Lo scorso 29 settembre si sono tenute in Austria le elezioni legislative per rinnovare i membri del Consiglio Nazionale, la Camera Bassa della Repubblica d’Austria che condivide il potere legislativo con i nove Länder che compongono il Consiglio Federale. Si trattava della seconda tornata elettorale in appena due anni, un ritorno alle urne piuttosto travagliato e preceduto da fatti, scandali e cambi ai vertici che raramente abbiamo visto con questa frequenza in Austria. Vincitore dell’ultima competizione elettorale è stato Sebastian Kurz, 33 anni, già cancelliere e leader del Partito Popolare Austriaco. Ma come è stato possibile arrivare a questa snap election in un Paese relativamente tranquillo come l’Austria? Facciamo un riepilogo.
Tutto è cominciato il 17 maggio 2019. Siamo in piena campagna elettorale per le elezioni europee. Il clima politico è infiammato dalla propaganda euroscettica dell’FPÖ, il Partito della Libertà Austriaco, il cui leader Heinz-Christian Strache è stato per due anni vicecancelliere. Dopo aver portato il suo partito al 26% alle elezioni del 2017 (il secondo miglior risultato della sua storia dopo il 26,9% del 1999), Strache ha trovato un’intesa con Sebastian Kurz, il leader dei Popolari, per formare un governo. Da quel momento in poi la sua popolarità e quella dell’FPÖ erano rimaste costanti. Del resto, Strache ha portato il Partito della Libertà dal 10% al 26% in 14 anni. Tuttavia, la resa dei conti arriva anche per l’estrema destra austriaca. Quando le rivelazioni del Der Spiegel sull’IbizaGate mettono in imbarazzo Strache e tutto l’FPÖ, si registra un autentico terremoto politico.
Lo scoop uscito sui giornali tedeschi diventa impossibile da gestire per il partito di governo austriaco. Le accuse sono gravissime: Strache e il suo vice Gudenus compaiono in un video dove promettono finanziamenti e copertura mediatica alla nipote di un potente oligarca russo. Le conseguenze non si fanno aspettare. Alle elezioni europee del 26 maggio 2019 l’FPÖ prende il 17%, in forte calo rispetto alle ultime politiche. Mentre Strache e Gudenus si dimettono dai vertici del partito, cade anche il governo. Una mozione di sfiducia votata da SPÖ e FPÖ costringe Sebastian Kurz a dimettersi; il Presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen nomina il ministro delle Finanze Hartwig Loeger cancelliere ad interim. Soltanto il 3 giugno si trova un’intesa sull’avvenire politico del Paese. La giurista Brigitte Bierlein viene nominata cancelliere federale, prima donna nella storia dell’Austria. L’idea è quella di traghettare il Paese fino a nuove elezioni, fissate per settembre.
Se per Kurz non è stata una passeggiata, di certo non si è trattato di una montagna da scalare, anzi. I risultati delle europee avevano confermato l’ascesa del giovanissimo premier. L’ÖVP in quell’occasione aveva ricevuto il 34,5% delle preferenze, circa 11 punti percentuali in più rispetto alla seconda forza politica del Paese, che è tornata ad essere il Partito Socialdemocratico. Un attestato di fiducia da parte degli elettori che certifica il successo della destra moderata in Austria.
Con le elezioni politiche si è raggiunto l’apogeo. Il 37% dei voti è un risultato notevole per Kurz, soprattutto se si considera che questa percentuale è stata raggiunta in un sistema proporzionale dominato da due forze politiche che risente eccome degli “shock” causati dai partiti terzi. Per l’altro grande partito storico dell’Austria, l’SPÖ, le ultime elezioni pongono in essere una necessaria riflessione sul futuro del centrosinistra austriaco, indipendentemente dall’esito delle consultazioni. La leadership di Pamela Rendi-Wagner è stata finora poco incisiva e in termini strettamente elettorali è stata tutt’altro che proficua. Il Partito Socialdemocratico d’Austria ha infatti perso ben 12 seggi rispetto al 2017. Non male quanto l’FPÖ, che ha fatto anche peggio, perdendone addirittura 20, ma un risultato (21%) troppo distante dall’eccellente performance dei Popolari.
