Il mondiale di basket 2019 svoltosi in Cina può essere tranquillamente definito come pieno di sorprese: guardando allo svolgimento dell’intera manifestazione, non bisogna rimanere troppo sorpresi dalla vittoria della Spagna, squadra quotatissima ed espertissima, ma l’accento della riflessione va posto sicuramente sulle sorprese negative. Difatti le due squadre più attese, gli Stati Uniti degli “alieni” e la Serbia degli “invincibili” hanno incredibilmente fallito entrambe quello che il mondo si aspettava come obiettivo minimo dalle due compagini, ovvero il raggiungimento della finale. Bisogna dunque allargare la lente dell’analisi, guardando a più elementi e non limitandosi alla sola celebrazione della vittoria spagnola, senza però sminuire minimamente l’incredibile percorso fatto dai ragazzi di Sergio Scariolo, che li ha portati sul tetto del mondo.
Il mondiale di basket “latino” che glorifica la solidità di squadra
Sicuramente il dato più indicativo di questo mondiale è stato il trionfo della solidità di squadra e dell’organizzazione tattica sulla forza dei singoli, che non sempre riescono a risolvere le sfide decisive, soprattutto in una manifestazione a torneo con una fase di più partite ad eliminazione diretta; un’altra chiave di lettura è stato il dominio dell’esperienza sull’irruenza della gioventù, che spesso si specchia troppo nella sua bellezza e perde di concretezza. Utilizzando questi due elementi di analisi, si può dare uno sguardo più attento all’andamento del torneo e delle squadre più quotate: si può partire dalla squadra vincitrice del mondiale, ovvero le furie rosse, che hanno battuto in finale l’Argentina. Squadra esperta e molto ben composita, è stata guidata dalla straordinaria intelligenza cestistica ed esperienza acquisita in NBA di Ricky Rubio e Marc Gasol: il primo è stato indubbiamente la rivelazione del torneo, non per le capacità già note ma per la costanza di rendimento tenuta e l’elevazione del proprio gioco che ha sorpreso tutti gli amanti del basket.
L’attuale playmaker dei Phoenix Suns non ha mai mancato di mostrare il suo ottimo talento cestistico, ma non era ancora riuscito ad innalzare il proprio gioco e il proprio bagaglio tecnico in modo da poter diventare un leader e una guida per il resto della franchigia. In questo mondiale Rubio è stato entrambe le cose, tanto da venire premiato in maniera straordinaria con l’MVP della finale e soprattutto MVP del mondiale; la dimostrazione di questo salto di livello lo si può riscontrare già nelle stats del playmaker: 16.4 punti, 6 assist e 4,6 rimbalzi di media nel mondiale di basket sono delle medie di alto profilo, ancora di più se pensiamo che il giocatore dei Suns ha come career high in NBA di 13.1 punti di media. Rubio però è stato assistito nel ruolo di guida per la le furie rosse dall’altro fenomeno della squadra, che ha sempre giocato con l’ombra del fratello Pau, ma ha mostrato di avere le doti da fenomeno regalandosi in 4 mesi il titolo NBA con i Toronto Raptors e il mondiale con la sua Spagna; il giocatore in questione è Marc Gasol, leader emotivo e tecnico della squadra, che ha mostrato le sue enormi qualità nei momenti decisivi, innalzando soprattuto le sue medie da oltre l’arco nella semifinale e nella finale contro l’Argentina. Proprio guidato da Gasol, il reparto dei lunghi della Spagna è stata predominante e decisiva: Rudy Fernandez, Pau Ribas, Victor Claver, i fratelli Hernangomez Juancho e Willy, con la loro esperienza tra Eurolega e NBA (Juancho e Willy) hanno mostrato come l’applicazione di squadra e la conoscenza del gioco siano fondamentali, tramutando tutto ciò in un dominio difensivo e tattico che hanno messo sotto scacco l’Argentina che aveva battuta la Grande Serbia nei quarti e la Francia in semifinale.
