Gli studenti prima di World of Warcraft Classic:
The Guild 3 – Crusader Kings – Vermintide 2 – Tomb Raider – Frostpunk – Ancestors Legacy – Kingdom Come: Deliverance – Monster Hunter: World – World of Warcraft: Battle for Azeroth – Pathfinder: Kingmaker – Darksiders 3 – For The King – Metro: Exodus – Warhammer 40,000: Inquisitor Martyr – My Time at Portia – Mutant Year Zero: Road to Heaven – The Council – Warhammer 40,000 Mechanicus
World of Warcraft Classic. Questo è ciò che Activision-Blizzard considera la risposta all’interrogativo che è sempre normale porsi, ovvero dove andare. Ironicamente, ciò che in realtà World of Warcraft Classic sottolinea non è nient’altro che la sempre più pressante necessità del presente di trovare qualche punto saldo a cui ancorarsi. Nessuno nel 2004 si sarebbe mai aspettato che World of Warcraft arrivasse sin dove è arrivato ora, aggiornandosi per ben oltre quindici anni di sviluppo tecnologico e culturale e continuando sempre a rimanere sulla vetta dei MMORPG, per sempre immortalato come il vero e proprio esempio di quello che bisognerebbe fare per avere successo. Nessuno nel 2004 si sarebbe però nemmeno aspettato che nel 2019 si sarebbe ritrovato a giocare allo stesso identico gioco di quindici anni prima. Qualcuno potrebbe mettere in dubbio questa affermazione sostenendo che la forma sia cambiata, che l’involucro di World of Warcraft Classic sia diverso dalla sua creazione originale, ma la sostanza è sempre quella, e ciò che strilla ogni istante non è altro che “indietro”.
Il primo reale passo per capire quanto effettivamente sia di successo la mossa di Activision-Blizzard di vendere ai suoi utenti letteralmente concentrato di nostalgia in boccette è una rapida occhiata ai numeri. Purtroppo, data anche la quantità improponibile di sterili polemiche collegate all’argomento, non sono più pubblicamente disponibili dati di alcun tipo sul numero di abbonamenti in corso già da diverse espansioni di World of Warcraft. Sfortunatamente, questa scelta ci priva di un metro di misura adeguato. Abbiamo tuttavia a disposizione un dato molto più aleatorio su cui basare parte delle nostre assunzioni: le entrate lorde ottenute da World of Warcraft nel periodo di apertura di Classic. Basandoci solo su questo dato, la situazione apparirebbe straordinaria, parliamo infatti all’incirca di un incremento pari al triplo delle entrate ottenute in occidente, un chiaro esempio del fatto che ci sia ancora spazio per esperienze come quella di World of Warcraft Classic nel mercato videoludico odierno. Come si va però a misurare questo dato contro quelli raccolti, per esempio, all’uscita di BFA? Dipende tutto da come decidiamo di analizzarli. Se decidiamo per esempio di confrontare i singoli numeri appare evidente, come affermato anche sulla pagina di cui riportiamo i dati, che World of Warcraft Classic non sia in grado di anche solo pareggiare effettivamente le entrate dell’ultima espansione. Bisogna tuttavia ricordare che nel caso dell’uscita di Battle for Azeroth i numeri tengono conto anche della vendita delle licenze e/o edizioni fisiche, di cui World of Warcraft Classic è completamente sprovvisto. L’unica reale certezza è quindi che nell’agosto 2019, l’apertura dei server dedicati di Classic abbia portato, o come è spesso il caso riportato, un numero di giocatori pari circa al doppio degli abbonati correnti in seno ad Activision-Blizzard, che per quanto aleatorio è comunque un dato difficile da ignorare. La nostalgia è quindi a prescindere un fattore molto importante nelle decisioni dei giocatori, e il ritorno alle origini potrebbe in questo caso essere azzeccato.
Cosa però nel concreto significa questo ritorno alla prima versione di World of Warcraft? Innanzitutto presuppone una dilatazione dei tempi di gioco molto significativa: se infatti su Retail, come viene definita ora l’espansione corrente, siamo in grado di comprimere efficacemente i tempi di ogni singola azione, World of Warcraft Classic è molto meno frenetico. Anche solo prendendo a esempio la fase di levelling, che in Classic comprende i livelli dall’uno al sessanta contro i centoventi del Retail, capiamo quanto i videogiochi si siano velocizzati con il passare del tempo. World of Warcraft Classic ha infatti recentemente visto il primo livello sessanta, con un tempo record di quattro giorni di tempo di gioco, mentre invece su Retail parliamo in alcuni casi limite anche di sole ore. Con un paio di dritte e l’aiuto di un amico è stato possibile per anni raggiungere il livello massimo in circa sole ventiquattro ore di gioco, senza il bisogno di essere un giocatore particolarmente brillante o esperto. Entrambi questi stili di gioco presentano i loro vantaggi e svantaggi, poiché se da una parte si potrebbe pensare che il tempo di gioco maggiore richiesto renda l’esperienza più difficile o appagante, è anche vero che raramente quantità e qualità vanno d’accordo. Ci troviamo purtroppo di fronte a un adattarsi del concetto stesso di World of Warcraft, che un tempo prevedeva la fase di levelling come integrante dell’esperienza di gioco, che lentamente si adegua ai suoi giocatori: per molti infatti questa fase di gioco diventa superflua, esageratamente complicata e spesso noiosa dopo le prime esperienze, portando all’inevitabile bisogno di snellirla e relegandola in secondo piano rispetto a tutto ciò che viene definito come End game, la parte finale del gioco per l’appunto. Anche questa dicitura è altamente discutibile, poiché se chiesto a molti giocatori assidui di World of Warcraf Classic e non, il vero gioco incomincerebbe solo una volta raggiunto il famigerato level cap, o livello massimo, dato che è a questo punto che avremo accesso a tutto il contenuto istanziato di World of Warcraft, ovvero instance e raid. La verità sta come sempre nel mezzo, e in un mondo ideale chiunque dovrebbe poter essere in grado di godersi l’esperienza che preferisce nei tempi che preferisce, anche se probabilmente ora finalmente potrebbe.
