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Lotta all’evasione: le novità del decreto fiscale

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Michele Corato

Potrebbe sembrare eccessivamente populista e stereotipato iniziare con una frase del genere, tuttavia è innegabile che in Italia, così come del resto in ogni altro Paese, vi siano numerose problematiche soprattutto a livello pubblico. L’Italia, infatti, oltre alla nota piaga della corruzione gode di un primato tutt’altro che invidiabile: quello dell’evasione fiscale. Nonostante ogni governo abbia provato a “metterci del suo”, il problema appare insormontabile e, come confermano i dati (Tax Research LLP), in costante aumento. Il primo posto nella classifica mondiale dell’evasione fiscale, dunque, deve imputarsi a un fiume monetario nascosto pari al doppio della spesa sanitaria pubblica annuale che, per i non addetti ai servizi, è ravvisabile nella non indifferente somma di 190 miliardi di euro l’anno. Si può facilmente immaginare quanto una simile cifra andrebbe a incidere sull’andamento dello Stato ma, al momento, nessuno è stato in grado di porre freno a un simile trend negativo. Appunto con l’ambizioso obiettivo di intervenire sul preoccupante fenomeno dell’evasione fiscale si pone il così detto Decreto Fiscale promosso dall’attuale governo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 ottobre 2019.

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I reati tributari

Al fine di comprendere meglio i campi di azione dell’intervento legislativo che espleterà i suoi effetti dal 2020, occorre delineare, in via semplificata, la vigente normativa sui reati tributari. Le tasse, e ciò dovrebbe essere noto a tutti, non fanno certo piacere ma, concretamente, risultano essenziali per mantenere in vita l’apparato statale nonché le numerose forme di welfare che lo stesso fornisce ai cittadini italiani: primo fra tutti il sistema sanitario che, al di là delle facili critiche, è un modello d’esempio a livello globale.
Due cose, infatti, sono certe nella vita: la morte e le tasse. Queste ultime godono di una particolare tutela, rappresentata dal decreto legislativo n. 74 del 2000, che individua specifiche sanzioni e delinea reati tipici connessi alle frodi fiscali. Non sempre l’evasione fiscale è classificabile come reato o, che dir si voglia, acquistano rilevanza penale solamente alcune condotte che si concretizzano con il superamento di determinate soglie individuate dalla legge. Si precisa che quando si parla di imposta evasa, criterio alla base delle soglie di punibilità, si intende la differenza fra l’imposta dovuta e quella dichiarata o, in caso di mancata dichiarazione, dell’intera imposta. Negli altri casi, invece, viene applicata una sanzione amministrativa senza alcuna ripercussione penale. In ogni ipotesi di reato il bene giuridico tutelato dalla norma è l’interesse dell’erario alla percezione dei tributi.

Il reato più rilevante, nonché quello punito in maniera più incisiva dalla normativa, è quello della dichiarazione fraudolenta. In questi casi viene punito chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indichi elementi passivi fittizi utilizzando fatture o altri documenti per operazioni, in realtà, inesistenti. Tale ipotesi viene sanzionata con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Per quanto riguarda la punibilità, la soglia è pari a trentamila euro per ciascuna delle singole imposte evase e se i redditi non dichiarati superano il cinque per cento del totale o comunque la somma di un milione e mezzo di euro.

Diverso, invece, è il reato di dichiarazione infedele. La consumazione del reato coincide con la presentazione della dichiarazione dei redditi. Il reato si distingue dal precedente perché non vi è l’utilizzo di fatture o documenti che attestino operazioni inesistenti ma, semplicemente, vengono dichiarati elementi attivi inferiori a quelli reali o elementi passivi inesistenti. Lo scopo di tale condotta è semplicemente quello di evadere imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Anche in questo caso le condotte penalmente rilevanti hanno soglie determinate che coincidono con un’evasione superiore ai centocinquantamila euro e se superiore al dieci per cento del totale dei redditi o comunque superiore ai tre milioni di euro.

Anche l’omessa dichiarazione costituisce un’ipotesi delittuosa ai sensi del decreto legislativo n. 74 del 2000. In questo caso la condotta o, meglio, l’omissione sanzionata è quella di chi non presenta una dichiarazione dei redditi, nonostante vi sia obbligato, quando l’imposta evasa risulti maggiore a trentamila euro per ciascuna delle singole imposte. Il fine, come nelle ipotesi fin qui analizzate, è quello di evadere l’imposta dovuta. La pena consiste, invece, nella reclusione da un anno e sei mesi fino a un massimo di quattro anni.

