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Sememeotica, parte quinta: l’Alt-Right e la politica online

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Laura Valentini

Questo è il quinto articolo di “Sememeotica: perché il meme dominerà la politica”. Un viaggio nella storia dei meme, dalla rivoluzione comunicativa di Internet al loro impatto sulla politica e sulla nostra vita. L’autrice, Laura Valentini, è laureata in Scienze della Comunicazione – curriculum politico-istituzionale all’Università di Roma Tor Vergata. La presente serie prende spunto dalla sua tesi di laurea.

Gli articoli precedenti:
Parte prima: la rivoluzione Internet
Parte seconda: l’epidemia social
Parte terza: il meme, linguaggio della Rete
Parte quarta: il Meme Politico


Ironia che si ciba di politica che si ciba di ironia. Quale modo migliore per raccontare questo meccanismo se non riferendoci a quel luogo virtuale dove ironia (appunto), cinismo e humour nero la fanno da padrone? Nel capitolo sul meme, in tal senso, è già stata trattata la storia di 4chan e l’importanza fondamentale che le sue board, /b/ in particolare, rivestono nella community globale. Con questo installment odierno verrà fatto un ulteriore passo in avanti, verso la comprensione della prominenza politica che l’imageboard di moot e la sua subcultura figlia, la Chan Culture, hanno ricoperto nel plasmare non solo il linguaggio memico, ma tutta la struttura sociale della Rete, contribuendo alla creazione di sue esclusive frange estreme, prima fra tutte l’Alt-Right.

Questa, come i loro avversari Liberals, sono stati capaci, con la loro particolare veemenza assunta nel linguaggio e la tendenza a ipersemplificare i problemi riducendoli tutti a un top text/bottom text, di sfociare nella politica mainstream e influenzarla, cambiando un risultato politico da tutti dato per certo.

La brutalità della Chan Culture

La Chan Culture, come descritta da Jay Allen in How Imageboard culture shaped GamerGate, ha come perno centrale il concetto di anonimità, il quale giustifica le persone a tirare fuori sé stesse, sia nei lati positivi che in quelli negativi, senza curarsi delle ripercussioni che tale atteggiamento può portare con sé. Di conseguenza è normale che gli utenti concepiscano come assoluto il principio della libertà di espressione e di pensiero, e che percepiscano il loro ambiente in maniera così personale da vedere in ogni newfag una minaccia da stanare.

Nella Chan Culture chiunque può cambiare idea senza essere preso per incoerente, e qualsiasi argomento di conversazione può suscitare consenso o essere preso come ironico (come da ossequio alla regola n° 20 di Internet); da qui si può evincere come mai gli utenti abituali di 4chan, i channers o anons, mostrino una natura litigiosa, strafottente e nichilista, guidata dal desiderio di colpire chiunque for teh lulz.

La scissione di Anonymous

Ma non solo: 4chan e la sua controcultura hanno dato vita al movimento di hacker che più ha fatto tremare le postazioni informatiche di tutto il mondo, ovvero Anonymous. Alessandro Lolli, in La guerra dei meme (2017), riporta un estratto di un comunicato risalente al 2007 –disponibile su YouTube in cui è palese come le azioni dei primi hacker facenti parte del movimento fossero mossi più da uno spirito goliardico animato da una punta di cinismo che dalla totale abnegazione verso l’idea di un mondo migliore. Del resto, persone che sostengono di essere “l’incarnazione di un’umanità che non ha rimorso, compassione o amore, priva di ogni senso di moralità” danno da subito l’idea di essere usciti direttamente dalle discussioni di /b/.

Come siamo dunque arrivati ad un movimento capace di far tremare le più potenti organizzazioni terroristiche del nostro tempo? Semplice: lo spirito rivoluzionario, unito alla presa di consapevolezza dei potenti mezzi a propria disposizione, ha preso il sopravvento sull’originale anima goliardica, spingendo gli Anonymous agli attacchi su scala mondiale che ben conosciamo e a collaborare con le autorità statunitensi per decimare le forze dell’ISIS nella Darknet.

L’accentuata politicizzazione del movimento e il politically correct che ne ha invaso le fila hanno inorridito gli ambienti originari della Chan Culture, e gli hacker ancora legati al vecchio spirito cinico degli Anonymous dei primi tempi si distaccarono nel 2011, fondando LulzSec, un gruppo concorrente che sceglie gli obiettivi dei suoi attacchi semplicemente in base al potenziale comico che ne potrebbe scaturire, for teh lulz insomma.