Proprio la nazionale albiceleste è l’altra grande protagonista di questo mondiale e forse la sorpresa più grande per il suo secondo piazzamento, dove al suo posto tutte le previsioni ponevano le più quotate Serbia e Stati Uniti; il cuore latino e l’ordine tattico anche in questo caso hanno predominato su una fisicità superiore e un età media inferiore nei quarti di finale con la nazionale dell’est Europa. I due spiriti guida dell’Argentina sono stati il playmaker Facundo Campazzo e il centro Luis Scola, i quali hanno concluso la manifestazione con medie straordinarie tra cui spiccano i 17.3 punti di media di Scola e i quasi 8 assist di media di Campazzo. Proprio contro la Serbia degli invincibili il play ventottenne e il centro trentanovenne hanno innalzato il loro gioco, aiutati dall’organizzazione di squadra, chiudendo rispettivamente i quarti con 18 e 20 punti. Scola ha poi trovato il suo gioco ottimale nella vittoria 80-66 sulla ottima Francia delle stelle NBA Gobert e Fournier, con 28 punti messi a referto. Dunque il bilancio mondiale dell’Albiceleste è sicuramente positivo, avendo spinto le aspettative iniziali ben oltre il previsto.
L’altra squadra che ha piacevolmente sorpreso se stessa e il mondo del basket è quella dei Boomers australiani, guidati dal playmaker dei San Antonio Spurs Patty Mills: il trentunenne di Canberra ha guidato la sua nazionale con una media punti da NBA, 22.8 punti, guidando la classifica marcatori dell’Australia assieme al resto del blocco NBA, composto dalle guardie Dellavedova e Ingles e i due centri Baynes e Bogut. Proprio il reparto dei lunghi è stato protagonista in questo mondiale, come già detto per la Spagna campione, anche per l’Australia l’estrema duttilità dei suoi due centri è stata fondamentale: presenza a rimbalzo sotto canestro, grandi doti da passatori (Bogut spicca in questa caratteristica) insolite per un centro, e come ogni moderno centro anche discrete percentuali di tiro oltre l’arco. I Boomers si sono così spinti fino alla semifinale di questo mondiale di basket dove hanno lasciato il passo alla Spagna poi campione, ma questo non fa altro che avvalorare l’enorme prestazione messa in campo dalla nazionale oceanica.
Il mondiale di basket dei singoli che non ha pagato: la disfatta di Serbia e USA
Prima di occuparsi del deludente mondiale di basket delle due “favorite”, bisogna fare una menzione all’altra nazionale europea che ha tenuto alto il nome del vecchio continente, arrivando ad un’eccellente semifinale, ovvero la Francia. La compagine transalpina trascinata dai due NBA Fournier e Gobert, e dall’ala grande del CSKA di Mosca De Colo, è stata autrice di una delle due vittorie sulle due corazzate favorite, iscrivendo al taccuino delle sue vittime gli alieni provenienti dall’altra parte dell’Atlantico. Infatti proprio nei quarti di finale si è consumata la disfatta degli Stati Uniti, che sono stati sconfitti anche qui dalla solidità di squadra e dall’esperienza, grazie soprattutto al dominio sotto canestro dei lunghi francesi (De Colo, Batum, M’Baye) che hanno ingabbiato il gioco statunitense. Sicuramente la Coppia Fournier-Gobert con rispettivamente 22 e 21 punti messi a referto hanno dato il la ad una solidissima vittoria della nazione europea, la quale poi ha dovuto cedere il passo alla passione e all’energia del corazon albiceleste di Campazzo e Scola in semifinale.
