Dopo un lungo susseguirsi di smentite e conferme, è finalmente tornata la (autoproclamata) serie evento Adrian. L’ultima creazione di Adriano Celentano, esordita all’inizio dell’anno su Canale 5, è stata fin dal principio al centro di numerosi dibattiti, a cominciare dalla produzione lunga e travagliata durata circa dieci anni e costata quasi trenta milioni di euro (più una manciata di cause legali). La quantità di soldi e tempo impiegata non ha garantito una qualità eccelsa del prodotto, sia dal punto di vista dell’animazione (con alcuni risultati a dir poco imbarazzanti) ma anche e soprattutto per quanto riguarda alcuni contenuti di dubbio gusto. Arrivati alla quarta puntata la serie era stata interrotta (ufficialmente per esigenze di salute dello stesso Celentano) per poi scomparire definitivamente dai radar. Dopo vari mesi di silenzio, Mediaset ha annunciato il suo ritorno televisivo per questo mese e giovedì 7 novembre è stata trasmessa la tanto attesa quinta puntata (assieme a una nuova formulazione del pre-show). La pausa, nel bene e nel male, non ha modificato in nessun modo l’essenza di Adrian, e il quadro che sta emergendo dalle nuovo puntate appare nientemeno che grottesco.
Ripercorriamo brevemente la storia che ci è stata raccontata fin qui da Celentano. L’Italia del 2068 è solo apparentemente una democrazia, dato che in realtà viene governata nell’ombra da una misteriosa élite (che prende il nome sobrio di Mafia International e ha sede a Napoli, giusto per farci capire che gli stereotipi sopravvivono anche nei mondi distopici), che ha a cuore solo i propri interessi. L’ordine viene mantenuto secondo la regola della carota e del bastone: ai cittadini viene fornito svago e intrattenimento a discapito della loro libertà di pensiero, e all’occorrenza un corpo di polizia militare interviene per soffocare ogni focolare di dissenso. In questo contesto tipicamente orwelliano vivono Adrian l’orologiaio, alter ego del famoso cantautore, e la sua ragazza Gilda, entrambi giovani, belli e ovviamente giusti. In qualche modo Adrian finisce sul palco di una grossa celebrità musicale (nient’altro che la versione animata del cantante dei Negramaro) e canta un vero e proprio inno di liberazione: I want to know, vorrei sapere. In questo modo Adrian l’orologiaio diventa il simbolo di una rivoluzione culturale messa in atto per far aprire gli occhi ai cittadini ottenebrati dal mondo dello spettacolo e dalla coercizione del potere. Se tutto ciò non bastasse, considerate che lo stesso Adrian impersona una lunga serie di alter-ego, compresa una maschera da supereroe.
Non è facile digerire un minestrone di questo tipo, non fosse altro per la quantità spropositata di avvenimenti casuali che si susseguono e le animazioni al limite del tragicomico. Il modello di riferimento di Celentano è chiaramente il romanzo/film distopico classico, qualcosa di simile a un 1984 animato. Eppure, nel suo essere quasi una scopiazzatura, Adrian ci fornisce una serie di elementi che fanno capire (purtroppo) quale sia l’intento del cantautore. Gli italiani del 2068 non sono semplicemente costretti a vivere sotto una dittatura nascosta, ma la vera minaccia è da individuare nelle nuove tecnologie e negli stili di vita moderni. Le persone, per citare l’inno di Adrian, vivono “come sardine”, nel senso che sono costrette ad abitare in grigi palazzoni e grattacieli, tutti schiacciati l’uno contro l’altro; contrapposto a questo incubo urbanistico c’è quel piccolo spiazzo di paradiso dove Adrian e Gilda vivono in un’accogliente casetta in legno, immersi nella campagna. Celentano continua a richiamare l’attenzione dello spettatore su un generico passato migliore, quando le persone vivevano in armonia con la natura e non erano semplicemente ammassate l’una contro l’altra istigate dal più becero consumismo. Non è chiaro se questo passato sia da identificare con il mondo agricolo preindustriale o con l’Italia di un secolo prima, ma in ogni caso il messaggio che Celentano vuol trasmettere è che “si stava meglio quando si stava peggio”.
Adrian avrebbe potuto essere una serie audace che si erge contro lo stile di vita moderno dettato dal modello neoliberalista; poteva essere un’accusa nei confronti di chi ha danneggiato irrimediabilmente l’economia italiana e chi ha incentivato l’inquinamento dell’atmosfera; poteva ergersi in difesa delle fasce più deboli della popolazione, soggiogate dalle logiche del modello capitalista; avrebbe potuto fare tutto questo, ma in realtà ha preferito fare una banale paternale su quanto fosse bello avere l’orto dietro casa. Sia chiaro, bisogna anche spezzare una lancia a favore di Adrian: Celentano ci ha provato, e il fatto che una celebrità del suo stampo e con i suoi anni sulle spalle abbia voluto lanciarsi in un’iniziativa di questo genere è, sulla carta, assolutamente lodevole. Se una Greta Thunberg può smuovere gli animi dei più giovani, sembra solo logico che il compito di portare questo messaggio alle vecchie generazioni appartenga a qualcuno che a tali generazioni appartiene. Il problema è che tutto quello che cerca di fare Adrian lo fa male; goffamente male nel migliore dei casi, grottescamente male nei peggiori.
