L’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani ha scosso l’opinione pubblica mondiale. Diversi hanno azzardato addirittura lo scoppio di una nuova guerra mondiale, un’osservazione azzardata dettata dall’isteria generale che si genera ogni volta che si verificano fatti di tale portata. Le implicazioni dell’attacco statunitense in territorio iracheno sono però molteplici. Innanzitutto, il popolo iracheno si trova nuovamente a un passo dalla guerra civile. La fazione sciita non ha usato mezzi termini nel condannare l’avvenimento: «Il feroce attacco all’aeroporto internazionale di Baghdad della scorsa notte è una violazione insolente della sovranità irachena e degli accordi internazionali. Ha portato all’uccisione di diversi comandanti che hanno sconfitto i terroristi di Daesh», ha commentato il Grande Ayatollah iracheno Ali al-Sistani. Il ministro del petrolio iracheno ha fatto sapere che decine di americani impiegati nell’industria petrolifera irachena saranno costretti a lasciare il Paese, mentre il parlamento di Baghdad ha approvato una risoluzione con cui condanna l’attacco statunitense.
Si tratta di una situazione spiacevole, soprattutto per gli alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente, ovvero Israele e Arabia Saudita. Nonostante entrambi gli Stati siano grandi avversari dell’Iran, un aumento delle tensioni con la Repubblica Islamica non è per niente visto di buon occhio, in particolare dall’Arabia Saudita. Il ministro degli esteri saudita ha condannato l’attacco; condanna a cui ha fatto eco la dichiarazione dell’omologo degli Emirati Arabi Uniti, che ha fatto un appello alla «saggezza». Non si pensava che la mossa americana, arrivata in risposta a un terribile attacco di Hezbollah all’ambasciata a Baghdad, potesse essere così precisa e immediata. Il premier israeliano, alle prese da un anno con una lunga crisi politica, ha interrotto una visita all’estero per seguire più da vicino la crisi. Netanyahu ha, tuttavia, difeso la decisione del presidente Trump di lanciare un attacco venerdì sera.
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Una prospettiva mediterranea per l’Italia
E l’Unione Europea? Attualmente né l’Unione Europea né il suo Alto Rappresentante hanno rilasciato dichiarazioni. L’UE ha promosso nel 2015 l’accordo sul nucleare con l’Iran e l’avvicendamento di Donald Trump alla Casa Bianca non ha cambiato l’approccio europeo alla questione iraniana. Le cancellerie d’Europa, tuttavia, hanno risposto quasi subito alla notizia dell’uccisione del generale Soleimani. «L’attacco degli Stati Uniti in Iraq che ha ucciso il capo delle Guardie della Rivoluzione Qasem Soleimani è stata una reazione alle provocazioni militari della Repubblica Islamica», ha detto un portavoce del ministero degli esteri tedesco. Più lapidaria, invece, la viceministra degli esteri francese Amélie de Montchalin: «La priorità della Francia è stabilizzare il Medio Oriente».
Nessuna risposta intanto dalla Farnesina. Il ministro degli esteri Luigi Di Maio non ha ancora rilasciato nessuna dichiarazione, ma dal partito del ministro arrivano le prime critiche: «Raid vigliacco – ha detto Alessandro Di Battista – il governo italiano deve lavorare per il dialogo con l’Iran». L’Italia finora non ha mai messo in discussione le direttive statunitensi. Lo scorso novembre, Roma aveva notificato alla compagnia aerea iraniana Mahan Air il divieto di operare sul territorio italiano, in quanto accusata di trasportare armi a bordo dei propri velivoli. L’estate scorsa, il ministro del petrolio iraniano aveva criticato la decisione dell’Italia e della Grecia di interrompere l’acquisto di petrolio iraniano, a seguito della crisi nello stretto di Hormuz.
Per l’Italia è di fondamentale importanza prendere una posizione in questo momento. Il continuo movimento nelle basi militari di Ghedi e Aviano che si era registrato negli ultimi giorni aveva fatto sospettare qualcuno. L’Italia gioca un ruolo rilevante nel contesto mediorientale. A causa delle recenti tensioni tra Washington e Istanbul, l’appoggio della NATO in Turchia si sta rivelando inaffidabile e deludente, aprendo nuove possibilità ad altri Paesi mediterranei, come l’Italia. Il 2019 è stato infatti un anno travagliato per le relazioni tra Turchia e Stati Uniti, culminato nell’intervento turco in Libia contro le forze del generale libico Haftar, sostenuto da Francia e Stati Uniti. «L’attacco aereo statunitense a Baghdad che ha ucciso il generale iraniano Qasem Soleimani aumenterà l’insicurezza e l’instabilità nella regione», ha spiegato il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu in una nota. L’ennesima stoccata a Washington, quindi.
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Resa dei conti?
Mentre negli Stati Uniti l’uccisione di Soleimani ha ricevuto un sostegno quasi bipartisan, in Iran il sentimento antiamericano si è ulteriormente fortificato. «Il lavoro e il cammino del generale iraniano non si fermeranno e una dura vendetta attende i criminali, le cui mani nefaste sono insanguinate con il sangue di Soleimani e altri martiri dell’attacco della notte scorsa», ha detto la guida suprema dell’Iran Ali Khamenei. La durezza di queste parole, tuttavia, non va interpretata come un’eventuale risposta militare. Entrare in guerra adesso sarebbe un vero e proprio suicidio per l’Iran. Le conseguenze concrete di questo attacco coinvolgeranno invece il Medio Oriente nel suo insieme, costringendo tutti i Paesi a rimanere all’erta.
Quella che per il presidente USA Donald Trump potrebbe rivelarsi una ghiotta opportunità sul piano politico (una guerra contro i “nemici del popolo americano” nell’anno delle elezioni presidenziali potrebbe compattare l’elettorato), presenta numerose insidie per il mondo intero. Per l’Iraq, perché un’altra guerra sarebbe catastrofica. Per il Medio Oriente, già teatro di una lunga proxy war in Siria. Per l’Unione Europea, difensore dell’accordo del 2015 e con le mani legate, che non ha una sua politica estera. Infine, si tratta di un’occasione preziosa per l’Italia che, se dimostrasse maggiore autonomia da Washington, potrebbe assurgere al ruolo di interlocutore chiave nel Mediterraneo.