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Economia

Golfo dell’Oman: crocevia del Medio Oriente

Published by
Lorenzo Ricchitelli

Lo scorso 12 giugno due petroliere che transitavano nei pressi della zona dello Stretto di Hormuz, situato nel Golfo dell’Oman, avevano subito danni strutturali portando all’interruzione della rotta delle due imbarcazioni. La prima petroliera, la Front Altair, noleggiata in precedenza dalla compagnia petrolifera statale di Taiwan e appartenente alla compagnia norvegese Frontline, batteva la bandiera delle Isole Marshall mentre la seconda, la Kokuka Corageous, batteva la bandiera di Panama. I membri dell’equipaggio di ambedue le petroliere erano stati tutti tratti in salvo soprattutto grazie all’intervento della Marina Militare statunitense, situata nella base portuale in Bahrein, la quale aveva affermato di aver ricevuto due segnalazioni quella stessa mattina, a orari poco distanti, da parte delle due petroliere. Questo incidente, o presunto tale, potrebbe rappresentare una svolta in negativo negli equilibri di una delle zone geopolitiche più instabili nella storia, ovvero il Medio Oriente.

Le accuse all’Iran e i possibili retroscena su una vicenda non chiara

immagine di una delle due petroliere danneggiate il 12 giugno. Fonte: ilpost.it

La Front Altair stava trasportando 75.000 tonnellate di petrolio verso Taiwan e, secondo le indicazioni dei suoi proprietari norvegesi, la nave sarebbe stata danneggiata da “un’esplosione”, che resta ancora oggi parzialmente misteriosa. La compagnia petrolifera di Taiwan attribuisce i danni ad un attacco di missili torpedo e questo scenario viene avvalorato dal riscontro di una falla poco sopra la linea di galleggiamento, che porterebbe a pensare che l’obiettivo non fosse quello di affondare la nave (come difatti è successo), ma bensì di creare un’azione di disturbo alla petroliera stessa. Similmente la Kokuka Corageous, diretta in Giappone, ha subito un problema allo scafo sul lato destro dell’imbarcazione, seguito da un problema nella sala macchine. Dopo il salvataggio di tutti i membri dell’equipaggio, l’evento che ha destato sospetto è stato riportato dal proprietario giapponese della petroliera: a distanza di tre ore dal salvataggio l’imbarcazione ha subito due esplosioni, le cui cause sono attribuite dalle testimonianze dell’equipaggio che hanno visto “oggetti volanti” colpire la barca, avvalorate dal ritrovamento e la rimozione di una mina inesplosa nella zona centrale della nave, sempre poco al di sopra della linea di galleggiamento.

Il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo. Fonte: ticinolibero.ch

Le prime congetture, fornite soprattutto dalla marina statunitense lì presente e poi sottoscritte dalle dichiarazioni del Segretario di Stato americano Mike Pompeo, sul possibile responsabile di questo attacco conducevano all’Iran. Pompeo ha affermato che: «Il loro obiettivo era di colpire gli alleati degli Stati Uniti», avvalorata dalla presenza nello scenario sia di Taiwan, che aveva noleggiato la Front Altair, e del Giappone, destinataria del carico della Kokuka, notoriamente in affari con gli USA. Si devono però osservare alcuni elementi: quello stesso giorno era in corso la prima visita nipponica in Iran dal 1979, nella figura del primo ministro giapponese Shinzo Abe, il che renderebbe controproducente e soprattutto contraddittorio un atteggiamento aggressivo da parte dell’Iran, considerando la forte dipendenza dall’acquisto di petrolio del Giappone proprio dall’Iran stesso. Secondariamente il tipo di attacco che ha colpito le due petroliere: appare evidente che si possa parlare di “manovra diversiva”, date la mancanza di vittime nell’accaduto, l’integrità generale delle imbarcazioni e soprattutto dei carichi. Inoltre l’Iran provocando un danno a tutti i paesi della regione persica, molti dei quali partner degli USA, sarebbe stato consapevole di poter diventare il maggior sospettato e di poter subire, una maggiore pressione.

