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Sport

Mkhitaryan e la geopolitica nel calcio

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Arnaldo Figoni

Parafrasando José Mourinho: chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio. Recitava così lo Special One, in una delle tante frasi che lo hanno reso celebre anche al di fuori del campo da gioco. Effettivamente è così. Spesso il calcio è stato condizionato da fattori esterni che hanno segnato la storia. Tutto ciò si estende a tutte le discipline, non solo al calcio. Un esempio pratico – e anche abbastanza appropriato visto il periodo – è la Coppa del Mondo di Rugby del 1995. Era la prima manifestazione a cui gli Springboks partecipavano dopo la fine dell’Apartheid: in questo caso, lo sport è stato un veicolo di unione tra i sudafricani di etnia bianca e quelli autoctoni. Il torneo giocato in casa ha unito tutto il popolo sudafricano senza distinzione nello spronare la propria nazionale di rugby, che storicamente era lo sport dei “bianchi”. Abbandonando il pallone ovale per passare a quello sferico che conosciamo molto di più, ci sono delle situazioni simili che hanno condizionato l’andamento di eventi sportivi. Andremo a scoprire alcuni casi in cui, attraverso lo sport, si può rappresentare chiaramente la geopolitica di un determinato luogo in un certo periodo storico. Alcune volte la partita si è dimostrata essere solo un pretesto per un qualcosa di molto più grave, altre volte una partita può ricordare cose successe precedentemente. Anche recentemente, la geopolitica ha influenzato eventi sportivi importantissimi, come ad esempio l’esclusione di Henrikh Mkhitaryan dalla scorsa finale di Europa League, per questioni legate alla nazionalità armena del giocatore. Come avremo modo di vedere, sono numerosi i fattori che possono incidere, condizionando l’andamento di una partita di calcio. Non solo situazioni “alla Mkhitaryan”, in cui un giocatore non viene schierato per scelta, ma anche situazioni molto più gravi.

Tra i tantissimi esempi che si possono fare di queste vicissitudini, viene immediatamente alla mente il mondiale del 1974 nella Germania Ovest. La prima grande manifestazione che veniva organizzata dopo le olimpiadi di Monaco, ricordata non solo per gli eventi sportivi, ma anche per quello che è passato alla storia come il Massacro di Monaco di Baviera. Persero la vita diciassette persone, di cui undici atleti israeliani, per mano di un commando palestinese, facendo passare totalmente in secondo piano l’aspetto sportivo. La Coppa del Mondo di calcio del 1974 è ricordata particolarmente non solo per quella che fu la nascita del mito dell’Olanda di Cruijff e del calcio totale, ma anche per altre partite come lo scontro con la Germania Est. Nella fase a gironi di quel mondiale le due nazionali si trovarono l’una contro l’altra per giocarsi la vittoria del proprio raggruppamento. Le due Germanie non si erano mai incontrate prima, ed è stata l’unica occasione in cui hanno giocato l’una contro l’altra. Una partita surreale, dato che la divisione e la rivalità tra le due nazionali era perlopiù politica. In occasione di quella partita, furono concessi molti visti turistici per attraversare il muro, che di solito non era consentito. Un match giocato principalmente dalla Germania Ovest, che dominò la partita, senza però riuscire a segnare. Alla fine a spuntarla furono “gli ospiti”, che misero a segno il gol partita con Sparwasser verso la metà della ripresa.

Il gol di Jurgen Sparwasser contro la Germania Ovest, nell’unico scontro tra queste due nazionali ad un mondiale di calcio. Foto: Getty Images.

Non fu l’unico precedente in cui la geopolitica, o comunque un fattore extra-campo, condizionò una partita di calcio. Sempre a proposito dello stesso Mondiale del 1974 viene subito alla mente il caso dello Zaire, alla prima partecipazione in assoluto a una rassegna mondiale. In quel periodo storico, la nazionale che prese parte al mondiale del 1974 era una un fiore all’occhiello del calcio africano. Nel 1968 infatti lo Zaire si laureò campione d’Africa, per ripetersi una seconda volta proprio nel 1974, pochi mesi prima di prendere parte al suo primo mondiale. In occasione della seconda vittoria in Coppa d’Africa, l’allora presidente Mobutu incensò i giocatori, premiandoli con un lauto compenso di denaro. Erano effettivamente diventati gli eroi del paese. Ma del resto, nel gioco del calcio, passare dall’essere eroi al diventare qualcosa di negativo è un attimo. È esattamente il destino dei giocatori dello Zaire, che in quel mondiale non segnarono neanche un gol. Vennero sconfitti per 2-0 dalla Scozia alla prima partita del proprio girone, per poi subire una vera e propria batosta da parte della Jugoslavia: la partita finirà 9-0, la sconfitta con maggior scarto di gol mai subita da quel movimento calcistico. Dopo quella partita assolutamente da dimenticare per lo Zaire, lo stesso dittatore Mobutu minacciò i giocatori dicendo loro che se avessero perso per più di tre reti a zero contro il Brasile, non sarebbero più tornati a casa. Sul risultato di 3-0 per i verdeoro, l’arbitro assegna un calcio di punizione proprio per il Brasile, con Rivelino di fronte al pallone. Inspiegabilmente, il difensore zairese Mwepu si scaglia sul pallone, calciandolo lontano dal punto di battuta. Il giocatore viene ammonito tra lo sconcerto dei brasiliani, che ridono dei loro avversari. L’impressione è che i giocatori non conoscano seriamente le regole del gioco, fatto sul quale anche i giornali ironizzarono parecchio. La verità sul gesto di Mwepu venne a galla molti anni dopo, su come da quel calcio di punizione dipendesse la sua vita e quella dei suoi compagni di squadra. Il giocatore, spaventato, cercò in tutte le maniere di salvarsi la vita. Al ritorno in patria, i giocatori dello Zaire vennero additati come “persone non gradite”.

