Dino Buzzati
Nonostante la laurea conseguita in Giurisprudenza, Dino Buzzati è sempre stato affascinato dall’arte e dalla letteratura. Comincia nel 1928 a collaborare con il Corriere della Sera presso il quale lavorerà tutta la vita. Nel 1933 scrive il primo romanzo, Bàrnabo delle Montagne, ma la notorietà giungerà solo con la pubblicazione de Il deserto dei Tartari, nel 1940. Con il proseguire delle pubblicazioni si evidenzia anche la linea narrativa che perseguirà per tutta la produzione: racconti grotteschi o inquietanti, intrisi di elementi fantastici, talvolta con una spiccata componente erotica.
Poema a Fumetti
È il 1969, siamo a Milano, Mondadori pubblica una delle ultime fatiche di Dino Buzzati: Poema a fumetti. È ormai incontestabile l’effetto del miracolo economico, indiscutibile il miglioramento della qualità della vita, percettibile la critica spietata alla società dei consumi in specie a opera della Neoavanguardia. La Rai è riuscita a diffondere una lingua quantomeno comprensibile all’intera penisola, il cinema si è finalmente acclimatato nell’Olimpo delle nuove arti nobili. In questo contesto immagine e parola possono finalmente manifestarsi simultaneamente su un medesimo supporto, pressoché senza colpe.
Ricezione inquieta
Nonostante i progressi, le neoavanguardie, gli sperimentalismi, nonostante il cinema e la televisione, nella Milano del 1969 la pubblicazione di Poema a fumetti di Dino Buzzati suscita interdizione, talvolta sospetto, più spesso scandalo. La non entusiasta ricezione dell’opera da parte della critica letteraria viene del tutto compensata da un successo incredibile presso i lettori: tra il settembre e il novembre di quello stesso anno si contano trentamila copie vendute. È diventato un caso editoriale.
Tra gli esponenti della critica letteraria qualcuno si astiene dal giudizio, qualche altro, rimasto interdetto dall’interpretazione tutta moderna del mito di Orfeo, tenta di salvare il lavoro di Buzzati calcando vistosamente la mano sui riferimenti colti e arcicolti, isolandoli in maniera tale da conferire loro una luce che offuschi ogni altra oscenità.
Buzzati stesso sapeva ancora prima della pubblicazione che la reazione al suo Poema non sarebbe stata del tutto favorevole. Nel novembre del ’68 consegna alla moglie una busta contenente le tavole del Poema e le dice «questo libro lo pubblicherai tra vent’anni». Crede che molti ignoreranno il suo lavoro, sa che molti altri non saranno pronti a riceverlo e qualcuno finirà per rigettarlo. Il successo riscosso presso il pubblico è in verità inatteso. Lui stesso nel febbraio del ’70 dichiara «con Poema a Fumetti mi aspettavo di peggio». Probabilmente è proprio la reazione sconcertata o sprezzante a indurre una così grande curiosità. Diversi i critici che intervengono a commentare il Poema, diversi i giornali sui quali commentano, ancora più diversi i commenti stessi.
Contaminazioni
Quali le motivazioni che determinarono queste reazioni? In primo luogo, la fusione di tradizionale e innovativo. Il tema classico della catabasi assieme al mito di Orfeo ed Euridice, si contaminano (ma non si inquinano!) nell’ambiente dell’underground milanese. Niente di nuovo, qualcuno potrebbe obiettare. Le riscritture del mito di Orfeo sono molteplici: già nel ’47 Cesare Pavese aveva scritto di un Orfeo inconsolabile nei suoi Dialoghi con Leucò. Ma ancora prima ci avevano pensato la Cvetaeva, Rilke, Robert Browning. Né si può considerare una novità la ripresa del mito in sé e della sua riscrittura alla luce della realtà storica contingente. Non è paragonabile, quindi, la storia dell’Orfi di Buzzati a quella di Aurora e Titone di Landolfi. La struttura infatti, che corrobora col contenuto, è ciò che determina la novità di Poema a Fumetti.
Vecchio e nuovo creano un nucleo eterogeneo del tutto in linea con il supporto narrativo adoperato: vale a dire che la creazione di Buzzati non giunge a un unicum, non perviene ad una sintesi coesa perché il risultato non appartiene né al poema né al fumetto. Il suo è un esperimento innovativo che riguarda la creazione di una graphic novel maneggiata e rimaneggiata in maniera del tutto personale. Figura Buzzati come poeta ma anche come inventore di storie, artista, aedo della modernità. Questa è la ragione su cui si basa la creazione di un’opera che accorpa in sé nuovo e antico ma in un modo che consente a Buzzati di inserire i motivi ricorrenti della sua produzione: l’angoscia della morte, l’irruzione del fantastico nel verosimile, il desiderio.
Non soltanto un fumetto
«Mi è venuta la voglia di esprimere il mio mondo fantastico così come facevo da ragazzo, scrivendo e disegnando insieme».
Questa è la spiegazione che Buzzati dà rispetto alle modalità narrative che ha adoperato. Non c’è una dichiarazione d’intenti che spinga a credere che il progetto fosse esattamente quello della creazione di un fumetto. L’opera sembra essere sgorgata direttamente da una fonte spontanea, fanciulla e incantata, e non da una decisione ferrea perseguita fino all’ottenimento del risultato auspicato.
E infatti, il primo indizio che allontana il Poema a Fumetti da un vero fumetto si può rintracciare nella struttura del libro: ogni pagina ospita una e una sola tavola. Pochi, inoltre, i balloon in cui vengono solitamente inserite le parole dei personaggi. Perlopiù ci si trova davanti a didascalie che spiegano il senso della tavola. Questo comporta anche uno sforzo più complesso di quello messo in atto dal fumetto, perché la fatica cognitiva del lettore di fumetti è del tutto controbilanciata dall’immagine.
Di contro, l’utilizzo di un’unica tavola e il cambiamento talvolta di scena tra una tavola e l’altra inducono al lettore uno sforzo immaginativo che non riguarda l’immagine presentata, ma lo iato che la separa dalla successiva. La partecipazione dell’io leggente è innegabilmente funzionale al godimento dell’opera. Ci sono libri gravidi di un senso che, fuor di ogni banalità, è del tutto contenuto nelle parole utilizzate per creare le immagini. Il poema a fumetti adopera invece un meccanismo più simile alla poesia che non al romanzo, un meccanismo lacunoso, singhiozzante quando non muto, allusivo.