/pol/, l’ala destra della Rete

Parallelamente, quasi in reazione allo strappo di Anonymous con la sua cultura di partenza, in 4chan si respirava l’aria di una progressiva svolta a destra, concentrata in una nuova board, posta al centro dell’attenzione dei media mainstream specialmente dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane del 2016. 

/pol/ – Politically Incorrect nasce per mano di moot nel 2011. La sua funzione originaria era quella di rimpiazzare la board /new/ –nata l’anno precedente e dedicata alla discussione sulle notizie provenienti da tutto il mondo–, ormai pervasa da contenuti razzisti. Come in /new/, qui gli utenti possono trattare di notizie, fatti dal mondo, problemi politici ed altri argomenti correlati.

La board si presenta come una parte estremamente politicizzata di /b/, gestita da moderatori fermamente credenti nella libertà di espressione e di pensiero. In un primo periodo gli utenti legati alla board si dedicarono esclusivamente alla discussione interna, allo shitposting e a piccoli atti di provocazione sfociati nel web mainstream. Con delle premesse del genere non c’è da stupirsi del fatto che /pol/ si sia riempita in breve tempo di razzisti inneggianti alla white supremacy, complottisti e militanti legati a ideali di estrema destra (i quali amano definirsi /pol/acks), seguendo la parabola storica di LUE.

L’Alt-Lite, anima politica di /pol/

Sin qui nulla di eccessivamente diverso da ciò che abbiamo già asserito su 4chan e la sua utenza in generale, ma Angela Nagle in Kill All Normies (2017) ci fornisce un’esaustiva panoramica su come /pol/ e la sua anima razzista siano state legittimate da un movimento nato e cresciuto interamente online: l’Alt-Light, anche chiamata Alt-Lite.

Costituito da giovani bloggers e youtubers, tale corrente di pensiero ha fatto da ponte tra /pol/ e i sostenitori di Trump fuori dal web, con i loro articoli contro le identity politics che tra i blog su Tumblr e gli articoli su Buzzfeed.com dettavano legge.

Il perno centrale attorno cui ruota la filosofia politica dell’Alt-Lite è ripreso dalle idee della Nouvelle Droite francese, la quale riuniva l’opposizione al multiculturalismo, la preoccupazione per il declino dell’Occidente ed il rifiuto nei confronti del Capitalismo. Inoltre rifiutava l’idea di una rivoluzione politica capace di rovesciare le élites e le avanguardie radicate, facendo proprio l’adagio di Antonio Gramsci secondo cui il cambiamento politico è conseguente ad un cambiamento sociale e culturale.

I ragazzi che si identificavano in questa posizione sono stati capaci di svelare le contraddizioni della narrativa liberal che spopola nei social, anche tramite piattaforme come Vice.com e Breitbart.com, creando una controcultura politica capace di influenzare sia Internet che la TV e la narrativa politica della destra americana tramite le sue personalità carismatiche e i suoi articoli al vetriolo.

Alt-Right, l’intelligencija memica di 4chan

Ovviamente tutto ciò non poteva rimanere estraneo alle genti di /pol/ che, riconoscendosi nelle posizioni dei Gramscians of the alt-light, come li chiama la Nagle, supportavano le loro idee diffondendole in tutta 4chan –e di conseguenza nei social media– attraverso dei memini di supporto, i quali costituiscono quel fitto labirinto di significati ironici e di in-jokes in cui si dispiega la rivoluzione culturale propagata dall’Alt-Lite.

Dalla combinazione della sua forza intellettuale con lo spirito e il linguaggio memico di /pol/ nasce l’Alt-Right, termine che, secondo la stampa e gli ambienti politici mainstream, include quei fenomeni di destra nati online dal più “moderato” Breitbart a 4chan, fino a siti neonazisti come Stormfront.com. In realtà alt-right è un in-joke coniato dai militanti del movimento stesso, il quale connota tutte quelle subculture votate alla supremazia della razza bianca.

È Milo Yiannopoulos, ex editor di Breitbart e personalità chiave dell’avvenuta unione tra Alt-Lite e Chan Culture, a chiarirci meglio quali siano i focus della neonata forza politica in un articolo dal titolo An Establishment Conservative’s guide to the alt-right, considerabile a pieno titolo come il Manifesto intellettuale del movimento. Milo separa l’Alt-Right dai neonazisti, descrivendo questi ultimi come teppisti poco informati guidati solo dal brivido della violenza e mettendoli sullo stesso piano di «quei sostenitori di Black Lives Matter che invocano la morte dei poliziotti o quelle femministe che vogliono uccidere tutti gli uomini (#KillAllMen) non ironicamente, ma i media, mentre fanno finta che questi ultimi non esistono o sono una parte minoritaria estremista, pensano che l’alt-right sia costituita interamente da neo-nazi».

