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Perché far votare un ragazzo di sedici anni

Published by
Fabiana D'Eramo

Far votare i ragazzi di sedici e diciassette anni può essere una buona idea?

Sui ragazzi sotto i diciotto anni non viene mai puntato l’occhio della telecamera. Non votano, non hanno voce in capitolo, in termini altamente cinici ed esasperati si potrebbe dire che non esistono. Certamente non esistono, o esistono solo a volte, nei programmi di governo. Si rivelano a sprazzi, come il bagliore momentaneo di un fulmine. Perché le leggi di bilancio parlano così tanto di riforma pensionistica piuttosto che di innovazione e misure a sostegno e rilancio delle giovani generazioni nel mondo del lavoro? Perché la popolazione di elettori con più di sessantacinque anni è quantitativamente maggiore rispetto alla quota di giovani fino ai trentacinque anni che votano, dalla quale bisogna sottrarre anche la somma dei sedicenni e diciassettenni che non hanno diritto di voto. Estendere il diritto di voto ai sedicenni sarebbe una riforma a costo zero che darebbe più peso a chi in futuro sosterrà le conseguenze delle scelte politiche di oggi. In altri paesi europei già si può fare: in alcune regioni della Germania, in Austria dal 2007, in Scozia i giovanissimi hanno potuto votare al Referendum per l’Indipendenza del 2014 e, dal 2015, possono esprimere il loro voto alle consultazioni politiche sia locali che nazionali. In Italia se ne parla da parecchio, ma senza risultati – nonostante dal Pd, dalla Lega e dal Movimento Cinque Stelle i venti sembrino ugualmente favorevoli. Per ora i minorenni possono votare solo alle primarie del Pd.

Ma è davvero una buona idea? Può aiutarci ad arginare il disinteresse della politica nei confronti dei giovani, e viceversa?

Foto: Jeff Pachoud/AFP/Getty Images

Perché si dovrebbe allargare il diritto di voto ai ragazzi di sedici anni?

Il disinteresse della politica nei confronti dei giovani non è ideologico, ma semplicemente strategico. Dare voce agli elettori obbliga il politico a tenere conto degli interessi di chi potrebbe votarlo, ma se i ragazzi non sono in grado di esprimere una preferenza elettorale si può decidere senza alcun danno di trascurarli. La precedenza viene data a chi vota, e se diamo un’occhiata alle misure e ai temi che ci fanno parlare e ci fanno spendere di più non stentiamo a credere che l’Italia sia un paese di anziani. Se potessimo allargare il diritto di voto ai minori, i sedicenni e i diciassettenni potrebbero però controbilanciare i numeri degli over sessantacinque che votano, consentendo ai giovani fino ai trentacinque anni di avere un peso analogo agli elettori anziani nelle scelte politiche.

Ma il vantaggio non è solo sociale e non è circoscritto alle nuove generazioni soltanto. Più interesse nei confronti dei giovani significa più politiche a favore dell’istruzione e del loro inserimento nel mondo del lavoro, il che non può che essere un vantaggio dal punto di vista economico per l’intero Paese: più lavoro, più crescita. Non ci sarebbe motivo di andare necessariamente altrove in cerca di un futuro luminoso, perché potrebbero trovarlo anche qui, se lo desiderano, contribuendo alle finanze di vecchi e giovani.

C’è poi da dire, banalmente, che i giovani sosterranno le conseguenze delle scelte politiche di oggi, gli anziani no. In un articolo che somiglia più a una provocazione, Beppe Grillo propone nel suo blog di togliere il voto agli anziani. La drastica proposta poggia sull’assunto che «le persone dovrebbero avere il potere di influenzare le decisioni in proporzione alla misura in cui sono suscettibili di sostenere le conseguenze di tali decisioni». E sicuramente un ragazzo di sedici anni avrà a disposizione tutta la vita per esperire gli effetti di Quota 100, molto più di un ottantenne che oggi ne trae i soli benefici ritirando la pensione. Ma qui si sta parlando di altro. Di estensione e non privazione di un diritto. Altrimenti finiremmo per fare un balzo all’indietro rispetto alla conquista del suffragio universale, e non è in questa direzione che stiamo andando. Resta però il fatto che giovani e giovanissimi si ritrovano a pagare le conseguenze di misure controproducenti senza averne completa responsabilità. Se, come abbiamo detto, l’estensione del voto ai minori permettesse un controbilanciamento generazionale, almeno sapremmo che quello che paghiamo è frutto di una decisione che non ci rotola semplicemente addosso, ma lo abbiamo voluto anche noi, lo abbiamo scelto noi.

Questo ci porta direttamente a un altro motivo per il quale dovremmo estendere il diritto di voto. La politica non si interessa ai giovani, ma nemmeno i ragazzi di sedici anni, con le dovute eccezioni, nutrono particolare interesse e fascinazione per la cosa pubblica. Invece l’opportunità di votare incentiverebbe il loro interesse nei confronti della politica perché susciterebbe in loro curiosità e un certo senso di responsabilità.

