come i radar a corto raggio. Le radiazioni a quelle frequenze non introducono alcun rischio sulla salute che non siano quelli già ampiamente studiati e documentati: a meno che non si decida di vivere su un’antenna radar, non c’è alcun pericolo.
Il motivo per cui finora non sono state utilizzate per reti commerciali è dovuto al fatto che una larga parte di banda detta banda K (dai 18 ai 27 GHz circa) è soggetta ad una attenuazione nell’ordine di grandezza di 1 dB/Km fino a 10 dB/Km dovuta al vapore acqueo presente nell’atmosfera, la cui frequenza di risonanza è circa 22,24 GHz, a tal punto da renderlo inutilizzabile per trasmissioni a lungo raggio di dati complessi. Tuttavia queste frequenze sono molto indicate per comunicazioni ad altissimo tasso di riusabilità delle frequenze, poiché sono utilizzabili da antenne a bassa ampiezza e poco costose, dal raggio di circa un chilometro; il 5G tuttavia si prefigge di utilizzare delle porzioni di queste bande grazie ad una serie di accorgimenti tecnici brevemente illustrati nel prossimo paragrafo. 5G NR definisce queste frequenze (nello specifico a 24, 26, 28 e 39 GHz) in un range di frequenze chiamato semplicemente FR 2; il range FR 1 invece racchiude tutte le frequenze al di sotto dei 6 GHz già utilizzate dai precedenti standard per ragioni di retrocompatibilità, oltre ad ulteriori nuove frequenze nella banda UHF (Ultra high frequency), come ad esempio quelle tra i 700 e gli 800 MHz ad oggi utilizzate per le trasmissioni TV. Per questo motivo in Italia nel 2022 si passerà al nuovo standard TV DVB-T2 che non usa più tali frequenze, che così restano libere per il 5G. Le frequenze FR 1 saranno utilizzate quasi esclusivamente per la connessione tra dispositivo ed antenna, mentre le frequenze FR 2 per le comunicazioni tra gli elementi di rete periferica e la backhaul collegata alla dorsale di rete.
Il glossario del 5G
Oltre a 5G NR, lo standard utilizza dei termini particolari che è meglio conoscere per capire meglio, senza bisogno di tecnicismi, le evoluzioni tecnologiche del 5G. Una delle tecniche per l’utilizzo delle alte frequenze è quello di utilizzare più antenne (rispetto alle precedenti generazioni) ma più piccole, dall’apertura di raggio minore e che operano con minore potenza irradiata rispetto alle scorse tecnologie. La suddivisione in piccole celle (small cell), dal raggio di circa 250 metri e comunque inferiore al chilometro, è alla base della distribuzione delle frequenze per le reti di sensori densamente distribuite, oltre per i dispositivi utente comuni. Le piccole celle inoltre fungono anche da “ombrello” per le femtocelle, le celle create dalle antenne dei router di comune commercio, fornendo così l’interfaccia per l’utenza comune, domestica o aziendale. La ridondanza dovuta all’alto numero di antenne delle piccole celle, installate come fossero array coerenti in fase, permette inoltre l’utilizzo del beamforming, che permette trasmissioni direzionali ad angoli definiti in modo tale che le singole trasmissioni non siano danneggiate dalle interferenze delle altre, ma anzi permettano la trasmissione di altre informazioni. Un principio dal concetto simile è utilizzato ad esempio nel cablaggio delle fibre ottiche, nelle quali informazioni che possono perdersi a causa della rifrazione della luce attraverso una singola fibra vengono “recuperate” in un’altra fibra nello stesso “cavo”. Il largo numero di antenne a corto raggio inoltre permette il cosiddetto Massive MIMO (multiple input-multiple output), ovvero la possibilità di accesso simultaneo alle antenne di rete da parte di un grandissimo numero di dispositivi, come definito dall’IMT-2020 illustrato in precedenza.
Per quanto concerne il lato applicativo, il 5G ha come obiettivo il rispetto di parametri elevatissimi di qualità del servizio anche al limite delle aree di copertura, allo scopo di evitare congestioni di rete nelle immediate vicinanze delle antenne stesse. Si parla perciò di Edge computing, possibile grazie ad una massiccia applicazione di elementi di rete virtualizzati che girano appunto su macchine virtuali in cloud (Network function virtualization o in breve NFV). Gli elementi di rete virtualizzati permettono inoltre di “tagliare a fette” la rete (si parla appunto di Network slicing), separandone logicamente i nodi in funzione delle applicazioni e dei casi d’uso correnti, svincolati così dalla tecnologia di rete applicata e dipendenti solo dai software dei dispositivi connessi: questo approccio tecnologico è detto Software-defined networking o SDN, ed è già utilizzato con successo su reti wireless di calcolatori in ambienti di rete centralizzati. La sfida aperta è portare tale approccio anche sulle reti mobili, da sempre vincolate ad un’intelligenza della rete intrinseca all’infrastruttura stessa, distribuita in maniera ridondante (ed a volte interferente tra loro) tra le varie base station poste logicamente in prossimità delle antenne di cella che connettono i dispositivi alla rete. L’architettura che il 5G propone per superare ciò è chiamata C-RAN, che sta per Cloud Radio Access Network, nella quale appunto tutta la logica di connessione viene centralizzata (la C dell’acronimo sta anche per centralized) su un sistema virtualizzato dislocato in cloud dalle prestazioni molto più elevate rispetto ad una base station anche di nuova generazione, garantendo così tutti quei parametri di efficienza di rete descritti in precedenza. Certo, un sistema centralizzato è comunque vulnerabile dal punto di vista della sicurezza di rete ed è meno scalabile, ma attraverso la virtualizzazione permette a parità di performance costi di manutenzione ed aggiornamento minimi; inoltre un sistema del genere favorisce la convergenza di rete descritta in precedenza, l’obiettivo primario che il 5G dovrà raggiungere nei prossimi anni.