Gli incendi nelle foreste amazzoniche che non accennano a estinguersi, l’accelerarsi dello scioglimento del permafrost in Siberia e ora l’uragano Dorian che ha devastato le Bahamas: chi aveva ancora dubbi sugli effetti del riscaldamento globale, ormai dovrebbe essersi convinto che si tratta di un fenomeno tristemente reale. In effetti, il tema della protezione dell’ambiente viene incluso nell’agenda politica di un numero sempre maggiore di governi, tanto che gli avvertimenti lanciati dagli scienziati e dal pianeta sembrerebbero – e in questo caso il condizionale è d’obbligo – essere stati recepiti anche dall’appena nato esecutivo giallorosso. La necessità di dare vita a un Green New Deal è stata infatti una delle poche questioni su cui i due nuovi alleati di governo si sono trovati subito in sintonia, ed è stata sottolineata da Conte quando ha accettato l’incarico di formare un nuovo esecutivo. Il Green New Deal è un progetto molto ambizioso che non nasce con il governo giallorosso, ma che si spera il Conte bis metta effettivamente in atto.
Il termine Green New Deal era stato coniato già nel 2008, con la nascita del Green New Deal Group. Lo scopo del gruppo – il cui nome si ispirava ovviamente al vasto piano di riforme varato dal presidente USA Franklin Delano Roosevelt per uscire dalla crisi del 1929 – era convincere i singoli Stati nazionali ad attuare importanti riforme sociali ed economiche che avrebbero permesso di tagliare completamente le emissioni. L’idea ha però ricevuto un nuovo slancio negli ultimi mesi, perché è diventata la bandiera impugnata da molti Democratici USA per battere Trump alle prossime elezioni. A farsi portavoce del progetto è stata soprattutto la deputata Alexandra Ocasio-Cortez, che ha unito ai temi ambientali anche quelli di diseguaglianza sociale: secondo il piano ideato dai Democratici, oltre a ridurre del cento per cento le emissioni entro dieci anni e a tassare la produzione di CO2, si prevede anche un salario minimo più elevato, delle imposte più alte per chi guadagna di più e l’assistenza sanitaria universale. Un progetto ambizioso – forse troppo – che va ben al di là della crisi ambientale.
Più improntato sul tema del cambiamento climatico sembra invece essere il Green New Deal prospettato dai due alleati del Conte bis. Già prima che Matteo Salvini innescasse la crisi di governo, il PD aveva pubblicato sul proprio sito un elenco di cinque proposte per una «riconversione ecologica della nostra economia», tra cui il taglio alle emissioni e la concessione di incentivi per chi investe nella sostenibilità. Alcune di queste idee sembrano essere confluite anche nel programma di governo giallorosso, che in quattro dei suoi ventinove punti menziona il tema ambientale. In particolare, è nel punto sette che si fa esplicito riferimento all’introduzione di un Green New Deal: si parla di investimenti che «dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente», di uno sviluppo che favorisca la transizione ecologica e di una produzione che si orienti «verso un’economia circolare», ovvero un’economia che non produca più rifiuti. Si menziona poi la necessità di dare priorità agli interventi contro il dissesto idrogeologico (punto nove) e di approvare una legge per l’acqua pubblica (punto ventidue). Ovviamente si spera che questo slancio di intenti ecologici si possa tradurre al più presto in interventi concreti, ma non può non lasciare interdetti vedere che il problema ambientale viene affrontato con indicazioni generiche, tutt’altro che chiare e suscettibili a un’interpretazione molto libera.