Possiamo pensare al loro come un voto ragionato. Ai loro occhi post-moderni, post-ideologici, saturi di flussi di immagini e informazioni che, veicolate dai media, tendono a riportare loro il mondo, i banali e ripetitivi eventi e protagonisti della politica vengono ponderati e scartati per quello che sono, non per quello che sono stati o per quello che potrebbero essere. I giovanissimi sono nativi digitali: sanno riconoscere con maggiore facilità le fake news e i tentativi di abbindolamento. Non sarebbero passivi e assuefatti spettatori della strategia politica, ma attivi e accorti protagonisti della scena, in taluni casi “cani da guardia” del potere, sempre pronti a far notare l’errore, a interagire con il politico, a de-sacralizzarlo, a prendersi gioco di lui. Non hanno radici ideologiche alle quali aggrapparsi, perciò sarebbero più elastici, più fluidi, e invece di votare sempre lo stesso partito – per abitudine, per ammirazione del leader o del “colore” della bandiera – farebbero più attenzione al programma, ai contenuti delle promesse, ai vantaggi che ne trarrebbero.

Foto: Nicholas Kamm/AFP/Getty Images.

Quali potrebbero essere i problemi di questa estensione?

Il rischio di questa visione ottimistica dell’estensione del diritto di voto ai minori non è quello di sopravvalutare i ragazzi, quanto quello di confondere le loro priorità. Se a sedici anni puoi prendere il patentino e guidare la tua macchinetta mettendo potenzialmente a rischio l’incolumità tua e delle persone che passano per la tua strada, perché non darti la possibilità di esprimere un semplice giudizio?

Il fatto è, però, che un ragazzo di sedici anni potrebbe semplicemente non essere interessato alla politica e di conseguenza esprimere un giudizio senza particolare ragionamento. La stessa cosa vale anche per un adulto, ad ogni modo. Tuttavia, si potrebbe obiettare che, per la giovane età, i giovanissimi hanno ancora poca capacità di giudizio e senso critico, per non parlare della loro tendenza, connaturata allo sviluppo non ancora terminato della propria identità, a essere facilmente influenzabili. Si può votare un candidato politico per moda, perché lo fa il tuo amico, per essere accettati in un gruppo, ad esempio. Inoltre, a sedici anni poco si sa del mondo, della politica, della storia, per cui il rischio è anche quello di far votare un ragazzo che non ha coscienza di ciò che sta votando e della portata che quella decisione avrà nella sua vita e in quella degli altri.

Nonostante questi dubbi legittimi, è però altrettanto legittimo chiedersi se gli stessi rischi non si corrano anche parlando degli adulti. Una persona maggiorenne potrebbe non avere alcun interesse nella politica, e invece che astenersi dal voto, votare a caso, oppure il partito più votato, o quello che vota il partner, il gruppo di amici, la famiglia. Il fatto di essere un adulto non rende esente dall’essere una persona volubile e facilmente influenzabile. E non è nemmeno automatico che un adulto abbia realmente coscienza del mondo, della politica e della storia: un sedicenne, stando ai programmi scolastici, dovrebbe saperne poco o nulla della storia più o meno recente, ma allora cosa dovrebbe saperne un adulto che non ha preso il diploma? Sicuramente l’esperienza può aiutare, ma a livello di conoscenze oggettive sono sullo stesso piano. E, purtroppo, sappiamo pure che la capacità di giudizio non è necessariamente garantita dall’età. Per cui diciamo che, potenzialmente, i rischi che corriamo facendo votare sedicenni e diciassettenni sono gli stessi rischi con i quali abbiamo a che fare ogni volta che un cittadino maggiorenne si appresta ad esprimere il proprio giudizio alle urne.

L’importanza di stimolare capacità di giudizio e senso critico

Il vero problema che possiamo sollevare, a questo punto, è quello di decidere qual è l’età minima per poter votare. Se capacità di giudizio e senso critico non si acquisiscono automaticamente con l’età potremmo far votare anche chi ha meno di sedici anni, incorrendo in un cortocircuito senza soluzione di sintesi, visto che non esiste un’età precisa e universale nella quale si assume maturità e coscienziosità. Possiamo dire, però, che affianco a un progetto di estensione del voto ai minori potrebbe essere sviluppato in parallelo un progetto di potenziamento dell’istruzione, in particolare dell’educazione civica, per preparare i ragazzi a svolgere il proprio compito di cittadini pensanti e informati, e d’altra parte investire nella riduzione del gap tecnologico, così che le generazioni future siano meno suscettibili delle precedenti a credere a qualunque cosa trovino in rete o sui social. Solo in questo modo potremo avere una popolazione, di grandi e piccoli, che esprimerà la propria preferenza politica con capacità di giudizio e senso critico.

Come tutti i piani a lungo termine richiede tempo e risorse, ma se per una volta tutti i partiti sono davvero d’accordo all’estensione del voto a partire dai sedici anni, perché non cominciare?

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Fabiana D'Eramo

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