Molte situazioni geopolitiche vanno inevitabilmente a condizionare quello che è stato lo sport. Prima la partita tra le due Germanie, poi Mobutu che cercava di usare la Nazionale dello Zaire per promuovere la sua immagine di leader del paese. Ci sono anche altri casi in cui anche semplicemente delle pressioni da fattori extra-campo possono intervenire su quello che è il gioco in sé. Gli incidenti della partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado sono passati alla storia per essere stati uno dei motivi scatenanti di una lunga serie di conflitti nei balcani, segnando la fine della Jugoslavia. Quello che era un normale scontro tra tifoserie rivali è sfociato in una vera e propria guerriglia tra due fazioni opposte miste alla polizia. Le due tifoserie infatti rappresentavano sì le due squadre rivali tra loro, ma anche due movimenti nazionalisti. Da una parte, i croati che erano a favore di una propria indipendenza fuori dalla Jugoslavia, dall’altra i celebri Delije, fedeli a Slobodan Milosevic e comandati da Zeljko Raznatovic, meglio conosciuto Arkan la tigre. Non solo elementi extracalcistici, ma anche situazioni antecedenti – e anche mai vissute da certi calciatori – possono condizionare partite di calcio. Sono i casi di Henrikh Mkhitaryan e Merih Demiral. Il primo, neo-acquisto della Roma dalla finestra di calciomercato estivo, nell’ultima finale di Europa League sorprendentemente non prese parte alla trasferta. Non fu  la prima volta che Mkhitaryan non prese parte a trasferte in Azerbaijan. Il motivo riguarda perlopiù la sua forte appartenenza all’Armenia, oltre al fatto di essere un simbolo dello stesso stato nel mondo. Mkhitaryan inoltre nel lontano 2011 consegnò doni ai familiari dei caduti della guerra del Nagorno Karabakh, conflitto che si svolse nella prima metà degli anni Novanta tra Armenia e Azerbaijan. La prima occasione in cui Heno – come veniva chiamato in Germania – non prese parte a una trasferta, fu quando giocava al Borussia Dortmund.

Henrikh Mhkitaryan in forza al Borussia Dortmund. Il trequartista armeno nella recente finestra di mercato è arrivato nel calcio italiano. Giocherà nella Roma. Foto: Getty Images.

Non è stata l’unica volta in cui Mkhitaryan non prese parte a una trasferta in Azerbaijan. Una situazione simile si ripeté con la maglia dell’Arsenal per due volte, rispettivamente contro il Qarabag nell’Europa League 2018 e successivamente per la finale di Baku giocata nello scorso maggio contro il Chelsea: in quel caso fu la stessa società a non voler portare Mkhitaryan per risparmiarlo da una partita in cui sarebbe stato inevitabilmente bersaglio del pubblico. Una situazione simile, ma di minore importanza, è stata quella di Merih Demiral. Il centrale ex-Sassuolo ora in forza alla Juventus stava vivendo una situazione simile nella tournée estiva in Asia. I bianconeri, tra le tante partite giocate in Estremo Oriente, avevano in programma una partita a Nanchino contro la nuova Inter di Antonio Conte. In quel caso, il centrale turco ebbe problemi legati alla concessione del visto, dato che i rapporti tra Turchia e Cina non sono proprio rosei, dovuti alla repressione degli uiguri, una minoranza turcofona presente nel nordovest della Cina. A differenza degli altri giocatori bianconeri, Demiral stesso sarebbe dovuto andare a richiedere il documento direttamente a un’ambasciata cinese. Tutto però si risolse. Il centrale bianconero alla fine riuscì a prendere parte alla trasferta di Nanchino, segnando il rigore decisivo per la vittoria della Juventus ai rigori nelle prime uscite stagionali dei bianconeri. Come abbiamo avuto modo di vedere ci sono tanti casi in cui anche la semplice appartenenza a un paese può condizionare la presenza di giocatori più o meno determinanti ai fini del risultato. Certo non è detto che l’Arsenal con Mkhitaryan in campo avrebbe vinto, ma se non altro avrebbe avuto una soluzione in più.

Merih Demiral esulta con Cristiano Ronaldo dopo aver segnato il rigore decisivo nel derby per eccellenza del calcio italiano, per l’occasione, a Nanchino. Foto: Getty Images.
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