La quinta puntata è stata abbastanza emblematica in questo senso. Adrian, assieme ad alcuni suoi alleati, riesce a imbastire una TV pirata in grado di insinuarsi nelle trasmissioni televisive e a trasmettere contenuti scomodi (il tutto attraverso la “voce” di un simpatico cagnolino). In particolare, una di queste verità scomode è legata all’alimentazione. Già nel secondo episodio si era accennato all’eccessiva “perfezione” delle mele vendute nel supermercato, insinuando che una tale perfezione non derivasse dalle capacità di madre natura. La scena cardine è quella in cui Gilda nasconde una mela “naturale” (brutta e opaca) in mezzo a quelle lucide del banco della frutta; una donna la prende in mano per sbaglio e quando si accorge dell’errore grida in preda al panico, facendo immediatamente accorrere i soccorsi e la polizia. Nel quindo episodio, però viene addirittura rivelato che un quarto del cibo consumato dai cittadini italiani deriva da… OGM, organismi geneticamente modificati. Tralasciando il fatto che lo spauracchio degli OGM è qualcosa di tremendamente anacronistico (come lo è l’intera serie, d’altronde), e che nel caso specifico si parla di bizzarri gelati derivati dal genoma di pesci artici (per conservarli meglio?): è davvero questo il messaggio che si dovrebbe mandare al pubblico nel corrente periodo storico?
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Non si tratta qui di difendere o meno gli OGM (anche se una demonizzazione di questo tipo è tutta ai danni dell’ecosistema), ma di analizzare il messaggio che viene mandato. Davvero possiamo continuare a incolpare una tecnologia aliena e lontana dai noi per i disastri ambientali? Non dovremmo imparare a riconoscere i nostri errori e a capire un messaggio vecchio ma mai ben compreso, ovvero che non è la tecnologia a danneggiare qualcuno o qualcosa ma l’uso che ne viene fatto? Anche qui, Adrian sembra voler provare a dare un messaggio positivo, ma permane una grossa ambiguità di fondo: da una parte sembra incolpare esclusivamente i poteri pseudo mafiosi, dall’altra a volte sembra dare la colpa ai cittadini che si interessano solo del proprio benessere e non della “bellezza”. Un’ambivalenza di questo genere sembra solo darci l’ennesima conferma che alla fine di tutto Adrian sia solo un prodotto esclusivamente autoreferenziale, fatto solo per ergere i valori e le idee personali di Celentano su un piedistallo. Il cantautore milanese è sicuramente libero di raccontare la storia che vuole, chiaramente; ma la licenza poetica non può essere una pretesa per trasmettere qualsiasi cosa gli passi per la testa.
È piuttosto ironico il fatto che il ritorno di Adrian, già di per sé considerato un meme all’interno dei social media, sia conciso con un altro fenomeno che ha sconquassato il web (e non solo). Intendo parlare del fenomeno “Ok boomer”, inizialmente nato come un semplice meme e diventato talmente popolare da finire sulle testate nazionali e perfino essere citato nel parlamento neozelandese. Il meme nasce come risposta sarcastica da dare alle critiche e ai problemi dei cosiddetti “boomer”, ovvero le persone che hanno vissuto e sfruttato il periodo del boom economico. Dietro questo slogan si nascondono l’irrequietezza e il disagio di una generazione che è costretta a fare i conti con degli errori commessi in passato che nessuno sembra aver voglia di pagare e che gravano sulle spalle dei più giovani. Può darsi che sia soltanto una fase di scontro generazionale come se ne sono viste tante nel corso della storia, ma l’espressione sembra avere un certo successo, e sicuramente contiene in sé un messaggio molto importante da parte delle nuove generazioni: ognuno deve prendersi le proprie responsabilità.
Adriano Celentano non è certamente un boomer, ma Adrian rappresenta proprio questa contrapposizione tra una generazione incapace di ammettere le proprie responsabilità e una generazione che è costretta a sobbarcarsene i risultati. Il racconto distopico del cantautore milanese fallisce proprio perché sembra essere solo una paternale contro i valori “nuovi” di chi preferisce i grattacieli alle casette di legno. Non c’è nessun tipo di presa di coscienza di quanto successo prima, nessuna riflessione su cosa possa aver spinto una società a guardare solo all’interesse e al benessere e sopratutto sembra voler suggerire che solo i valori antichi e tradizionali possano essere considerati valori veri e propri. Non basta aggiungere qualche immagine di ghiacciai che si sciolgono con Adrian in sovrimpressione per mandare il messaggio giusto. Se l’Italia del futuro assomiglierà a quella dipinta in Adrian non potremmo certo darne la colpa a chi si aspetta di trovare le mele rosse e lucide all’interno di un supermercato. I cittadini del 2068, nel sentire l’ennesima filippica sul perché sia meglio guardare L’ultima cena piuttosto che stare seduti sul divano a vedere un talk show, dovrebbero avere una risposta pronta: Ok Adrian.
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