«Di’ la verità anche se la tua voce trema». Daphne Caruana Galizia la pensava così. Per questo il libro che raccoglie il suo lavoro prende proprio questo titolo. Ma a tremare non era la voce della giornalista d’inchiesta maltese, bensì i più alti vertici della politica del paese, di cui lei ha cercato di smascherare la corruzione e i giri d’affari. Daphne non è riuscita a finire il suo libro prima di essere assassinata, così ci ha pensato la collana Munizioni di Mondadori in onore del secondo anniversario della sua morte.
Un volume che organizza e sistema le inchieste di Daphne per continuare la sua battaglia e perché la sua figura possa essere d’ispirazione, soprattutto alle donne, come spiega nella prefazione Roberto Saviano, scrittore e curatore dell’edizione: «Vorrei che questo libro finisse tra le mani di tutte le donne. […] Forse solo una donna può comprendere quello spazio che la rende se stessa, cosciente di poter agire rischiando ma senza sentirsi in colpa per esporre i propri figli e la propria vita. Perché dico questo? Perché molte donne sono capaci di tradurre l’abitudine a subire pregiudizio e diffidenza non in senso di sconfitta o rancore ma in ispirazione al cambiamento».
Sono le 14.58 del 16 ottobre 2017 quando Daphne Caruana Galizia viene fatta esplodere con la sua auto a Bidnija, nelle campagne a nord di Malta. Poco prima è in casa con suo figlio Matthew, a cui dice che deve andare in banca. Così esce dalla porta, sale sulla sua Peugeot 108 e parte. Passano trenta secondi e si sente un boato che fa saltare Matthew sulla sedia: «Quando l’ho sentito sono corso fuori e lungo la strada ho visto tracce dell’esplosione – ha poi raccontato -. Ho visto diversi focolai, vetri rotti dappertutto e pezzi di carne umana. Tutto ciò che ricordo è che ero completamente solo, c’era soltanto il rumore degli alberi che bruciavano e il rumore del fuoco attorno a una gigantesca colonna di fumo».
Bastò un SMS inviato a una scheda collegata all’ordigno, quasi mezzo chilo di tritolo, per innescarlo e trasformare la macchina in una palla di fuoco. «L’abbiamo sempre considerata una possibilità, ma poi ti convinci che non è così – ha raccontato Andrew, altro figlio della giornalista – cose del genere non erano mai accadute a Malta». Ma questo è stato solo l’ultimo gesto di un’escalation violenta dei suoi persecutori nei confronti di una donna che non si è mai arresa alle loro intimidazioni. Prima le avevano bloccato il conto corrente, ma una raccolta fondi le era venuta subito in soccorso. Poi il suo cane assassinato, il tentativo di incendiarle la casa e le 47 cause per diffamazione aperte contro di lei, quasi tutte intentate da politici maltesi e loro sostenitori.
«Ci sono dei criminali ovunque si guarda adesso. La situazione è disperata». Si conclude con una frase che sembra premonitoria il suo ultimo post, pubblicato mezzora prima di morire sul suo blog ,The Running Commentary, un sito da 400mila lettori in un’isola da 445mila abitanti. Era il suo spazio preferito perché lì poteva permettersi una completa libertà, con attacchi duri e personali. Daphne ha messo la verità davanti alla sua stessa vita, puntando una luce investigativa sugli angoli più bui della politica maltese.
Durante la sua carriera ha indagato sui Malta files, i documenti resi pubblici che hanno provocato uno scandalo finanziario nell’isola. Lo stato avrebbe infatti sfruttato la sua appartenenza all’Unione europea per far pagare meno tasse ad aziende e clienti privati che in questo modo evitavano quelle dei loro paesi. Ha scavato nella vicenda dei Panama papers, scoprendo nel paese dell’America centrale alcune società off shore usate dai vertici della politica maltese. Tra di loro il primo ministro Joseph Muscat, il capo di gabinetto Keith Schembri, il ministro Konrad Mizzi e John Dalli, ministro degli esteri ed ex commissario UE. Ha scritto del riciclaggio di denaro sporco che si nascondeva dietro a quelle società, che traevano profitti dalla vendita di passaporti maltesi a ricchi provenienti da Russia e Arabia Saudita (2,5% del Pil di Stato), fino ad arrivare alla Pilatus Bank, presunto collettore di tangenti milionarie sull’isola. Grazie al suo lavoro, il fondatore della banca, l’iraniano Ali Sadr Hasheminejad, è stato arrestato negli Stati Uniti nel marzo 2018. Ora è libero su cauzione, ma lo aspetta un processo a New York nel quale rischia fino a 125 anni di prigione.
Nel dicembre 2017 a Malta vengono arrestati dieci uomini accusati di aver ucciso la giornalista. Pochi giorni dopo sette di loro vengono rilasciati, mentre tre sono incriminati come esecutori materiali dell’uccisione: si tratta dei fratelli George e Alfred Degiorgio e di Vincent Muscat. Dopo quasi due anni di indagini, il 16 luglio 2019 viene confermato che i tre uomini saranno processati per sei diversi reati, tra cui omicidio volontario e possesso e detonazione di esplosivo. Dei mandanti però non si sa ancora nulla. Nel novembre del 2018 i media maltesi dicono che gli investigatori li avrebbero identificati, ma nessuno sa dire chi siano, ne se appartengano al mondo criminale, economico o politico.
Ad occuparsi delle indagini è la polizia maltese in collaborazione con l’Fbi, l’Europol e un dipartimento investigativo speciale arrivato dalla Finlandia. Il 20 settembre 2019, il governo maltese ha annunciato l’avvio di un’indagine indipendente di nove mesi sulla morte di Daphne Caruana Galizia, offrendo anche una ricompensa di un milione di euro a chiunque fosse in grado di fornire informazioni utili per l’identificazione dei mandanti.
Dopo l’uccisione di Daphne, Malta ha perso 30 posizioni nella classifica per la libertà di stampa e ora occupa il 77° posto. Mentre 45 giornalisti di 18 testate di tutto il mondo hanno dato vita al consorzio Daphne project, con lo scopo di proteggere e continuare il suo lavoro usando la sua arma preferita: la scrittura.
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