Se le critiche da porre a World of Warcraft Classic fossero solo derivanti da punti di vista soggettivi però, tutte le premesse di questa rubrica non sarebbero rispettate: World of Warcraft Classic sarebbe perfetto per la propria nicchia, un’esperienza particolare magari non adatta a tutti. Perché quindi non lo è? Semplice, il design stesso del gioco finisce con l’essere esageratamente datato, e sotto tutti i punti di vista obsoleto. Non parliamo solo dell’aspetto grafico, ritoccato qua e là con qualche modello aggiornato ma pur sempre fedele alle sue origini, quanto più delle meccaniche di gioco stesse: le quest sono spesso eccessivamente complesse, non tanto nello svolgimento quanto nel posizionamento e nei requisiti, lo svolgimento è non lineare e prevede ore e ore di spostamenti, che rappresentano in realtà una parte importantissima del tempo di gioco; i combattimenti sono un continuo di azioni a bassa interazione, come le classi da mischia che si basano quasi esclusivamente sui propri attacchi bianchi, o veloci ma con un tempo di ricarica infinitamente lungo, come con gli incantatori che sono costretti a bere acqua dopo al massimo una manciata di nemici; dal punto di vista del bilanciamento tra classi siamo anche messi persino peggio, con i ruoli chiave che vedono una rappresentanza molto selettiva. Questo però non è determinato da una funzionalità migliore di alcune classi contro altre, come succede spesso in Retail, ma semplicemente dall’incapacità di determinate specializzazioni di essere funzionali nel ruolo scelto, cosa che automaticamente le porta a essere scartate. Chiaro esempio di questo fenomeno sono le specializzazioni DPS e tank del paladino, che non funzionano perché mancano degli strumenti per occupare il proprio ruolo in maniera anche solo leggermente funzionale. Il giocatore si trova quindi di fronte non a una scelta, ma a un fare e non fare che può essere eccessivamente penalizzante in quasi ogni fase di gioco, e che porta la rappresentazione di classe di World of Warcraft Classic a livelli persino peggiori di quelli di Retail, già sbilanciato di suo.
Tutto sommato quindi, le critiche poste da buona parte della playerbase non sono infondate: World of Warcraft Classic offre un’esperienza leggermente più improntata sugli aspetti RPG dei MMORPG, in cui si ritarda la inarrestabile transizione di World of Warcraft verso degli standard molto più accessibili e veloci, ma decisamente privi di quelle caratteristiche che molti giocatori di ruolo vecchio stampo considerano assolutamente essenziali; dall’altra parte abbiamo invece World of Warcraft Retail, un vero e proprio MMO, che si basa sull’interazione veloce e frenetica, sulla possibilità di aprire il gioco per un’oretta, fare qualcosa che possa essere sì impegnativo dal punto di vista delle capacità, ma che non sia altrettanto pesante sulle tempistiche del tempo morto. Si tratta infatti di qualcosa di impensabile, soprattutto in un periodo storico caratterizzato dalla mentalità attuale, di doversi trovare per esempio di fronte a corpse run, ovvero l’atto di ritornare al proprio cadavere una volta morti per resuscitare, della durata di cinque o più minuti. Questo genere di scelte non rende World of Warcraft un’esperienza più completa, coinvolgente o interessante, ma solo una fonte di tedio a cui porre in ogni modo una pezza, dettaglio evidenziato dal bisogno dei giocatori di modificare praticamente ogni elemento dell’interfaccia di gioco di World of Warcraft Classic tramite l’utilizzo di add-on. Si tratta alla fine solamente di un modo diverso di giocare e intendere un videogioco che ha, a prescindere da ogni punto di vista, segnato la storia sia dei MMORPG che del gioco online di per sé, e nessuno dei due è sostanzialmente sbagliato. Ci troviamo quindi di fronte a un altro gigantesco caso di preferenza personale, che non impedisce però, come sempre, alle varie fazioni di scannarsi per vantare la superiorità delle proprie preferenze su quelle altrui, cosa che avvelena le comunità di una tipologia di videogiochi che per sopravvivere non può contare su altro. Dal canto nostro consigliamo a chiunque sia interessato di provare sia World of Warcraft Classic che Retail, poiché generalmente entrambi provano ad applicarsi, e di decidere poi soggettivamente quale si applichi di meno.
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