Gli studenti prima di The Outer Worlds:
The Guild 3 – Crusader Kings – Vermintide 2 – Tomb Raider – Frostpunk – Ancestors Legacy – Kingdom Come: Deliverance – Monster Hunter: World – World of Warcraft: Battle for Azeroth – Pathfinder: Kingmaker – Darksiders 3 – For The King – Metro: Exodus – Warhammer 40,000: Inquisitor Martyr – My Time at Portia – Mutant Year Zero: Road to Heaven – The Council – Warhammer 40,000 Mechanicus – World of Warcraft: Classic
The Outer Worlds è il genere di videogioco che ha un programma. Tutti i videogiocatori sono d’altronde ben abituati alla qualità, soprattutto se ci riferiamo a un prodotto sviluppato da Obsidian Entertainment. Ecco che quindi questa nuova puntata in cui si rivolge a una fetta di giocatori recentemente delusa da diversi comportamenti dei nomi più blasonati nel campo finisce con il non stupire nessuno. Case di sviluppo tipo Bethesda si sono infatti inimicate il loro pubblico con le loro ultime azioni, lasciando spazio per “outsider” già conosciuti. Forse però, volendo ampliare i nostri orizzonti e cercando forzatamente il pelo nell’uovo, il risultato potrebbe essere stato decisamente avvelenato dalla decisione finale, probabilmente dell’editore Private Division, di rivolgersi a Epic Game Store per un’altra, ulteriore, esclusiva temporale. A poco serve il fatto che questa volta sia condivisa anche con Microsoft, la sensazione è comunque quella di una coltellata alla schiena. Inflitta da un amico d’infanzia.
Il campo in cui The Outer Worlds decide di muoversi è incredibilmente pericoloso: parliamo infatti di un misto tra un action RPG e uno sparatutto, con ambientazione fantascientifica. Va infatti molto di moda ultimamente paragonarlo agli ultimi titoli della saga Fallout, questa incresciosa operazione è però figlia di una serie di fattori molto diversi e non sempre particolarmente azzeccati. Volendo essere pignoli bisognerebbe infatti accostare The Outer Worlds più a un Mass Effect dei giorni nostri, prima che quest’ultimo diventasse uno sparatutto su binari, ovviamente. Parliamo quindi di un videogioco dominato dalle statistiche, in cui una buona abilità di mira non è particolarmente necessaria e in cui i numeri scritti nella nostra pagina del personaggio decideranno la quasi totalità di ciò che avviene all’interno del gioco. Anche tutto il resto dell’approccio alle meccaniche di gioco è al passo coi tempi: ci troviamo di fronte a meccaniche chiare e ben definite, punti deboli da colpire e danneggiare, la possibilità di rallentare il tempo e diverse classi di armi da fuoco o da mischia con cui poterci divertire allegramente, smembrando e disintegrando qualsiasi nemico, o amico fosse per quello. Smembrare e disintegrare potrebbero forse apparire come parole forti, in un panorama videoludico che spesso cerca di evitare il controverso, distanziandovisi in maniera netta. Non è così però in The Outer Worlds, che più che i mondi esterni, termine che nella fantascienza indica i pianeti più lontani dal centro della galassia, ci si rivela come un’ambientazione veramente sopra ogni riga. Pensando alle cose più abominevoli che l’animo umano abbia mai potuto concepire, probabilmente ritroveremo qualcosa del genere all’interno di The Outer Worlds, che in un vero mondo che incomincia da tempo a risentire dell’influenza delle grandi corporazioni non perde tempo a fornirci un prodotto controtendenza. Alcione è infatti un sistema dei cosiddetti orli esterni, ed è completamente in mano alle corporazioni, che abusano della propria influenza e posizione per compiere ogni genere di sopruso contro la popolazione della colonia che vi si è stabilita.
The Outer Worlds tratta quindi con nonchalance temi come l’omicidio, l’eliminazione sistematica di fasce della popolazione, il cannibalismo, l’oppressione, e dipinge un quadro della galassia che più che in tante sfumature di grigio si muove tra il carbone e il nero seppia. In cima a questa montagna di teschi possiamo trovare la Board, l’unione dei capi di tutte le corporazioni di Alcione. Perché utilizzare però il termine inglese quando The Outer Worlds possiede una localizzazione scritta in italiano? Semplice, perché come al solito le localizzazioni nostrane seguono una polarizzazione estrema, o sono eccelse o assolutamente orrende. Purtroppo per i videogiocatori e per Obsidian, in questo caso ci spostiamo sicuramente lontano dall’eccelso. A spiccare particolarmente sono i nomi delle città e delle varie ambientazioni che ci troveremo a esplorare, che non solo risultano impronunciabili, ma che aggiungono anche un ulteriore carico al già pesante treno delle localizzazioni di scarsa qualità: provate a immaginare di stare esplorando, trovare un gigantesco cartello con sopra scritto Edgewater e cercare di capire di che posto si possa trattare, per poi rendervi prodigiosamente conto che quella Lungacqua di cui avete tanto sentito parlare sia quel posto lì. The Outer Worlds è ben lontano dall’essere un esperimento d’immersione, e tenta anzi di spezzare il ritmo del gioco con decine e decine di citazioni ed easter egg particolarmente brillanti. Davanti però a lavori approssimativi che cercano di tradurre una parola come jumpy, utilizzata per trasmettere nervosismo o agitazione, in letteralmente salterino, non si può far altro che rimanere senza parole. Si tratta senza dubbio di un crimine non particolarmente efferato, soprattutto se consideriamo che comunque la localizzazione di questo tipo di prodotti sia molto complicata e difficile da rendere, visto il quantitativo considerevole di giochi di parole e battute che al di fuori dell’inglese tendono a non rendere nella stessa maniera. La qualità dei dialoghi in lingua originale rimane comunque decisamente alta, concedendoci più di un motivo per cui poter apprezzare i due pazzi mondi che vanno a formare la colonia umana più lontana dalla terra. Batterie non incluse, potrebbe contenere tracce di videogioco, The Outer Worlds è un marchio registrato.
