Se ne parla ancora poco, ma a breve noi italiani saremo chiamati a decidere sul destino di una nuova riforma costituzionale: il famoso taglio dei parlamentari. In attesa di scoprire la data della consultazione, ecco tutto quanto serve sapere per orientarsi nella scelta.
Cosa prevede la riforma?
La riforma costituzionale in questione, fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, prevede un taglio netto del numero dei rappresentanti del popolo che siedono nei due rami del parlamento: alla camera i deputati passeranno da 630 a 400, mentre al Senato i senatori passeranno da 315 a 200. Una riduzione di circa un terzo degli scranni. La riforma riduce inoltre il numero di deputati eletti nelle circoscrizioni estere (da dodici a otto), ridefinisce il numero minimo di senatori per regione (da sette a tre, fatte salve le eccezioni già previste) e fissa un tetto massimo di quarantacinque senatori a vita.
Perché un referendum?
Le riforme che vanno, come in questo caso, a modificare il dettato costituzionale seguono un iter differente rispetto alle leggi ordinarie. Affinché la modifica sia approvata è necessario il voto favorevole della maggioranza qualificata delle due camere in quattro letture, due alla camera e due al senato: se questo avviene, gli oppositori hanno tre mesi per chiedere un referendum confermativo, richiesta che può arrivare da cinquecentomila elettori, da cinque consigli regionali o da un quinto dei membri di una delle camere. È questo il nostro caso, nel quale la riforma è passata alla camera ma si trova ora di fronte alle firme di 65 senatori promotori della consultazione confermativa.
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Perché alcuni sono preoccupati per la tenuta del governo?
La richiesta di referendum confermativo congela la promulgazione della riforma: questo significa che se il governo cadesse prima della consultazione – della quale ancora non conosciamo la data – e si andasse a elezioni anticipate, il nuovo parlamento conterebbe ancora 945 parlamentari e non i seicento previsti dalla riforma. Secondo diversi commentatori questo potrebbe spingere le componenti “malpanciste” della maggioranza ad accelerare i tempi di un’eventuale crisi di governo.
Chi ha approvato la riforma? E chi ha promosso il referendum?
La maggioranza favorevole al taglio è andato ampliandosi nel corso della legislatura: se nelle prime tre letture il sì alla riforma era arrivato dal Movimento 5 Stelle, dalla Lega, da Forza Italia e da Fratelli d’Italia, nell’ultimo votazione anche Partito Democratico e Liberi e Uguali si sono espressi a favore.
Che questo ampio consenso in parlamento fosse però precario e dettato in parte da ragioni di realpolitik lo rivela la lunga lista dei firmatari per la richiesta di referendum confermativo, che annovera al suo interno la quasi totalità degli eletti di Forza Italia, membri del gruppo misto, del PD, di Italia Viva, della Lega e addirittura tre senatori del Movimento 5 Stelle.
Il fronte del sì: composizione e ragioni
In prima linea per la difesa della riforma, e quindi per il sì al referendum confervativo ,si pone il Movimento 5 Stelle, che fin dalle origini aveva fatto del taglio del numero dei parlamentari un cavallo di battaglia. «Noi non vediamo l’ora di iniziare questa campagna referendaria», ha dichiarato Luigi Di Maio.
Più difficile capire il posizionamento delle altre forze politiche: la Lega e Fratelli d’Italia – seppure senza troppo entusiasmo – si sono sempre detti favorevoli alla riforma, ed è plausibile immaginare che faranno campagna per il sì, mentre PD e LeU si sono convertiti solo all’ultimo passaggio parlamentare, e il loro appoggio sembra essere condizionato al futuro del governo e all’introduzione di contrappesi (come una legge elettorale di tipo proporzionale) più volte auspicati. Un timido sì alla riforma sembra pervenire anche dai sindacati confederali (CGIL, CISL, UIL) che però non hanno ancora espresso una posizione ufficiale in merito.
In generale, è facile prevedere che i costi della politica saranno al centro della campagna del sì, con i cinquecento milioni a legislatura di risparmio promessi dai 5 Stelle (anche se altre stime indicano cifre più basse) e l’impegno per una politica più sobria e vicina alle persone comuni.
Il fronte del no: composizione e ragioni
Come abbiamo visto sopra, è ancora presto per sapere che posizione prenderanno alcune delle principali forze politiche del nostro Paese durante la campagna elettorale. Per ora nel fronte dei contrari alla riforma rientra sicuramente +Europa di Emma Bonino, che fin dall’inizio si è detta profondamente preoccupata per il contenuto della modifica costituzionale. Resta da capire che posizione assumerà Forza Italia: in parlamento ha sempre votato a favore della riforma, ma i senatori azzurri sono stati i principali promotori della consultazione.
Fuore dalle aule parlamentari spicca il no alla riforma espresso dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, erede del fortunato comitato per il No al referendum costituzionale del 2016, e di diverse formazioni della sinistra radicale, dal PC di Marco Rizzo a Potere al Popolo.
Possiamo immaginare fin da ora come la difesa della democrazia occuperà un posto di primo piano nella campagna per il no: meno parlamentari implicano un rapporto numerico tra elettori ed eletti più squilibrato, meno rappresentanti per territorio e una maggiore difficoltà di accesso al parlamento per le forze minori. Inoltre, già ora critiche alla riforma arrivano anche sul tema del risparmio, considerato irrisorio dagli oppositori.
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Quali sono i precedenti?
Quello sul cosiddetto taglio dei parlamentari sarebbe il quarto referendum costituzionale della storia della Repubblica. Il primo, che ebbe luogo nel 2001, riguardava la modifica dei poteri attribuiti alle autonomie locali e vide prevalere il sì, mentre i due seguenti – 2006 e 2016 – videro in entrambi i casi il fronte del no avere la meglio. L’ultimo in particolare segnò il rifiuto della riforma Renzi-Boschi e la fine dell’esperienza governativa dell’allora premier Matteo Renzi.
Cosa dobbiamo aspettarci?
Ad oggi, la strada per i contrari alla riforma costituzionale appare tutta in salita: i pochi sondaggi a disposizione sul tema indicano una maggioranza schiacciante degli italiani a favore del taglio, e le forze politiche apertamente contrarie raccolgono sommate pochi punti percentuali.
Tuttavia, le campagne referendarie ci hanno abituati a repentini cambi d’umore dell’elettorato, e l’assenza di dibattito che fin’ora ha caratterizzato il tema apre la porta a ripensamenti anche importanti per larga parte della popolazione. Inoltre, sarà interessante capire quale posizione prenderanno le sinistre, storicamente contrarie all’ipotesi del taglio dei parlamentari e oggi silenti più per ragioni relative alla tenuta della maggioranza che di reale convinzione.
La partita, insomma, è tutt’altro che chiusa.