Tale padre, tale figlio. La scienza dietro questo proverbio non è affatto esatta, ma offre spesso interessanti metri di paragone. Justin Trudeau ha vinto ancora una volta le elezioni in Canada che si sono tenute il 21 ottobre. Il contesto è esattamente lo stesso di mezzo secolo fa. Quando nel 1972 l’allora leader liberale Pierre Trudeau uscì claudicante rispetto alle precedenti elezioni che lo avevano consacrato, per i Liberali la strada da percorrere era una sola: governo di minoranza. 47 anni dopo, il figlio Justin, dopo aver sbancato alla sua prima performance elettorale – come fece il padre nel ’68 –, si trova in una situazione identica.
I risultati delle elezioni di lunedì scorso segnano un cambiamento pronosticato da tutti (QUI ne abbiamo parlato anche noi qualche mese fa). Il Partito Liberale guidato dal rampollo di casa Trudeau è riuscito a prevalere sugli altri, conquistando 157 seggi (27 in meno in confronto al 2015). Il Partito Conservatore ha ricevuto più voti nel computo totale, ma il sistema elettorale maggioritario di tipo First-Past-the-Post ha creato un’enorme distorsione nei seggi assegnati. Il CPC (Conservative Party of Canada), infatti, ha ottenuto il 34% dei voti, mentre l’LPC (Liberal Party of Canada) si è fermato al 33%. Com’è stato allora possibile un risultato del genere?
Come già accennato sopra, il sistema elettorale canadese – uguale a quello britannico – è imperniato su collegi uninominali. Chi esce vincitore in quei collegi, si aggiudica il seggio. Per questo motivo, in virtù dell’omogeneità del risultato nazionale dei partiti, numero totale di voti ottenuti e distribuzione dei seggi possono fornire risultati contrastanti fra di loro. Il Partito Liberale, ad esempio, ha conquistato 77 seggi in Ontario, la provincia con più seggi disponibili (121), ma ha faticato in altre regioni del Paese.
Nella parte orientale del Canada, dove l’elettorato è storicamente più conservatore, il partito di Trudeau è sceso quasi sotto la doppia cifra. In Alberta e Saskatchewan, roccaforti conservatrici, il CPC ha vinto in 47 collegi su 48. Sommando però i voti ottenuti in Alberta e Saskatchewan non si raggiunge nemmeno il numero dei voti totali espressi per il Partito Conservatore in Québec, dove il numero di elettori (poco più di 6 milioni) è il doppio rispetto a quelli di Alberta e Saskatchewan.
L’altro vero “salvagente” di Trudeau è stato, quindi, il Québec. Nella provincia francofona, il Partito Liberale ha portato a casa 35 seggi, un risultato decisamente positivo, ma comunque in calo. A impedire la vittoria assoluta dei Liberali è stata infatti la ricomparsa del Bloc Québecois. Il partito indipendentista, alle prese con una crisi che sembrava interminabile, è tornato protagonista. Dopo il tracollo del 2015, il BQ è di nuovo una delle principali forze politiche della provincia: 32 i scranni conquistati, contro i 10 dell’ultima legislatura. Artefice della crescita del Bloc è stato Yves-François Blanchet, leader carismatico che ha raddoppiato i consensi del suo partito.
Chi non può ritenersi per niente soddisfatto del risultato elettorale è Jagmeet Singh, leader dell’NDP (New Democratic Party). Singh, reduce da una campagna elettorale che ha riportato al centro del dibattito politico temi storici della sinistra, ha cercato di creare un polo in contrasto con il Partito Liberale. I numeri non hanno tuttavia premiato il progetto politico di Singh. Il Nuovo Partito Democratico esce completamente ridimensionato da queste ultime elezioni: mezzo milione di voti in meno e rappresentanza parlamentare ridotta di 15 seggi. Voti, si suppone, finiti in larga parte ai Verdi, che hanno guadagnato due seggi e più di mezzo milione di voti.