Le origini intellettuali dell’Alt-Right secondo Milo Yiannopoulos

Al contrario da ciò che il mainstream sostiene, tale fazione fa capo a giovani brillanti e intelligenti, e Milo ne rintraccia le origini sia nella già citata Nouvelle Droite sia in personalità del calibro di: 

  • Oswald Spengler, per la sua visione di declino dell’Occidente;
  • Henry Louis Menchken, per la sua satira pungente ed il suo spirito da bastian-contrario15;
  • Julius Evola, per la sua idea di “razzismo spirituale” secondo cui l’appartenenza ad una razza si individua prima di tutto sulla base di caratteristiche spirituali (ovvero tendenze ed attitudini comuni), le quali si manifestano attraverso le caratteristiche fisiche;
  • Samuel Todd Francis, giornalista del Washington Times famoso per le sue posizioni suprematiste, considerato come uno degli intellettuali più influenti dell’estrema destra americana;
  • Pat Buchanan, ex consigliere dei presidenti Nixon, Ford e Reagan e commentatore politico di orientamento paleoconservatore, contrario all’ideologia globalista e interventista dell’apertura dei confini. Durante tutta la sua carriera politica ha spinto per porre un freno alle politiche immigratorie degli Stati Uniti, e si è fatto notare per le sue aperte simpatie nei confronti di Adolf Hitler (pur attribuendogli l’errore di aver fatto nascere in seno alla razza bianca, grazie alla Shoah, il senso di colpa del razzismo e lo spirito politically correct tipico della politica contemporanea).

Le rivendicazioni degli alt-righters

Al giorno d’oggi l’intelligencija dell’Alt-Right si è concentrata intorno a figure come lo stesso Milo, il quale è stato in grado di rendere presentabile ai media mainstream persino le peggiori incarnazioni fasciste del movimento, Steve Bannon –che da direttore esecutivo di Breitbart è divenuto il capo stratega per la campagna elettorale di Trump e un membro di primo piano del Consiglio per la Sicurezza Nazionale statunitense– e in particolare Richard Spencer, giornalista americano, creatore del sito AlternativeRight.com e presidente del National Policy Institute, un think tank orientato alla supremazia della razza bianca. A lui va il merito di aver coniato il termine alt-right, ed egli stesso crede che tale movimento potrà porre le basi prima per una penetrazione culturale nella politica americana, poi per una deportazione dei clandestini con Trump, per giungere infine alla summa delle rivendicazioni dei suprematisti: la creazione di uno stato costituito interamente da popolazione bianca.

Il movimento osteggia apertamente la democrazia liberale, l’egualitarismo radicale e il multiculturalismo, ponendosi contro la sinistra ed i Repubblicani, percepiti come conservatori coinvolti nell’establishment economico. Tali persone, definite dai militanti dell’Alt-Right cuckservatives, hanno messo in pericolo la cultura occidentale in nome dell’economia e del mercato libero, aprendo le porte alla manodopera straniera per servire gli interessi delle corporazioni. La priorità del movimento è preservare gli interessi della propria società e porre un freno all’immigrazione, guardando alla propria cultura come una parte inseparabile dalla razza.

Il leitmotiv dell’Alt-Right: il meme è di destra?

Cosa c’entra tutto questo con i meme? Semplice: spinti dal feeling controcorrente e politically incorrect(!) che la retorica dell’Alt-Right trasmette, i channers si sono scatenati nella creazione di fad e in-jokes costituiti da un mix di riferimenti all’Olocausto, a pulizie etniche avvenute nel mondo, alla cultura pop o alla Chan Culture stessa, atti a sfidare le norme sociali semplicemente per il puro gusto di farlo. Tale combinazione tra memi e retorica ha creato un fenomeno di portata inimmaginabile, che ha condotto Donald Trump alla vittoria e che ancora è capace di far parlare di sé, nonostante con il tempo abbia esaurito il proprio potenziale. E a chi pensa che questo sia solo uno scherzo da ragazzini, Milo Yiannopoulos riserva questo pensiero estratto dal suo Manifesto politico: 

If you’re a Buzzfeed writer or a Commentary editor reading this and thinking… how childish, well. You only have yourself to blame for pompously stomping on free expression and giving in to the worst and most authoritarian instincts of the progressive left. This new outburst of creativity and taboo-shattering is the result.

Un Rare Pepe di impostazione Alt-Right
A volte è la loro stessa arma a ritorcersi contro di loro...