Per quanto concerne invece le meccaniche di gioco, The Outer Worlds brilla in maniera davvero particolare: parliamo infatti di un vero RPG, costruito in maniera tale da essere giocabile e rigiocabile un quantitativo decisamente importante di volte. Le scelte del giocatore contano, la sua capacità di scegliere conta, le statistiche e l’approccio contano, anche solo nei confronti della storia, parte comunque fondamentale di The Outer Worlds. Sarà infatti libertà assoluta per il giocatore, che raramente si troverà a seguire lo stesso percorso due volte di fila, stimolando la sperimentazione e la condivisione di informazioni anche al di fuori della propria partita. Questi dettagli fanno sì che il videogioco si sviluppi in una sorta di contrario della proprietà commutativa che così tanto spesso accomuna i videogiochi di oggigiorno, in cui anche cambiando la posizione dei propri addendi il risultato finale non cambia, o lo fa pochissimo. In The Outer Worlds invece raramente una nostra scorrazzata per Alcione sarà uguale alla precedente, portandoci non solo un ventaglio limitato ma comunque sufficiente di scelte pratiche su come affrontare il gioco, ma anche a porci delle domande su tematiche etiche che per quanto estreme sono quanto più attuali. Unica grande pecca dal punto di vista interattivo di The Outer Worlds è l’imposizione di un livello massimo per il nostro personaggio: questa scelta potrebbe infatti portarci a raggiungere il limite in maniera leggermente anticipata rispetto alla fine della trama, cosa che senza dubbio disincentiva il giocatore dal continuare a esplorare e vivere a fondo il mondo di gioco, non avendo più nulla da guadagnare facendolo. Pur rispettando quella che parrebbe essere una scelta per lo più improntata verso il bilanciamento del potere del giocatore, non si può negare l’effetto negativo sulla sensazione di crescita del nostro potere, base e pilastro di ogni RPG che degno di questo nome. Una nota finale dal sapore decisamente amaro se confrontata a tutto il resto che The Outer Worlds sembrerebbe offrire: un concerto in cui stranamente meccaniche di gioco, trama e giusto un pizzico di follia riescono a miscelarsi creando un prodotto realmente godibile.
In conclusione possiamo quindi affermare che The Outer Worlds sia un gioco decisamente di buona applicazione, creato da una casa di sviluppo di razza. Possiede però delle pecche non indifferenti che ne rovinano le parti finali, o a volte anche l’intero svolgimento: molto spesso per esempio non risulta assolutamente chiaro come alcuni tipi di scelte possano realmente influenzare lo sviluppo della trama, lasciandoci fin troppe volte con il dubbio riguardo alle nostre scelte durante il tempo di gioco. Il fatto che lo stile di gioco di per sé non sia nulla di nuovo va a rendere ancora più acuto questo problema, portando la mancanza di linearità della trama di The Outer Worlds a essere in alcuni casi deleteria. Scoprire dopo aver esplorato metà di un intero pianeta di aver fatto una scelta leggermente errata, che sarà però vincolante nell’ottenere alcuni risultati nella trama, è sì una delle cose che aggiunge pepe a questo genere di giochi, ma allo stesso tempo ci pone di fronte alla scelta più complicata che ci possa essere: ripetere uno spezzone importante di gioco o lasciarsi trasportare dai propri errori fino alla fine? Fortunatamente The Outer Worlds non prevede giusto e sbagliato, ma la sola e semplice arbitrarietà del giocatore, che nell’essere la più grande variabile impazzita dell’intero settore potrà comportarsi esattamente come preferisce, spaziando tra tutti gli archetipi di personaggio possibile e probabilmente persino qualcosa in più. Risulta davvero un peccato che un videogioco con così tanto potenziale e così tanta cura sia leggermente affossato dalla controversia delle esclusive temporali e da alcune piccole mancanze, ma tutto sommato possiamo davvero dirlo: The Outer Worlds si applica, anche se abbiamo ancora discreti margini di miglioramento. Se solo tutte le case di sviluppo fossero come Obsidian Entertainment, vero Bethesda?
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