Il 21 ottobre 2019 i cittadini del Canada saranno chiamati a votare i 338 membri del Parlamento. Il sistema elettorale che regola l’assegnazione dei seggi è un maggioritario first-past-the-post, un sistema tipicamente anglosassone che premia la governabilità a discapito della rappresentanza. Proprio al fine di riequilibrare in senso proporzionale il risultato delle elezioni, l’attuale Primo ministro del Canada Justin Trudeau aveva annunciato nel 2015 una riforma elettorale. Lo scopo, naturalmente, quello di rimpiazzare il maggioritario con un proporzionale, ma non solo. Tra le proposte del Partito Liberale del Canada spiccavano anche il voto obbligatorio, l’aggiunta delle preferenze e il voto online. Una vera e propria rivoluzione, insomma.
Che ne è stato dunque di quest’ambiziosa riforma elettorale promessa dai liberali canadesi? Naufragata, nell’indifferenza generale. Sebbene nel 2016 sia stato formato un comitato speciale per la riforma elettorale, i risultati ottenuti negli ultimi anni sono stati nulli. Semmai, sono tanti i rimpianti di chi aveva promesso un cambiamento epocale a un Paese ancorato a un sistema simile a quello di Stati Uniti e in Regno Unito. «È diventato evidente che l’ampio sostegno necessario tra i canadesi per un cambiamento di questa portata non esiste», ha detto il ministro delle Istituzioni Democratiche Karina Gould nel 2017.
Un’importante promessa che non è stata mantenuta, ma come avrà reagito l’elettorato a questo impegno mancato dal partito di governo? Non c’è stata nessuna protesta da parte dei canadesi, che invece non hanno apprezzato i molteplici scandali che hanno avvolto i membri del governo Trudeau, compromettendone l’indice di gradimento. Dopo anni di dominio incontrastato nei sondaggi, il Partito Liberale ha cominciato a vacillare proprio nei primi mesi del 2019, in corrispondenza con gli scandali. A marzo il Partito Conservatore del Canada ha raggiunto quota 40% in alcuni sondaggi, un vantaggio che il leader Tory Andrew Scheer sta lentamente perdendo in vista delle elezioni di ottobre.
Nell’ultimo sondaggio condotto da Forum Research il 28 luglio, il Partito Conservatore risulterebbe il più votato dai canadesi, con il 34% dei suffragi, mentre il Partito Liberale seguirebbe con il 31%. Molto indietro il Nuovo Partito Democratico (12%), a pari merito con i Verdi e davanti ai regionalisti del Bloc Québécois e i populisti del Partito Popolare canadese, entrambi fermi al 5%. Il calo dei Tories non è dovuto a un’improvvisa ricrescita dei liberali, anzi. Nel settembre 2018, un anno dopo la nomina di Andrew Scheer come leader, i conservatori hanno subito una scissione. La frangia più tradizionalista e più a destra del partito guidata da Maxime Bernier si è allontanata per creare il People’s Party of Canada, ovvero il Partito Popolare canadese.
Il PPC è un partito conservatore, liberista e libertario, accusato dalla stampa di essere anche populista. Contrario all’intervento dello Stato nell’economia, il PPC propone di abbassare le tasse sia alle persone che alle imprese, ma è molto rigido sull’immigrazione. Un partito di per sé simile al Partito Conservatore, tant’è che l’ex primo ministro Stephen Harper ha accusato il leader Bernier di voler dividere la destra canadese. «Mi sono reso conto che questo partito [il Partito Conservatore, ndr] è troppo corrotto moralmente e intellettualmente per poter essere riformato», ha spiegato Bernier nella sua lettera di dimissioni dal Partito Conservatore.
Se queste divisioni a destra determineranno chi andrà a Ottawa ad ottobre, purtroppo non è ancora dato saperlo. E questo, Justin Trudeau, lo sa benissimo. Secondo il Wall Street Journal, la popolarità del figlio dell’ex primo ministro Pierre Trudeau sarebbe colata a picco. Il 60% dei canadesi, infatti, disapproverebbe il suo operato. Una pessima notizia per chi è entrato nei cuori dei cittadini grazie a un fascino e un carisma invidiabili. Gli scandali, come detto sopra, hanno minato la tenuta del governo canadese.
