Lo scorso 26 luglio Netflix ha rilasciato la settima e ultima stagione di Orange Is The new Black, una serie televisiva ambientata in un carcere femminile e ispirata al libro autobiografico di Piper Kerman Orange is the new black: da Manhattan al carcere: il mio anno dietro le sbarre. L’ultima stagione dello show ideato da Jenji Kohan – tredici episodi di un’ora ciascuno – e attento alle tematiche LGBT conclude le vicende di un ampio gruppo di detenute dalle più diverse estrazioni sociali e provenienze geografiche. I personaggi avranno destini molto diversi tra loro e la serie si dimostrerà ancora una volta capace di fondere tragedia e commedia all’interno di una narrazione che denuncia le ardue condizioni di vita dentro le carceri femminili.
Piper Chapman (Taylor Schilling) è appena uscita dal carcere e sta iniziando una nuova vita lontana dai luoghi soffocanti e pericolosi di Litchfield (New York), dove ha trascorso quindici mesi per riciclaggio di denaro sporco, reato di cui si è macchiata ai tempi in cui era fidanzata con la narcotrafficante Alex Vause. Non è facile dimenticare quello che è successo tra le mura di Litchfield – minacce, violenze, ammutinamenti, rivolte – né reinserirsi in una società che rigetta troppo facilmente le ex detenute, ma Piper ci sta provando: vive a casa del fratello e della moglie, è in regime di libertà vigilata, sta cercando un lavoro che le permette di pagare l’affitto e di avere una vita soddisfacente e sta provando a mantenere intatta la sua relazione sentimentale con Alex, ancora bloccata a Litchfield. Qui le detenute che hanno vissuto insieme a Piper – Niki, Alex, Morello, Red, Mendoza, Flaca, Maritza, Blanca, Ruiz, Suzanne, Taystee, Cindy, Doggett – vanno avanti come possono: spacciano, trafficano, cucinano, studiano, insegnano o si dedicano al prossimo. Il carcere di Litchfield è rimasto quello di sempre: le guardie costringono le detenute a spacciare droga e le molestano sessualmente e la gestione della prigione è ancora nelle mani della società che fece scoppiare la rivolta nelle stagioni precedenti, dopo aver perseguito il proprio profitto a discapito delle carcerate. Le ancore di salvezza di Litchfield sono poche: c’è Tamika, la nuova direttrice che si sta prodigando per dare alle detenute dei corsi di formazione stimolanti, Joe Caputo, che gestisce gli incontri di giustizia riparatoria in cui le carcerate possono riflettere sui loro crimini e chiedere perdono, e Suzanne – in passato chiamata “Occhi Pazzi” – che sta scrivendo un libro sugli avvenimenti che hanno portato alla morte di Piscatella nella speranza di scagionare Taystee (Tasha Jefferson), condannata all’ergastolo dopo la testimonianza fasulla di Cindy Hayes. Anche nella settima stagione di Orange Is The New Black il carcere di Litchfield è un microuniverso fatto di soprusi, costrizioni e lotte continue in cui le detenute dovranno portare avanti le proprie esistenze, trovando una ragione di vita anche nelle condizioni più avverse o smarrendosi per sempre.
Gli episodi conclusivi dello show targato Netflix portano in scena forte realismo che supera quello delle stagioni precedenti e confermano che Orange Is the New Black non è una favola, ma la rappresentazione dei lati più tragici dell’esistenza umana: alla fine della serie le detenute di Litchfield sono ben lontane dal varcare felicemente i cancelli di Litchfield e dire addio al passato: alcune di loro impazziscono, degenerano, si deteriorano, meditano il suicidio, legano indissolubilmente la loro vita al carcere o muoiono. La conclusione scelta per lo show genera una sensazione di mancata giustizia e veicola la fallibilità del sistema penale, i cui meccanismi difettosi stritolano la vita delle persone che ci finiscono in mezzo. Nel finale della serie la vita delle detenute rimaste a Litchfield è lasciata in sospeso, la loro storia potrebbe continuare all’infinito, ma lo spettatore non saprà mai che cosa accadrà in futuro né se si salveranno in un modo o nell’altro. I personaggi dello show sono coerenti con loro stessi e con le caratteristiche che hanno loro procurato l’affetto degli spettatori: l’irrequietezza di Piper, la durezza di Alex, la follia di Lorna, la spregiudicatezza di Aleida e, soprattutto, l’umanità che nessuno attribuirebbe a coloro che si sono macchiati di crimini orribili e che ha portato al successo Orange Is The New Black, una serie esplicita, violenta, amara, ma necessaria. In linea con l’attualità, l’ultima stagione dello show affronta anche il tema dell’immigrazione inserendo una storyline ambientata in un centro di detenzione per clandestine che, tra umiliazioni e udienze, lottano strenuamente per restare negli Stati Uniti (tra queste ci sono anche Blanca Flores e Maritza Ramos). Per la prima volta in sette stagioni OITNB fa politica, si rivolge agli spettatori indirettamente per farli riflettere e, sotto la superficie, critica le derive del Trumpismo. L’attualità è presente anche nella vicenda di Joe Caputo, che viene accusato di aver licenziato Susan Fischer, ex guardia di Litchfield, dopo che la donna ha rifiutato le avances sessuali dell’uomo: la serie cavalca l’onda del #MeToo, ma lo fa allo scopo di rendere i colpevoli più umani, fallibili e bisognosi di redenzione. La settima stagione di Orange Is The New Black consolida la coppia composta da Natalie Figueroa e Joe Caputo – i due vanno a vivere insieme e provano ad avere un figlio – e approfondisce la loro personalità: Caputo conferma la sua scissione interiore nell’alternare continuamente la sfrenatezza sessuale alla sensibilità verso le detenute – una duplicità che lo ha reso un personaggio straordinario nel corso delle varie stagioni – mentre Fig rivela un inedito lato buono, sensibile e solidale con le detenute, ma senza perdere la sua irriverenza.
Com’è già accaduto nella penultima stagione, anche la settima ha perso alcune caratteristiche salienti dello show originario, a cominciare dalla mancanza di storyline amorose in grado di conquistare lo spettatore. Relazioni complicate e passionali viste nelle stagioni precedenti – Piper e Stella, Daya e Daddy – sono nettamente superiori al flirt tra Alex e la guardia carceraria dai capelli biondi di questi ultimi episodi, una storia che appare poco credibile fin dall’inizio. I dialoghi di OITNB 7 sono piatti, insulsi, senza senso, incapaci di suscitare l’ilarità che contraddistingue da sempre la serie e che in questa ultima stagione è consegnata solo a rocambolesche scene di sesso (molto esplicite come è nello stile dello show). La serie è stanca, lascia degli indizi che non portano a nulla, dimentica i personaggi, gli concede poche comparse, non ne sviluppa la personalità e li elimina di colpo come se non fossero mai esistiti (il professore della scuola delle detenute, ndr). La stagione finale di Orange Is The New Black si interroga più delle altre sul senso della vita tra le mura del carcere, dove le detenute hanno solo tre scelte: governare la prigione con il terrore, aiutare il prossimo o sprofondare nel dispiacere per sempre.