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Sport

Sahar voleva solo vedere la partita

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Carlotta Betti

In seguito alla Rivoluzione del 1979, ad opera dello sciita Ruhollah Khomeini, in Iran alle donne è stato proibito l’accesso agli stadi, in modo da proteggerle dalle volgarità del linguaggio e dalla vista degli uomini in abiti troppo rivelatori. Negli ultimi anni, però, al di fuori delle sedi di potere, la società iraniana sta attraversando un periodo di grandi cambiamenti. Per questo motivo, sempre più spesso le appassionate di calcio si travestono da uomini per assistere alle partite dal vivo.

Sahar Khodayari, Blue Girl

Sahar Khodayari aveva ventinove anni e amava il calcio. Lo amava al punto da sfidare la legge. Lo scorso 12 marzo, in Asian Champions League, allo stadio Azadi andava in scena la sfida tra l’Esteghlal di Teheran e gli emiratini dell’Al-Ain. Da qualche parte, in mezzo alla folla, c’era anche Sahar. Nascosta sotto trucco e abiti da uomo, certo. Ma era lì. Vestita di azzurro, come la sua squadra. Aveva eluso la sorveglianza ed era riuscita a prendere posto sugli spalti, dove una foto la ritrae. Una breve illusione di libertà, prima che le guardie la notassero e la arrestassero.

Sahar viene rilasciata su cauzione, ma il primo settembre, data fissata per la sua udienza (durante la quale non le viene concesso nemmeno il privilegio di un avvocato difensore), le viene comunicato che molto probabilmente dovrà scontare una pena di sei mesi presso il carcere femminile di Qarchak, dove le condizioni di vita sono notoriamente pessime.

Sahar ritira il suo telefonino, fino ad allora sotto sequestro, ed esce dal tribunale. Una volta fuori, estrae una bottiglietta di liquido infiammabile, se ne cosparge e si dà fuoco. Viene ricoverata con ustioni di terzo grado sul novanta per cento del corpo e gravi danni a un polmone. Morirà dopo nove giorni di sofferenze, nella notte tra il 10 e l’11 settembre. «Un giorno, uno degli stadi più grandi della capitale si chiamerà Blue Girl», scrive il giornalista Mohammad Mosaed, in un tweet in ricordo di Sahar. «Anche se noi non ci saremo più, i nostri figli ricorderanno la tortuosa strada che abbiamo dovuto percorrere per ottenere i nostri più essenziali diritti umani».

Le reazioni e le accuse alla FIFA

Nel marzo 2018, Gianni Infantino (presidente della FIFA) aveva incontrato il Presidente iraniano Hassan Rouhani. Infantino annunciò di aver ricevuto rassicurazioni riguardo un imminente provvedimento che avrebbe permesso alle donne di assistere agli incontri di calcio maschile. Già allora l’associazione OpenStadiums, che si batte per il libero accesso delle donne agli stadi, aveva lanciato un appello affinché la FIFA verificasse che quanto detto venisse effettivamente applicato. «Mentre il signor Infantino si godeva la partita in uno stadio riservato agli uomini», si legge in un tweet risalente a quel periodo, «le tifose iraniane erano in carcere». Scetticismo più che comprensibile, considerando che nel 2013 la Federazione iraniana aveva fatto le stesse promesse a Sepp Blatter (predecessore di Infantino). Lo stesso Rouhani ha spesso dichiarato di voler abolire il divieto che, a suo dire, permane unicamente a causa delle frange clericali più estremiste.

Nei giorni scorsi, la FIFA ha diramato un messaggio di vicinanza alla famiglia di Sahar, reiterando la richiesta alle autorità iraniane di “garantire libertà e sicurezza alle donne coinvolte in questa battaglia giusta”. Questo non è stato sufficiente a placare lo sdegno dei social. Tra le celebrità a prendere posizione, anche il capitano della Nazionale iraniana Masoud Sojaei. «Questa è stata la vittoria più triste della Nazionale», ha scritto sul proprio profilo Instagram in seguito alla vittoria di martedì su Hong Kong. «Abbiamo vinto sul campo, ma abbiamo perso fuori perché Sahar non è più tra noi. Mi vergogno di non aver fatto nulla per evitarlo, e si vergognino anche tutti coloro che hanno tolto questo diritto a Sahar e a tutte le Sahar».

Nel frattempo, Mahmoud Vaezi, il Capo di stato maggiore iraniano, ha dichiarato che a breve saranno create negli stadi aree adibite appositamente a ospitare le donne, per proteggerle dal linguaggio scurrile degli altri tifosi.

Zeinab, una delle tifose costrette a mascherarsi da uomo per entrare allo stadio, in un furgone della polizia in seguito al suo arresto.

La silenziosa resistenza delle “donne con la barba”

La storia di Sahar non è un caso isolato. Zeinab Sahafi è una tifosa del Persepolis, la squadra rivale dell’Esteghlal. A unire le due ragazze è però la lotta alle imposizioni patriarcali che devono subire. Zeinab è una delle “donne con la barba”, come vengono definite in Iran le tifose che si travestono da uomo per assistere alle partite di calcio. È Forough Alaei, fotoreporter iraniana vincitrice del primo premio per la categoria Sport nell’edizione del 2019 del contest indetto dalla World Press Photo Foundation, a raccontarne la storia. Nelle descrizioni degli scatti di Forough si legge dei lunghi preparativi cui le donne appassionate di calcio devono sottoporsi per tentare di eludere i controlli. «Mia madre è la mia prima sostenitrice» racconta Zeinab, «è stata lei a insegnarmi a fasciarmi il seno. Siamo costrette a farlo per non essere scoperte durante le perquisizioni all’ingresso».

Il prezzo da pagare va ben oltre quello del biglietto: il trauma e l’umiliazione del dover cambiare il proprio aspetto sono narrati in maniera straziante, post dopo post, nel profilo Instagram di Zeinab. Qui, qualche giorno fa, è comparso anche un tributo a Sahar. Nella foto, il suo corpo bendato in un letto d’ospedale. E, in allegato, un ultimo saluto a una sorella che non aveva mai incontrato. «Vi è mai successo di non voler credere a certe notizie?» scrive. «Bisogna alzarsi la mattina, svegliarsi… e andare a combattere sullo stesso fronte». Infine, due cuori: uno rosso come il Persepolis e uno blu come l’Esteghlal. Nella speranza che le tifose iraniane, quando vanno allo stadio, possano presto preoccuparsi soltanto del risultato della partita.

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Carlotta Betti

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