In effetti, un po’ di scetticismo è più che naturale, considerando che al dicastero dell’Ambiente è stato riconfermato Sergio Costa (M5S). Già ministro dell’Ambiente nell’esecutivo gialloverde, Sergio Costa era l’uomo scelto per occuparsi della «tutela dell’ambiente», della «sicurezza idro-geologica del nostro territorio» e dello «sviluppo dell’economia circolare» su cui il primo governo Conte, stando a quello che il premier aveva detto in Senato, si sarebbe dovuto incentrare. Eppure, nell’alleanza gialloverde di verde politico se ne è parlato fin troppo, mentre il verde ambientale è stato praticamente dimenticato: stando all’analisi di Pagella Politica, dei ventidue punti che nel contratto tra M5S e Lega riguardavano l’ambiente otto non sono stati per nulla realizzati e le restanti promesse sono state mantenute solo in parte. Addirittura, a giugno la maggioranza gialloverde aveva bocciato la mozione presentata da PD, LeU e FI per dichiarare lo stato di «emergenza climatica» in Italia, mozione che avrebbe portato il governo a adottare misure concrete in campo ambientale. Anche il piano ProteggItalia, presentato da Conte come «il più grande piano di messa in sicurezza, lotta al dissesto idrogeologico e prevenzione del nostro Paese», è stato in realtà un provvedimento solo di facciata: cambiava ben poco, infatti, dal progetto ItaliaSicura voluto da Gentiloni e fatto chiudere invece da Lega e M5S.
In ogni caso, se l’esecutivo giallorosso sceglierà davvero di inserire i problemi ambientali tra le priorità della propria agenda di governo non sarà da solo, perché sembra che anche la nuova Commissione Europea sarà più sensibile ai mutamenti climatici. La nuova Presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, in un discorso al Parlamento UE nel mese di luglio 2019 ha affermato di volere che l’Europa diventi il primo continente a raggiungere la neutralità climatica. Sostenendo anche lei la necessità di un Green New Deal, Von der Leyen si è impegnata a ridurre le emissioni del 50% entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050, facendo dell’UE il principale oppositore di Trump sulla questione del riscaldamento globale.
Anche in questo caso, il come rimane un aspetto poco chiaro. Le poche proposte concrete sono state quelle di introdurre una carbon tax, simile alla famigerata tassa che aveva scatenato la rivolta dei gilet gialli in Francia, ma che a differenza di questa non dovrebbe gravare sui ceti medio-bassi. Per favorire la transizione ecologica dell’Unione Europea, la Presidente della Commissione ha anche anticipato che parte della Banca Europea per gli Investimenti sarà trasformata in una “banca del clima”, in modo da concedere degli aiuti economici utili per fare investimenti “verdi”. Le parole della Von der Leyen sono certo state accolte positivamente, ma secondo molti non sono sufficienti: in una lettera indirizzata all’UE, Greenpeace ha sostenuto la necessità di tagliare completamente le emissioni già entro il 2040 e di verificare che i prodotti venduti in Europa non derivino da procedimenti dannosi per l’ambiente. Insomma, per quanto lodevole sia l’iniziativa, sembra che come al solito la politica continui a rimanere troppo distaccata dalla realtà.
Non c’è più tempo. È sicuramente positivo che il Green New Deal sia pienamente entrato nel dibattito politico e pubblico, ma è essenziale che in quel dibattito non rimanga imprigionato e che dal propagandistico marasma di dichiarazioni ambientaliste si riesca a ricavare qualche azione concreta. Le conseguenze dell’innalzamento delle temperature sono ormai note a tutti: siccità e carestia, che secondo l’ONU provocherebbero inevitabilmente un «apartheid climatico». Se infatti sono i Paesi sviluppati i principali colpevoli dell’aumento delle temperature, saranno più che altro le popolazioni degli Stati più poveri a subirne le conseguenze. Occuparsi seriamente del cambiamento climatico converrebbe anche alla politica, anche solo per un semplice calcolo egoistico: un governo che affrontasse davvero il riscaldamento globale verrebbe sicuramente premiato in termini di consenso da un elettorato sempre più sensibile alla questione. Ed è evidente che il nuovo esecutivo italiano ha un disperato bisogno di consenso, se vuole sopravvivere a un futuro confronto con la Lega di Matteo Salvini che presto o tardi dovrà avvenire. Il governo appena concluso aveva promesso di realizzare un cambiamento sociale, quello nuovo promette di evitare il cambiamento climatico: ecco, speriamo che in questo caso vada un po’ meglio.
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