Analizzando i flussi elettorali, si scorge un trend che si è potuto registrare nelle ultime elezioni statali in Baviera e in Assia. I partiti tradizionali sono in crisi. In Germania, la CDU e l’SPD stanno perdendo terreno a vantaggio di soggetti politici nuovi o alternativi. L’AfD, il partito di estrema destra tedesco, è ormai stabilmente sopra il 10%. I Verdi, tornati alla ribalta grazie alla questione climatica, stanno sfondando praticamente ovunque in Europa centro-settentrionale. I consensi del centrosinistra tedesco e austriaco sono stati fagocitati dai Verdi, ormai terza forza politica in entrambe le nazioni. L’exploit verde c’è stato anche in Austria qualche settimana fa. Il partito del Presidente della Repubblica Van der Bellen è passato dal 3 al 13%, riuscendo a rieleggere 26 deputati.
L’FPÖ ha perso più di 600.000 voti. Per il partito di estrema destra sono stati mesi complicati quelli che hanno preceduto le elezioni. L’avvicendamento di Norbert Hofer, l’ex candidato alla presidenza della Repubblica nel 2016, alla guida del partito ha scongiurato un disastro che in molti avevano pronosticato, nonostante i sondaggi ridimensionassero il crollo post-Ibiza Gate. Hofer ha ritenuto indispensabile tornare all’opposizione, l’unico sbocco naturale per il suo partito dopo una tranquilla esperienza di governo. Prima dello scandalo, infatti, Popolari ed estrema destra andavano abbastanza d’accordo. Per questo motivo, durante l’estate ci sono state varie aperture tra i due partiti per una rivisitazione della coalizione governativa che ha guidato il Paese dal 2017 al 2019. Alla fine, Hofer ha deciso di accantonare qualsiasi ipotesi di accordo con i Popolari, lasciando in mano a Sebastian Kurz altre possibilità in vista della formazione del suo nuovo governo.
Il Presidente Van der Bellen, tenendo fede al risultato elettorale, ha conferito a Kurz il compito di formare un nuovo governo. Il giovane leader ha accettato, ma non ha ancora indicato nessun’alleanza in vista della formazione del nuovo esecutivo. Tante le opzioni sul tavolo per l’ÖVP, che potrebbe riproporre la storica Große Koalition con l’SPÖ, ma anche pensare a qualcosa di diverso. I Verdi, ad esempio, seguono con particolare interesse le mosse di Kurz e del Partito Popolare.
Al partito ecologista farebbe gola entrare a far parte del governo, ma premessa fondamentale di un’eventuale alleanza sarebbe il carattere green che dovrebbe avere l’esecutivo, come ha fatto sapere il portavoce federale Werner Kogler. Una maggioranza Popolari-Verdi andrebbe ben oltre la soglia dei 91 seggi necessari: 97 seggi (71 dell’OVP e 26 dei Verdi) sarebbe un numero rassicurante per Kurz. La presenza, infine, del partito liberale NEOS, forte dei 14 scranni conquistati, è osservata con particolare attenzione dai Popolari, alla ricerca di un altro partner non necessariamente di governo che si collochi a destra.
Il destino del Paese è ora incerto. Una riedizione della Große Koalition appare oggi alquanto improbabile, viste le tensioni registrate negli ultimi mesi tra ÖVP e SPÖ. Per Kurz sarebbe un’occasione ghiotta, quella di investire su un’alleanza con i Verdi; i quali, occorre ricordarlo, sono tuttora distanti dal Partito Popolare su molti temi. Le consultazioni attualmente in corso risolveranno qualsiasi dubbio. Intanto la crisi politica è stata – per il momento – superata. Si prospetta una stagione politica inedita in Austria.
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