In questi ultimi anni, Ottawa ha dovuto fronteggiare non solo crisi interne, ma anche minacce provenienti dall’esterno, prima su tutte Donald Trump. L’esuberanza del presidente statunitense ha più volte creato tensioni con il vicino di casa. Eppure sono stati raggiunti degli accordi importanti tra i due Stati, come la rinegoziazione del NAFTA, ora USMCA.
La politica estera canadese ha sempre seguito l’impronta americana: l’alleanza con i sauditi lo dimostra. E Trudeau, accusato dalla sinistra europea di aver venduto armi a Riyad, ha messo in discussione perfino le relazioni con l’Arabia Saudita, per cause di forza maggiore. L’assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi e la richiesta di estradizione di un’adolescente saudita da parte di Riyad hanno convinto Trudeau della necessità di incrinare i rapporti con la monarchia Araba. Un imponente accordo sulla vendita di armi è stato sospeso dal Canada la scorsa primavera. Fonti saudite, tuttavia, negano il blocco e sostengono che il governo canadese accetterà i soldi, andando fino in fondo con l’accordo.
Tema caldo, quello delle relazioni con l’Arabia Saudita, anche per il Partito Conservatore. I parlamentari Tory sono stati piuttosto perentori: se dovessimo vincere le elezioni, restaurare le relazioni con Riyad sarà la prima cosa che faremo. Il conservatore Erin O’Toole ha detto che l’obiettivo principale del governo canadese dovrebbe essere quello di guadagnarsi la fiducia dei sauditi, poiché ci sono interessi di natura commerciale reciproci, indipendentemente dalla situazione dei diritti umani in Arabia. Un approccio maggiormente pragmatico rispetto a quello di Trudeau e del Partito Liberale, da sempre a difesa dei diritti di tutti, soprattutto delle minoranze.
Per i liberali, quindi, si prospettano mesi difficili, come già preannunciato dai sondaggi. Molto probabilmente i conservatori vinceranno le elezioni, ma riusciranno a governare? Si parla di governo di minoranza a guida liberale, con il sostegno del Nuovo Partito Democratico, che potrebbe trovare un’intesa con Trudeau. Il suo leader, Jagmeet Singh, ha spostato il suo partito molto a sinistra, con proposte eclatanti (incrementare la copertura sanitaria, migliorare il welfare, introduzione di una tassa sulle grandi fortune), come già fece il suo predecessore Tom Mulcair nel 2015, quando promise di accogliere immediatamente 10.000 rifugiati siriani.
Chi vincerà le prossime elezioni canadesi avrà una grandissima occasione per cambiare il Paese. Le riforme passate negli ultimi anni hanno cambiato lo stile di vita dei canadesi. La legalizzazione della cannabis, per esempio, che ha creato un settore che frutta miliardi di dollari ogni anno allo Stato canadese. Questo provvedimento è piaciuto così tanto ai canadesi che il leader conservatore Andrew Scheer ha promesso di non modificarlo in nessun modo, se dovesse diventare primo ministro.
E forse sarà questa la chiave delle prossime elezioni: i programmi politici di liberali e conservatori, in fondo, sono molto simili (soprattutto in ambito economico). La differenza principale è rappresentata dalle persone. Non che si tratti di un contest di bellezza, ma la credibilità dei politici è un fattore fondamentale quando si deve votare, e le scorse elezioni lo hanno dimostrato. Nel 2015, Trudeau ha vinto perché il popolo canadese ha bocciato Stephen Harper. Un voto di protesta che ha mobilitato tantissimi indecisi, diventati improvvisamente sostenitori di Justin Trudeau. Anche stavolta la storia si ripeterà? Lo scopriremo a ottobre.