Sarebbe ampia la parentesi da aprire sulla grande delusione di questo mondiale di basket, ma appare chiaro che gli Stati Uniti che abbiamo visto non sono che un parente lontano della miglior formazione immaginabile. Una nazionale che vanta nomi di All-Star NBA come Curry, James, Harden, Westbrook, solo per citare i più noti, ha tuttavia accettare i continui rifiuti durante l’estate da parte da parte delle stelle più brillanti, i quali hanno declinato la chiamata in nazionale per focalizzarsi nella off-season in vista della prossima stagione NBA; dunque Coach Popovich, nonostante la sua immensa conoscenza del gioco e strabiliante abilità nel tirare fuori il meglio da qualsiasi giocatore, si è trovato tra le mani una nazionale di talento, ma estremamente inferiore alle potenzialità massime. Gli USA sono stati guidati dal playmaker degli Utah Jazz, Donovan Mitchell, il più brillante in questo mondiale con i suoi 13,1 punti di media e 5 assist; assieme alla giovane stella di Utah hanno spiccato per iniziativa e spirito il neo-acquisto dei Boston Celtic Kemba Walker (14,1 punti di media) e il suo compagno Jason Tatum (10,5 punti di media), ma purtroppo il resto della compagine non è sembrata seguire il loro esempio. Pop non è riuscito a rodare una squadra che deficitava di alto talento soprattutto nel reparto lunghi (come già detto decisivo nel mondiale) con Brooke Lopez come unico elemento di spicco, anche grazie alla ottima stagione con i Milwaukee Bucks. Lo stesso Lopez ha tuttavia deluso (Plumlee e Turner non erano alternative più valide), ma anche gli esterni USA non hanno dato il loro contributo, dove Middleton, Brown e Barnes (il più positivo con 11,6 punti di media) non sono riusciti a incidere soprattutto oltre l’arco, tenendo gli USA nella percentuale da 3 punti sotto la mediocre soglia del 35% in tutto il mondiale. Dunque nonostante i grandi nomi, avendo l’allenatore più vincente degli ultimi 20 anni in NBA e giovani di alto potenziale, il gioco statunitense non ha scalfito la solidità della Francia, relegando gli USA allo scarso risultato dei quarti di finale.
Concludendo l’analisi delle delusioni di questo mondiale, si arriva a quella più grande di tutte, la Serbia. Se per gli USA si può utilizzare la giustificazione della mancata partecipazione dei top player per loro volontà, la Serbia non ha altrettanta giustificazione dato che il suo roster era potenzialmente il più completo e dominante di tutti. Mentre molte altre nazionali vantavano 3/4 prime punte (vedere la nostra nazionale con i soli Belinelli, Gallinari, Hackett e Datome di alto profilo), la Serbia aveva sicuramente la compagine più completa, avendo 5 e più giocatori di talento sopraffino. Sin dai gironi (l’Italia l’ha vissuto sulla propria pelle) era evidente a tutti la superiorità fisica della squadra serba: un reparto lunghi che comprende forse il centro più forte dell’NBA come Nikola Jokic (2,13 m), altre stelle NBA quali Boban Marjanovic (2,21 m) Nemanja Bjelica (2,08 m) e giocatori di esperienza come Raduljica (2,13 m). Il gioco del Coach Sasha Djordjevic ha messo in risalto lo strapotere fisico che però è accentuato dall’enorme qualità tecnica che posseggono i lunghi serbi (atipico per corpi così massicci): la media oltre i 10 punti di Jokic e Bjelica sono già un indizio, ma impressiona soprattutto la percentuale oltre l’arco della squadra, che ha tenuto la incredibile media del 40,5% da 3 punti, anche grazie agli esterni serbi come Jovic, e soprattutto il leader tecnico della Serbia Bogdan Bogdanovic. Il giocatore dei Kings ha tenuto medie da MVP, con 22,9 punti di media (top scorer della Serbia) 4,4 assist e 4,1 rimbalzi e lo straordinario 53% da 3 punti, con alcune prestazioni monster come quella contro la Repubblica Ceca (31 punti) con 7/13 oltre l’arco. Ma il solo Bogdanovic non è riuscito a guidare la sua nazionale oltre l’Argentina, nonostante i suoi 21 punti, poichè la squadra di Djordjevic si è lasciata guidare dal solo talento dei singoli che, come per gli USA, non è bastato a sovrastare l’organizzazione di squadra e nel caso serbo l’exploit di Scola e Campazzo (20 e 18 punti rispettivamente). Dunque il bilancio di questo mondiale mostra quello che è stato il predominio del collettivo sul singolo e dell’esperienza sulla fisicità e la freschezza dovuta alla giovane età, poichè nel basket come in nessun altro sport, la conoscenza del gioco e la lucidità nei momenti decisivo della sfida sono decisivi.