Dunque il contesto geopolitico messo in campo è più che mai oggi delicatissimo, come lo è il Medio Oriente, poiché smuove tantissimi collegamenti strettamente intrecciati tra loro. Difatti fondamentale è la posizione geostrategica del luogo dell’attacco alle petroliere, ovvero lo Stretto di Hormuz: quest’area è di importanza vitale per il trasporto di petrolio nella zona del Golfo Persico, poiché attraverso questo tratto passa il 40% del greggio mondiale. L’immediata conseguenza economica dell’attacco, che inevitabilmente ha colpito lo stesso Iran ma non solo, è stato l’aumento del 3,03% del prezzo del petrolio. Tutti questi elementi hanno creato un pretesto per una nuova forte pressione politica degli USA sull’Iran, già presente in passato. È evidente che la situazione nel Golfo Persico non ha fatto che accentuare il recente inasprimento delle relazioni tra Teheran e Washington, dovuta alla politica di Trump, che si è apertamente schierato negli ultimi mesi con i rivali regionali dell’Iran, ovvero Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

La situazione iniziò a precipitare quando il mese precedente a questo attacco, il 12 maggio, vi fu già un altro episodio di danneggiamento di petroliere nel Golfo Persico attraverso l’utilizzo di piccole cariche esplosive, le quali erano di proprietà saudita; anche in quell’occasione gli Stati Uniti indirizzarono immediatamente le loro accuse verso l’Iran. L’Iran ha prontamente risposto ad ambedue le accuse affermando con forza la sua totale estraneità ai fatti, attraverso le dichiarazioni del presidente iraniano Hassan Rohani: «la sicurezza è di grande importanza per l’Iran nella delicata regione del Golfo Persico, nel Medio Oriente, in Asia e nel mondo intero. Abbiamo sempre cercato di assicurare pace e stabilità nella regione». L’Iran ha rilanciato le proprie dichiarazioni con un’esplicita accusa agli Stati Uniti, che secondo Teheran starebbero esercitando da tempo una pressione costante sul paese situato nel cuore del Medio Oriente, attraverso molte azioni: la presenza militare cospicua nel Golfo Persico degli USA è il primo motivo di pressione, aggravata dall’abbandono da parte di Washington lo scorso anno del Trattato di “non proliferazione” sul nucleare del 2015 .

La recente escalation di tensioni e il possibile risvolto nel breve-medio periodo

Il tema del nucleare è al centro delle principali preoccupazioni di questa zona, soprattutto dopo le recenti azioni compiute nell’ultimo periodo in particolare da Iran e USA: inizialmente il round di sanzioni che gli USA hanno imposto all’Iran sull’esportazione del proprio petrolio, che però aveva visto uno spiraglio di miglioramento quando nel novembre dello scorso anno Washington ha concesso una deroga ad otto paesi, tra cui l’Italia stessa. La situazione è cambiata quando gli USA, in seguito all’attacco del 12 maggio, hanno deciso di non rinnovare le licenze ai Paesi che rappresentano i maggiori acquirenti del petrolio iraniano, e questo potrebbe rappresentare il principale movente di Teheran per voler commettere un’azione che sicuramente avrebbe avuto forte ripercussioni. Dopo questo altro controverso episodio, gli USA difatti inizialmente non hanno escluso l’utilizzo della “risposta militare”: Trump ha annunciato di aver bloccato un intervento militare pronto all’attuazione, probabilmente per far abbassare il tiro del governo di Teheran. Una vera e propria azione c’è stata, proprio lo stesso giorno, poiché il 23 giugno il governo iraniano ha affermato di aver bloccato un cyberattacco lanciato proprio dagli USA nei confronti dei possibili autori del recente attacco.

Hassan Rohani, Presidente dell’Iran. Fonte: huffingtonpost.it

La reazione iraniana è stata forte e perentoria: Rohani ha difatti aggiunto  nelle sue dichiarazioni come, dopo i recenti sviluppi, la Casa Bianca sia: «afflitta da ritardo mentale», facendo sottintendere che la missione di Abe per mediare tra Teheran e Washington fosse fallita. La via diplomatica sembra dunque morta data soprattutto la recente decisione dell’Iran di superare la soglia del 3,67% di arricchimento dell’uranio (si stima che arrivi al 4,5%), violando così il trattato che Washington ha già abbandonato, dando una giustificazione a Teheran, la quale ha ricevuto il monito dalla Cina. Il portavoce del ministero degli esteri di Pechino Geng Shang ha difatti condannato la scelta iraniana, giustificando però questo atteggiamento poiché provocato da un “bullismo” esercitato dagli USA (accusa velata del maggior concorrente di Washington per il monopolio economico).