La contro-offensiva liberal all’Alt-Right

Ovviamente, l’ala liberal di Internet non poteva restare con le mani in mano e, assestandosi su social media come Twitter e, in particolare, Tumblr, ha iniziato un dibattito su quelle tematiche demonizzate dall’Alt-Right, come l’identità sessuale e di genere, il femminismo, la disabilità fisica, il concetto di multietnicità, il bullismo e i problemi mentali (come ansia e depressione).

Anche loro hanno avuto successo nel portare nel dibattito mainstream i loro temi, ma come è accaduto per l’Alt-Right hanno alzato i toni, facendo delle loro piattaforme preferite un coacervo di frange estreme che si scagliano giornalmente contro gli uomini, i bianchi, gli eterosessuali e le persone che si sentono a loro agio con loro stesse, accusandole di non essere in grado di comprendere quale sia il vero stato di disagio contro cui bisogna combattere.

Tale movimento, completamente opposto alla destra di 4chan, viene chiamato da Angela Nagle Tumblr-Liberalism, mentre i militanti dell’Alt-Right preferiscono affibbiargli gli appellativi dispregiativi di Social Justice Warriors (abbreviato in SJWs) o snowflakes. La politica del movimento, in accordo alle tendenze assunte dalla piattaforma nel tempo, è basata sull’esplorare la problematica dell’appartenenza di genere, fornendo ai propri militanti una vasta gamma di etichette in cui riconoscersi e un supporto emotivo contro i pregiudizi di una società che tende ad emarginarli.

Gender Troubles

Tale tendenza prende le mosse dalla filosofa statunitense Judith Butler che, in Gender Trouble, sosteneva che il genere sessuale non sia altro che un costrutto sociale radicato nell’uomo attraverso la ripetizione di atti corporei strutturati e lavorati ad hoc, creando l’illusione di un’appartenenza sia biologica che culturale.

È grazie a tale base che l’ideologia genderfluid di Tumblr ha potuto mettere radici e trovare proseliti nel Web, creando una subcultura incentrata sul tema della sofferenza, della debolezza e dell’incomprensione (da cui il soprannome dispregiativo “snowflake”) difesa dai loro membri attraverso i social con un’aggressività e una cattiveria paragonabile solo a quella dei channers.

Check your (F word opzionale, ma funge da rafforzativo) privilege” è lo slogan che diffondono attraverso il Web, rammentando a tutti che prima di prendersi gioco di qualcuno per via dei suoi problemi, le persone dovrebbero prendere consapevolezza dei propri privilegi intrinseci e metterli da parte per comprendere meglio le situazioni degli altri. È ironico come una cultura che in teoria propugni comprensione e solidarietà nella sofferenza porti con sé tanto livore. 

La cattiveria dei SJWs non risparmia nemmeno il neonato principe George…

The Left can’t meme

In ogni caso, la subcultura del Tumblr Liberalism è riuscita nell’influenzare i media mainstream alla stessa maniera dell’Alt-Right, portando la candidata democratica alle presidenziali 2016 Hillary Clinton ad usare gli slogan fatti propri dai SJWs, ma non è mai riuscita a rispondere efficacemente alle provocazioni dei channers.

Difatti il panorama dei meme prodotti per propugnare le loro posizioni è praticamente inesistente, è ciò che si otterrà cercando “tumblr liberalism memes” su Google Immagini saranno solo le beffe loro rivolte da parte non solo dei militanti dell’Alt-Right, ma del Web nella sua interezza. Famoso è l’esempio del College Liberal Meme, popolare serie di immagini macro in circolazione dal 2007, mirato a svelare le contraddizioni tra gli slogan dei Tumblr Liberalists e il loro comportamento effettivo; ciò mostra quanto sia vero ciò che Chuck Palahniuk diceva in Fight Club, ed è ciò con cui essi dovranno fare i conti: 

You are not special. You’re not a beautiful and unique snowflake. You’re the same decaying organic matter as everything else.

Alt-Left: la sinistra si scinde anche online

Alla vittoria di Trump l’equilibrio tra i sostenitori della Clinton e di Bernie Sanders all’interno della sinistra si rompe: i SJWs accusano i brocialists di aver ostacolato la candidatura di Hillary perché donna, mentre i fan di Sanders accusano i liberals di aver distrutto la sinistra con le loro identity politics, e reagiscono riversandosi in quella che i media mainstream chiamano l’Alt-Left.

Ma cos’è di preciso questa nuova parte politica? La sua origine -o addirittura attestazione- è abbastanza controversa: alcuni dicono che l’Alt-Left sia un feticcio creato dai Repubblicani e dall’ala clintoniana del Partito Democratico per gettare fango sulla sinistra online, specialmente dopo aver sentito chiaramente Donald Trump riferirsi a tale movimento dopo i fatti di Charlottesville di agosto 2017. Altri sostengono addirittura che l’Alt-Left in quanto tale non esista affatto, poiché nessuno si è mai schierato apertamente per questa parte politica.

