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La guerra dei dazi si combatte nei cieli

Published by
Nikita Marini

Mentre una pace commerciale fra Stati Uniti e Cina sembra avvicinarsi, con conseguenti benefici per entrambe le economie e per il commercio globale, un nuovo pacchetto di dazi imposto dagli USA all’Europa è in arrivo. Questa volta, tuttavia, la colpa non è di Donald Trump e delle sue miopi ricette economiche, ma si tratta piuttosto di dazi, in un certo senso, meritati. 

Il caso Airbus

Il motivo di questi dazi, che avranno un valore di circa sette miliardi e mezzo e che colpiranno in particolare le esportazioni di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, va ricercato nella decisione presa dalla WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) a inizio ottobre riguardo gli aiuti di Stato concessi all’azienda produttrice di aerei civili Airbus 

Airbus, nata a cavallo fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta dalla fusione di compagnie francesi, tedesche, inglesi e spagnole operanti nel settore dell’aviazione civile, rappresenta al momento il maggior costruttore di aeromobili civili assieme alla rivale americana Boeing. Con circa cinquantaseimila dipendenti e decine di uffici e fabbriche sparsi per tutta Europa, Airbus è considerata anche uno dei simboli più emblematici della cooperazione europea e dei risultati a cui questa può condurre (non a caso, quest’anno il ventunesimo consiglio dei ministri franco-tedesco si è tenuto proprio a Tolosa, città nel sud-ovest della Francia dove Airbus ha la propria sede principale). 

La posizione di mercato che la compagnia europea è arrivata ad occupare, tuttavia, non è semplicemente il frutto di una serie di investimenti decennali andati sempre a segno. Anzi, come sentenziato dalla WTO al termine di un caso durato quasi quindici anni, il successo di Airbus è stato in parte dovuto a una serie di aiuti di Stato che hanno permesso alla compagnia di finanziare i propri progetti a costi ben al di sotto di quelli che sarebbero stati dettati dalle normali condizioni di mercato.  

In un periodo che va dagli anni Ottanta fino al 2005, i vari Paesi “azionisti” di Airbus avrebbero effettivamente aiutato la compagnia aerospaziale a sviluppare i propri progetti (risultati poi in circa quindicimila aerei civili venduti a compagnie aeree di tutto il mondo) attraverso concessioni di prestiti a tassi d’interesse al di sotto dei valori di mercato, costruzione di infrastrutture interamente o in parte a carico dello Stato e agevolazioni fiscali.

Airbus, nata alla fine degli anni Sessanta dalla fusione di aziende attive nel settore dell’aeronautica tedesche e francesi, rappresenta uno dei maggiori successi industriali dell’Europa unita. Nella foto, il suo ultimo prodotto, il Beluga. Foto: Airbus.

La WTO: guardiana del liberismo

Tali aiuti di Stato hanno comportato una notevole riduzione dei costi sostenuti da Airbus durante la fase di research and development (ricerca e sviluppo, abbreviata spesso in R&D). Per definizione, l’R&D è considerata una delle fasi più rischiose e delicate del processo produttivo, soggetta spesso a fallimenti e conseguenti perdite di denaro. È evidente dunque che un abbattimento dei costi di tale fase ha un enorme impatto sulla profittabilità dei progetti, oltre che sul prezzo del prodotto finito. 

A pagarne le conseguenze, naturalmente, sono i rivali di mercato di Airbus: su tutti l’americana Boeing, costretta a dover competere partendo da una posizione di immeritato svantaggio.  E proprio da Boeing è partita la pressione nei confronti del dipartimento del commercio statunitense affinché Washington presentasse un esposto alla WTO nei confronti della Comunità Europea e in particolare dei quattro Paesi già citati.   

Come sancito dal proprio trattato, infatti, tra i vari ruoli della WTO vi è anche quello di vigilare affinché gli Stati membri (si tratta di quasi la totalità dei Paesi del pianeta) non intraprendano iniziative volte ad alterare il normale andamento del commercio globale: anzitutto cercando di minimizzare la quantità di dazi, tariffe e quote sulle importazioni, ma anche vietando che vi siano interferenze da parte degli Stati volte a rendere artificialmente più competitiva una data azienda domestica. 

E, se come accaduto nel caso Airbus, la WTO decreta che vi sono effettivamente stati dei comportamenti che si sono concretizzati in sussidi alle esportazioni (export subsidies), questa può concedere allo Stato accusatore, in qualità di parte lesa, il diritto di rivalersi attraverso l’imposizione di tasse sulle importazioni come forma di compensazione per i danni subiti.  

L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), fondata nel 1995 dai paesi firmatari del GATT, ha lo scopo di armonizzare le norme in materia di scambi commerciali e di vigilare sulla loro applicazione. Nella foto, la sede della WTO a Ginevra, in Svizzera. Foto: picture-alliance.

I dazi americani e la vendetta europea

Come sottolineato precedentemente, dunque, l’amministrazione Trump si renderà ancora una volta protagonista dell’imposizione di un pacchetto di dazi nei confronti dell’Europa. In questo caso, tuttavia, si tratta di una misura “giusta”, volta a compensare uno svantaggio commerciale subìto dagli Stati Uniti a causa di un comportamento sleale da parte di alcune economie europee.  

I dazi riguarderanno infatti principalmente le importazioni dei prodotti Airbus da parte di aziende americane, che costeranno ora il 10% in più. A questi si aggiungeranno inoltre tasse del 25% sull’importazione di prodotti quali vini spagnoli, francesi e tedeschi e whisky scozzesi; mentre per quanto riguarda l’Italia, saranno oggetto di imposte doganali, tra gli altri, il pecorino romano e il Parmigiano Reggiano  

Dunque, una volta che gli Stati Uniti saranno riusciti a racimolare i circa sette miliardi e mezzo di dollari sanciti come compensazione dalla WTO, questa causa decennale si potrà dire conclusa? Non esattamente.  Fra qualche mese, infatti, la WTO esprimerà il proprio giudizio su una causa del tutto simmetrica, intentata nel 2006 dall’Unione Europea contro gli Stati Uniti, che sarebbero rei di aver concesso aiuti di Stato a Boeing! 

La vicenda Airbus-Boeing mette dunque ancora una volta in evidenza come il libero mercato, definito come sistema produttivo e commerciale su cui l’azione dello Stato non può avere alcuna influenza, rappresenti il miglior meccanismo capace di favorire lo sviluppo di nuove tecnologie senza causare distorsioni indesiderabili e sprechi di risorse. Per chi non se ne fosse ancora convinto, e restando in tema, vedere alla voce Alitalia. 

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Nikita Marini

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