L’Iran è andata incontro immediatamente a delle conseguenze che sono non così indirettamente collegate alla sua forte presa di posizione politica: qualche settimana fa è stata sequestrata la petroliera iraniana Grace 1, nei pressi dello stretto di Gibilterra, che notoriamente è sotto il controllo britannico. Difatti proprio la Magistratura di Gibilterra ha convalidato il sequestro, accusando l’Iran di trasportare petrolio verso la Siria, in palese violazione degli accordi internazionali. Appare evidente il collegamento di tale evento con la recente tensione tra Washington e Teheran, data anche la sempreverde collaborazione e alleanza su più campi tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra stessa (in questo periodo di Brexit il legame tra Washington e Londra è stretto a doppio filo). L’Iran ha colto questo messaggio di ulteriore pressione da parte degli Stati Uniti, e anche qui hanno rilanciato, affermando che questo è considerato un vero e proprio “atto di pirateria“, e che Teheran non si sarebbe creata nessun problema nel sequestrare una petroliera britannica come risposta.  È assolutamente evidente che la situazione nel Golfo Persico sia diventata estremamente tesa, come gli episodi esposti confermano, e il quadro generale vede Iran e USA apparentemente pronti ad ogni tipo di azione.

Mappa che mostra quella che adesso rappresenta la zona più calda del Golfo Persico, nei pressi dello Stretto di Hormuz. Fonte: ilmanifesto.it

Qualche giorno difatti è occorsa un altro apparente sequestro, proprio nella zona crocevia del Medio Oriente: una piccola petroliera proveniente dall’Oman è difatti scomparsa proprio lungo lo Stretto di Hormuz, senza richieste di soccorso lanciate nelle ore e nei giorni successivi; i sospetti che l’Iran sia dietro questa sparizione sono confermati dall’ultima posizione rilevata dal GPS della petroliera, presso l’isola iraniana di Larak. L’Oman ha recentemente richiesto il rilascio della petroliera e sembra che la situazione sia in fase di risoluzione dato che il primo Ministro del paese del sud del Golfo si recherà di persona a Teheran il 27 luglio. Quanto è accaduto fa percepire chiaramente la criticità degli equilibri in Medio Oriente, sottolineata dalle parole di ambedue i governi: Trump ha affermato di non escludere un intervento militare, e dall’altra parte l’Iran in precedenza, riguardo la questione dell’uranio, ha assicurato ad Abe (Primo Ministro giapponese) di non voler usare l’atomica, concludendo tuttavia il discorso con quella che appare una minaccia velata, affidata alle parole della Guida Suprema Khamenei: «Siamo contrari alle armi nucleari e i nostri verdetti religiosi proibiscono di costruirle.

Ma si sappia che se mai le volessimo, gli Stati Uniti non potrebbero farci nulla». L’Iran sembra dunque tenere una posizione più moderata rispetto agli Stati Uniti, grazie anche alle rassicurazioni dei loro leader: in questi giorni è difatti tornato a parlare Rohani che ha affermato che: «L’Iran è stato e sarà il guardiano della sicurezza e della libera navigazione nel Golfo Persico, nello stretto di Hormuz e nel mare di Oman […] L’Iran non cerca un’escalation delle attuali tensioni nella regione e con altri Paesi, e non inizierà mai una guerra o un confitto». Il prossimo futuro vede il Golfo dell’Oman (nello specifico lo stretto di Hormuz) come campo di gioco di quella che appare una partita a scacchi tra due fronti guidati da Washington e Teheran, che dichiarano velatamente di essere pronti a tutto, ma le varie smentite soprattutto da parte dell’Iran fanno presagire che nel Medio Oriente si sta prospettando una guerra che in realtà nessuno è in grado di permettersi.

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Lorenzo Ricchitelli

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