La visione più comune tra i militanti della sinistra mainstream e del Tumblr Liberalism li descrive come un gruppo di reazionari violenti, che lottano per mettere fuori legge i movimenti neonazisti ma causano loro stessi danni a luoghi e persone durante le proteste in piazza. Essi non si riconoscono né come comunisti né come socialisti, e tantomeno come anarchici, e le loro rivendicazioni vanno dalla totale gratuità di college e sanità pubblica fino all’aumento del salario minimo garantito a 15 dollari all’ora.

Ma ancor più spesso, il termine Alt-Left viene spesso usato dai clintoniani per mettere i sostenitori di Bernie Sanders sullo stesso piano dei militanti dell’Alt-Right, descrivendo i Bernie Bros come un gruppo di giovani violenti, razzisti e sessisti (in quanto si sono rifiutati di sostenere Hillary Clinton solo perché donna).

Solo una brutta copia dell’Alt-Right?

La poca chiarezza sulle origini del nuovo movimento della sinistra online e le faide tra le varie frange del Partito Democratico americano rendono ancora più spinosa la questione della definizione dell’Alt-Left come parte politica a sé stante –nonché nella determinazione della sua stessa esistenza–.

Fortunatamente, un articolo della rivista online Studio scritto da Anna Momigliano fornisce un’esaustiva descrizione di questo fenomeno: l’Alt-Left è vista come una parte reazionaria della sinistra che strizza l’occhio alle idee della sua controparte di destra, ponendosi contro i liberals ed i socialdemocratici.

È insieme contro il capitalismo e contro l’immigrazione; si pone contro le identity politics propugnate dal Tumblr Liberalism, si dichiara profondamente anti-sistema (e in quanto tali rifiutano categoricamente l’intervento dello Stato nel campo del lavoro e delle politiche sociali) e abbraccia quelle teorie complottiste sul Nuovo Ordine Mondiale che nel Web hanno trovato il loro terreno più fertile per prosperare. Inoltre, subisce il forte ascendente dei leader carismatici più autoritari, e fa proprio sia il mito di Che Guevara sia l’adorazione per Vladimir Putin.

Insomma, riassumendo secondo il profilo dei clintoniani, sono quelle persone della sinistra estremista che hanno votato per Donald Trump perché lo consideravano un male minore rispetto ad Hillary, ed in polemica con il Partito Democratico, ritenuto colpevole di aver ostacolato l’ascesa di Bernie Sanders.

Le vere origini dell’Alt-Left

A dirla tutta le cose non stanno affatto così: Brian Dean, scrivendo per l’Independent, ci racconta che “Alt-Left” era un termine con cui si identificavano alcuni attivisti online riuniti sul gruppo Usenet “alt.politics.radical-left”, dedicati a promuovere battaglie a favore dell’istituzione del reddito di base (o come lo chiameremmo noi “reddito di cittadinanza”), di un cambio di concezione del lavoro sull’ala del movimento Anti-Work e contro i pregiudizi sociali veicolati dai media di stampo conservatore.

Tale “dichiarazione di intenti” non fu mai la bandiera di un gruppo politico vero e proprio –come contrariamente è accaduto nel caso dell’Alt-Right–. Oggigiorno i commentatori usano il termine per connotare quei militanti dell’estrema sinistra che associano l’astio contro i liberali all’aderenza a teorie della cospirazione.

Il meme nel panorama politico online

Grafico semplificato delle bandiere politiche del Web

Il panorama online, come si può vedere dal grafico qui sopra, si presenta vasto e complesso, e appare come una lotta a chi combatte la battaglia più giusta: identità della razza contro identità sessuale, mantenimento dell’ordine contro cambiamento, chiusura dei confini contro apertura culturale e morale.

In tutto questo, il meme si fa strumento di diffusione di slogan, passando dall’avere connotati satirici alla memoria ironica di fatti di sangue che hanno caratterizzato la storia dell’Occidente, sino a propagandare le posizioni dei candidati alle presidenziali degli Stati Uniti. È qui che il confine tra ironico e non ironico si fa sempre più labile, e i politici, intuendo il potenziale comunicativo di quelle “immaginette buffe”, contribuiscono a distruggere questa distinzione, condividendo quei memes nei social media o addirittura chiedendo apertamente alla loro base di crearli.

Come anzidetto, ironia che si ciba di politica che si ciba di ironia. 


Parte sesta >>>

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Laura Valentini

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