Nell’alveo della tutela penale ricadono altresì l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e l’occultamento o la distruzione dei libri contabili. La prima ipotesi riguarda chiunque emetta fatture al fine di consentire a terzi l’evasione fiscale; la seconda, invece, è quella di chi al fine di evadere le imposte o, comunque, di non consentire la ricostruzione fattuale in caso di accertamenti pone in essere l’occultamento o la distruzione di scritture contabili obbligatorie. Entrambe le ipotesi sono punite con la reclusione da diciotto mesi a sei anni.

Le novità introdotte

Il legislatore vuole intervenire, con il decreto fiscale pubblicato, su un duplice fronte. Similmente alla nota metafora del bastone e della carota, vi sarà un intervento premiale, diretto a incentivare la tracciabilità dei pagamenti, e uno sanzionatorio diretto a un inasprimento generalizzato delle pene nei reati tributari.

Il sistema premiale delineato nei lavori preparatori riguardava, da un lato, una particolare lotteria sugli scontrini emessi a favore dei clienti e, dall’altro, l’applicazione di particolari sconti sull’IVA applicati ai soli pagamenti elettronici. La seconda di queste proposte, in realtà, è stata abbandonata mentre la prima ha trovato conferma. Sotto un certo punto di vista, i sistemi premiali affidati al caso sembrano aver una buona presa sulla maggioranza del popolo italiano e ciò può trovare semplice conferma analizzando gli introiti milionari che settimanalmente girano intorno alle Lotterie dello Stato. Il sistema così studiato prende il nome di lotteria degli scontrini, appunto, per la casualità dei premi erogati. Nella pratica verrà richiesto, al momento dei pagamenti, il codice fiscale del cliente sanzionando, al contempo, il negoziante che lo rifiuta con multe di un importo variabile dai cento ai cinquecento euro. Viene poi previsto uno speciale bonus per l’anno 2021, definito “bonus befana”, strettamente collegato alle spese effettuate mediante pagamenti elettronici in quei settori considerati maggiormente a rischio evasione per l’uso particolarmente diffuso del contante. Tali settori non vengono al momento specificati: il rimborso tuttavia andrà dai trecento ai cinquecento euro con il sistema del cashback, per le spese a partire dal primo luglio 2020. Per ogni dettaglio occorrerà attendere la Legge di Bilancio.

Deve porsi sul piano di incentivare i pagamenti attraverso la moneta elettronica, verso un futuro cashless, la diminuzione della soglia del pagamento in contanti da tremila a duemila euro a partire dal 1 luglio 2020 fino a un’ulteriore riduzione a mille euro prevista, invece, nel 2022. Per quanto riguarda gli obblighi imposti ai commercianti, viene rafforzato il già introdotto obbligo di accettare i pagamenti elettronici. Essi, infatti, non potranno più rifiutare l’uso di tali pagamenti e nemmeno imporre soglie minime di spesa. L’obbligo del POS sarà dunque accompagnato dalla previsione di una sanzione amministrativa pari a trenta euro a cui si sommerà il quattro per cento del valore del pagamento rifiutato. Le violazioni saranno accertate da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.

Come anticipato, poi, al sistema premiale si associa quello punitivo che mira, in particolar modo, alla sanzione dei grandi evasori apportando sia un generalizzato aumento delle pene nei reati tributari (così com’è avvenuto ad opera del governo Renzi) sia un aumento della punibilità andando a ridurre le soglie di rilevanza penale dell’evasione. In particolare, viene abbassata la soglia di rilevanza penale per tutti i reati fiscali precedentemente osservati, che passa dagli attuali centocinquantamila euro a centomila euro. Anche le singole pene detentive subiscono un generale aumento ma ciò varia a seconda dei singoli reati: nella dichiarazione fraudolenta, infatti, la pena detentiva aumenta a un minimo di quattro anni fino a un massimo di otto anni mentre, nel caso in cui il valore dell’evaso sia inferiore ai centomila euro, rimangono in vigore le vecchie sanzioni. Un simile provvedimento garantisce, con il minimo edittale a quattro anni, la pena detentiva in ogni caso fraudolento evitando così l’accesso alle pene alternative o agli istituti premiali. Nell’ipotesi, invece, di dichiarazione infedele la pena viene innalzata a un minimo di due e a un massimo di cinque anni di reclusione.