Non è stata per niente una passeggiata di salute per Trudeau e soci. L’LPC ha perso un milione di voti. Voti, secondo i flussi, che sarebbero finiti al Bloc Québecois e in piccola parte ai Verdi. Gli elettori canadesi non hanno apprezzato la leadership di Trudeau, compromessa da un’evidente incapacità di superare gli scandali che hanno macchiato l’azione di governo degli ultimi 4 anni. Lo scandalo SNC-Lavalin e le recenti accuse di razzismo per la blackface hanno danneggiato tantissimo l’immagine del premier canadese, ma alla fine il partito ha resistito al vento del cambiamento. Forse non per meriti di Trudeau, che ha addirittura ricevuto un endorsement pesante da Barack Obama, bensì per demeriti di chi guidava l’opposizione.
Andrew Scheer si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Soprannominato da alcuni il «Mitt Romney canadese«, Scheer ha scelto la moderazione quando ha vinto le elezioni primarie del suo partito. Una scommessa politica molto coraggiosa, vista l’evoluzione della destra conservatrice in Nord America. La via del trumpismo, promossa dagli scissionisti del People’s Party di Maxime Bernier, è stata bocciata, in favore di una politica sempre del rigore, ma più liberale. L’obiettivo di Scheer era quello di sfidare direttamente Trudeau, contro cui ha sferrato attacchi personali piuttosto pesanti. La campagna elettorale del Partito Conservatore, incentrata più sulla credibilità politica che sui singoli temi, non ha sortito gli effetti sperati e malgrado una robusta rappresentanza parlamentare (121 seggi) condanna i Conservatori a 4 anni di opposizione.
Occorre ad ogni modo ricordare che la partita per il governo del Paese è tutt’altro che chiusa. Justin Trudeau avrà pure vinto, ma ha perso ciò che nel 2015 si era procurato a furor di popolo: la maggioranza assoluta. I Liberali hanno adesso a disposizione due scenari. Uno verosimile e uno improbabile. L’ipotesi maggiormente plausibile è quella del governo di minoranza, un esperimento non sempre efficace, ma che si è rivelato risolutivo nel corso degli anni per evitare che gli elettori tornassero alle urne più volte durante l’anno. L’altra eventualità prevede un accordo di governo tra il Partito Liberale e l’NDP.
Quest’ultima idea risulta ad oggi complicata. Troppe le differenze tra i due soggetti politici. Il primo, moderato, quasi post-ideologico, il secondo storicamente socialdemocratico e più recentemente legato alle battaglie ecologiste. Le divergenze sull’ambiente saranno infatti un ostacolo per aprire i negoziati tra le due parti, vista la volontà del governo Trudeau di procedere con l’ampliamento dell’oleodotto Trans Mountain, fortemente osteggiato dall’NDP. Lo scontro sulle politiche ambientali potrebbe infine escludere il Partito Verde da qualsiasi discorso di coalizione con LPC ed NDP.
Quasi sicuramente si opterà per il governo di minoranza. Una soluzione che deresponsabilizza i singoli partiti, i quali, per consuetudine, hanno solitamente preferito dare la possibilità di formare un governo al partito di maggioranza relativa. La strategia dei Conservatori, come annunciato da Scheer qualche giorno fa, sarà quella di fare pressione sul Primo ministro. «Trudeau dovrà stare in guardia», ha detto il leader conservatore davanti ai suoi sostenitori. E Trudeau dovrebbe seriamente preoccuparsi, visti i precedenti storici. Nel 2004, i Liberali ottennero la maggioranza relativa in parlamento. Dopo appena due anni, i partiti decisero di appoggiare una mozione di sfiducia contro il governo liberale di Pierre Martin. Per i Liberali seguì poi una batosta: alle elezioni anticipate del 2006 trionfò il Tory Stephen Harper.
Sono stati dei mesi particolarmente movimentati per il Great White North, abituato a un clima politico e sociale abbastanza placido. I discorsi tenuti dai leader politici dopo la diffusione dei primi risultati costituiscono un unicum nella storia del Canada. Non si erano mai visti tre leader politici parlare contemporaneamente. Questo, oltre a rappresentare una profonda spaccatura all’interno del sistema politico, significa che le consultazioni tra i partiti verranno condotte in un’atmosfera ostile. Intanto Trudeau può tirare un sospiro di sollievo, nonostante debba ancora cominciare la parte più difficile.