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Spettacolo

The Report: il gelido racconto di un’indagine sulla tortura

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Grazia Caputo

Uscito nei cinema lo scorso 18 novembre e distribuito su Amazon Prime Video dal 29 novembre, The Report, diretta da Scott Z. Burns (sceneggiatore di The Bourne Ultimatum e Panama Papers) e interpretata da Adam Driver (Storia di un matrimonio, Star Wars: The Rise of Skywalker), è incentrato sulle indagini svolte da un funzionario della commissione d’investigazione e d’intelligence del Senato degli Stati Uniti sui metodi di prigionia e di interrogatorio adottati dalla CIA a seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. The Report è basato su una storia vera.

Nel 2005 la sparizione dei nastri degli interrogatori condotti dalla CIA durante la guerra al terrorismo dà inizio ad un’indagine da parte della commissione d’intelligence del Senato statunitense guidata dalla senatrice Dianne Feinstein. A capo dell’indagine è posto il giovane e ambizioso Dan Jones (Adam Driver), che, dopo anni di investigazione su migliaia di pagine di documenti della CIA, porta alla luce un sistema di torture praticate ai danni dei prigionieri sospettati di terrorismo e i conseguenti tentativi di occultamento da parte dell’agenzia di spionaggio americana. Il cosiddetto “rapporto sulla tortura” (7000 pagine poi riassunte in un compendio di circa 500) prodotto da Jones e dal suo team parla chiaro: la CIA, con la collaborazione di due psicologi privi di esperienza nel campo (Bruce Jessen e James Elmer Mitchell), ha svolto interrogatori avanzati basati sul SERE (Sopravvivenza, Elusione, Resistenza e Fughe), un programma di addestramento fornito alle forze speciali americane per affrontare qualunque situazione in caso di cattura. L’applicazione del programma si è tradotta in metodi di tortura quali blocco del collo, blocco facciale, walling, schiaffeggiamento del viso o schiaffo umiliante, isolamento in spazi angusti, wall standing, posizioni innaturali, privazione del sonno, uso di insetti, waterboarding e sepoltura simulata. L’uso di tali metodi di tortura è scaturito da una libera interpretazione della legge sulla tortura fatta dai responsabili della CIA, che avevano bisogno di giustificare le loro azioni nel generale clima di paura seguito all’11 settembre. Lottando contro le invasioni e i tentativi di elusione da parte della CIA e le minacce alla sua libertà personale, l’investigatore Dan Jones farà emergere una verità scottante ma necessaria, cambiando per sempre il volto degli Stati Uniti, ma, al contempo, dandogli una possibilità di redenzione.

Pur non essendo classificabile nel genere, The Report assomiglia molto ai film sul giornalismo d’inchiesta (Il caso Spotlight, Tutti gli uomini del presidente), di cui riprende il ritmo serrato, le ambientazioni, il linguaggio, i personaggi tipici, le dinamiche e le complessità. Il film di Burns è ambientato nei luoghi del potere – la sede della CIA e della commissione d’intelligence del Senato – da cui non esce quasi mai: c’è una prevalenza di ambienti chiusi, soffocanti, grigi, cupi e di personaggi vestiti in giacca e cravatta, ritratti sempre nella loro vita pubblica e professionale e mai nella loro vita privata (anche nel caso del protagonista). La scelta stilistica del film diventa anche una scelta di significato quando le immagini degli ambienti di tortura in cui si svolgono i violenti interrogatori si affiancano alle immagini degli ambienti professionali, in una alternanza visiva che, nella prima parte del film, vuole manifestare il contrasto tra sicurezza e insicurezza, tra civiltà e barbarie e tra potere e abuso. Le scene di violenza – incentrate sulle pratiche di waterboarding, posizioni innaturali e privazione del sonno – sono poche e necessarie alle finalità di denuncia del film che, nei minuti restanti, rinuncia all’esibizione gratuita della violenza, alla drammatizzazione degli eventi e al voyeurismo.

Nonostante la vicenda impattante che esso racconta – la tortura praticata da un paese democratico che, almeno formalmente, la rifiuta – The Report evita la teatralità, l’esagerazione e la magniloquenza e si limita a mettere in scena l’eccezionalità di personaggi umili che, con tenacia, dedizione e spirito di sacrificio, smascherano un sistema deviato, costruendo la cronaca di una storia che non tutti conoscono. Il film di Burns è un raro esempio di critica diretta all’America che contrasta con la stragrande maggioranza della cinematografia statunitense che la elogia in quanto modello di civiltà e forza e con il sogno americano in cui essa è terrà di libertà e possibilità.

A causa dei suoi dialoghi serrati, del lessico professionale, dell’eccessiva quantità di nomi da ricordare e del ritmo velocissimo, The Report permette allo spettatore di cogliere solo l’essenzialità della storia, e non i suoi tanti risvolti, tra questi il funzionamento del potere. A dispetto degli errori, il film diretto da Burns ha fatto luce su una vicenda della storia contemporanea in cui la paura globale innescata dal terrorismo ha condotto erroneamente a giustificare la tortura come metodo di interrogatorio, segnando il fallimento di una democrazia che può risollevarsi solo con l’ammissione aperta dei suoi errori. The Report è anche la redenzione dell’America, che inizia dalle parole della senatrice Feinstein: “Io vorrei che fossimo più del Paese che ha realizzato il rapporto, vorrei che fossimo il Paese che lo ha reso pubblico!”

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Grazia Caputo

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