Viene aumentata la pena detentiva anche per il reato di omessa dichiarazione che, così, diviene da un minimo di due anni a un massimo di sei anni di reclusione. L’emissione di fatture false rimane invariata al di sotto della soglia di valore dei centomila euro mentre, se li supera, verrà sanzionata con la reclusione dai quattro agli otto anni. L’occultamento e la distruzione dei documenti contabili, infine, verrà particolarmente incrementata in quanto il minimo edittale si attesta sui tre anni fino ad arrivare a un massimo di sette anni di reclusione.
Diversi sono poi i provvedimenti non trattati esplicitamente perché eccessivamente tecnici o settoriali che, comunque, troveranno applicazione diretta solo a seguito di specifiche norme attuative. Fra questi ricordiamo l’impossibilità per gli ex titolari di partita IVA di avvalersi della compensazione dei crediti fiscali, le specifiche misure dirette a contestare le frodi sulle accise nel settore dei carburanti o dei veicoli usati. Rileva poi l’obbligo per i committenti di versare le ritenute fiscali al posto delle aziende appaltatrici o subappaltatrici, le nuove imposte sulle piattaforme petrolifiche, l’aumento al ventitré per cento del prelievo fiscale sulle slot machine e al nove per cento sulle videolotteries, nonché la possibilità di rientrare nella rottamazione cartelle di Equitalia per chi non avesse pagato la prima rata scaduta a luglio 2019.

In conclusione, il rafforzamento della tutela penale, perpetrato tramite un generalizzato aumento delle pene, si pone come già anticipato l’importante obiettivo di contrastare la grande evasione. Le iniziative di tipo premiale o le sanzioni dirette a incentivare l’utilizzo della moneta elettronica, invece, puntano alla vita di tutti i giorni e alla piccola evasione. Tali provvedimenti sono stati aspramente criticati dal “popolo di Facebook” con l’accusa, infondata per quanto appena detto, di non voler sanzionare i grandi evasori ma di concentrarsi unicamente sull’uomo comune. Un punto di verità, nel mare di critiche facilmente rinvenibili online, è quello inerente alle spese aggiuntive che i negozianti devono sostenere per l’utilizzo del POS, siano esse in forma fissa o percentuale sulle singole operazioni. Da questo punto di vista si auspica, in un’ottica di superamento del contante e di parallelo incentivo della moneta elettronica, in qualche forma di agevolazione da parte dello Stato o, quantomeno, di qualche accordo con gli istituti di credito. Nel decreto pubblicato in Gazzetta, tuttavia, è comparso un particolare credito d’imposta, sulle commissioni di bancomat e carte di credito, del trenta per cento in favore dei commercianti con fatturato inferiore ai quattrocentomila euro annui. Condivisibile, poi, potrebbe essere la critica sulla maggior difficoltà nella gestione delle spese effettuate con compatimenti elettronici rispetto alla moneta contante: tuttavia, in questo caso, un particolare sforzo in tal senso deve muovere dal personale e non può certo essere affidato allo Stato.

Da ultimo, si dice, che tali manovre aumentino il potere di controllo da parte dello Stato sullo status economico dei cittadini. Ammesso che ciò corrisponda al vero, data appunto la maggior tracciabilità dei pagamenti elettronici, dove sarebbe il problema per chi non ha nulla da nascondere? Un cittadino che abitualmente paga le tasse ha solo da guadagnarci sull’estensione erga omnes del prelievo fiscale posto che, almeno a livello teorico, ciò dovrebbe corrispondere ad una diminuzione delle tasse o, quantomeno, a un aumento dei servizi. Sul punto occorre fare una riflessione personale: quante volte accettiamo uno sconto a fronte di un pagamento senza fattura? Abbiamo mai pensato a come non pagare le tasse? La risposta a tutte queste domande dovrà unirsi ad ulteriori e diverse questioni che spesso ignoriamo: quanto non viene pagato come si riflette sul benessere che lo Stato ci offre? Il risparmio momentaneo non si traduce in un aumento di qualche altra, diversa, forma di tassazione?

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